Crisi al buio e colombe in volo. Il primo è un fatto, le seconde rappresentano la speranza dell’establishment per risolvere la crisi politica.
La decisione di Berlusconi di far cadere il governo è unanimemente ritenuta “un suicidio” e non è affatto difficile capire perché: non ha nulla da guadagnare, molto da perdere. A meno che non abbia un’”arma segreta” che al momento nessuno riesce a vedere. Si dovrebbe trattare però di un’arma “fine di mondo”, visto che su un piano istituzionale “normale” le sue chance di evitare l’uscita dalla scena politica sono meno di zero. E andare a nuove elezioni politiche non potendosi nemmeno candidare in prima persona, magari sotto gli effetti di qualche mandato di cattura per i vari processi ancora aperti, sarebbe un boomerang (una cosa sono i sondaggi che lo prevedono capolista in tutta Italia, tutt’altri quelli che lo vedono agli arresti domiciliari con Alfano o Santanché al suo posto).
Una mossa senza logica, da predatore che non vede via d’uscita, per la prima volta nella sua vita, ma che non si rassegna alla cattura. Può far male, ma è condannato.
Il problema, a questo punto, va oltre il Caimano, ormai chiaramente avviato a un crepuscolo ignominioso. Nessun miracolo elettorale o semi-eversivo potrebbe riconsegnargli la bacchetta di direttore d’orchestra di un paese allo sbando. L’Unione Europea e la Troika hanno in pugno la situazione dal lato dei conti e hanno già decretato due anni fa che il Cavaliere non deve più varcare i portoni del potere continentale. Il capitalismo ha regole chiare, e Berlusconi non le ha mai capite. O comunque rispettate.
Il problema della crisi è dunque tutto interno, “italiano”, quindi putrido e inquinante. Stabilito che la “legge di stabilità” verrà scritta in ogni caso a Bruxelles (anche nel caso, improbabile, che la crisi rientri), e che a Palazzo Chigi serve solo un amministratore di condominio incaricato di farla votare in Parlamento, si tratta di trovare un nuovo equilibrio istituzionale – prima ancora che politico-parlamentare – in grado di rassicurare la Troika sulla “stabilità politica” italiana.
La precoce caduta del governo Letta interrompe infatti – e per nostra fortuna – anche il processo di “riforme contro la Costituzione”, subappaltato – incostituzionalmente – al “comitato di saggi” scelti dal governo Pd-Pdl. Si tratta di “riforme”, anche queste, “volute dall’Europa” per omogeneizzare il quadro istituzionale italiano ai trattati sovranazionali che stanno giù trasferendo quote decisive di “sovranità” a organismi comunitari “tecnici” e privi di legittimità democratica. Quindi chi accetterà di far parte del “governo di salvezza nazionale” che Napolitano si prepara già a mettere insieme, dovrà accettare anche questo rospo da mandar giù.
Il problema non assilla certo “le colombe moderate” che con grande sincronia Corsera, Sole24Ore e Repubblica invitano ad “alzarsi in volo”. Ovvero ad abbandonare al suo destino il Cavaliere, “fondare” un nuovo movimento politico e garantire la maggioranza a un esecutivo di riserva. Né dovrebbe preoccupare più di tanto i transfughi grillini, sia quelli già passati al Gruppo misto che altri eventuali nei prossimi giorni. Il problema dovrebbe assillare soprattutto i vendoliani di Sel, che si sono già detti disponibili per un “governo di scopo che faccia subito una nuova legge elettorale” (con il Porcellum che si avvia a subire una sentenza di incostituzionalità da parte della Consulta l’unica strada “in automatico” diventerebbe il ritorno al “mattarellum”).
Ma è un gioco retorico. Chi entra a far parte della prossima maggioranza dovrà accettare il “servizio completo” (legge elettorale, “riforme strutturali”, riforma contro-Costituzionale e “legge di stabilità”, manovra correttiva e repressione dei movimenti comprese). Un rospo troppo grande? Macché, per farglielo ingoiare c’è già lo sciroppo “impedire il ritorno di Berlusconi”, sempre efficace contro i rigurgiti di dignità politica. L’ultima riedizione del “voto utile” prima della fine. Certo, la manifestazione del 12 ottobre, convocata intorno ai nomi-icona di Rodotà e Landini – in realtà sponsorizzata da Vendola come modo di farsi notare e di mostrarsi in “sintonia con i movimenti” – perde a questo punto il suo cuore motivazionale. “Contro” che vai a manifestare in difesa della Costituzione? Contro un Berlusconi che sat andando ai domicialiri ed è fuori dal gioco politico? Contro il presidente della Repubblica “ultima garanzia”? Contro il governo in cui dovresti entrare? Problemi di Sel…
Il momento è insomma delicato. La cancellazione di Berlusconi dall’offerta politica obbliga la destra italiana a cercare un nuovo progetto, una nuova retorica, nuovo “blocco sociale”, compatibili con la “costruzione europea” che tutta va travolgendo. Il resto dello schieramento politico – in attesa non palpitante di Sel – è già da tempo attestato su quelle linee guida; le differenze riguardano interessi minori specifici che possono convivere fino ad un certo punto con i diktat europei oppure affermarsi bruciandone altri, concorrenti.
Un dispositivo politico, però, che non rappresenta più la maggioranza della popolazione. Va ricordato che le elezioni di febbraio sono state disertate dal 50% circa degli aventi diritto; e che un terzo circa dei votanti si è espresso a favore di chi si presentava – millantando molto e sfanculeggiando in proporzione – come “antisistema” e “anticasta”. Una voragine – come si suol dire – si è aperta tra il “paese reale” e la sua rappresentanza politica. Una voragine che potrebbe favorire l’opposizione radicale, contro l’Unione Europea e la distruzione del “modello sociale” welfaristico, contro l’austerità perenne (“una svalutazione salariale per sostituire quelle monetarie che non si possono più fare, dentro l’euro”). A patto però di trovare analisi all’altezza, unità nel conflitto e negli obiettivi, razionalità senza illusioni elettorali a breve. Un rischio, per l’establishment, anche se solo potenziale. C’è anche questo dietro le infiltrazioni dei servizi segreti nel Prc – per farlo sciogliere rapidamente e senza residui – come dietro la criminalizzazione dei movimenti in vista del 18 e 19 ottobre.
Un potere oligarchico e tecnocratico, senza radicamento sociale, ha una innata tensione all’autoritarismo. Teniamolo presente, in queste settimane cruciali.
Mobilitarsi quando non c’è un governo come controparte può sembrare o inutile o pericoloso. Attendere che il potere ricomponga la sua unità progettuale ed operativa, per poi solo dopo ricominciare a mobiliatrsi, lo è molto di più.
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