Per soli due seggi Syriza non è in grado di governare da sola e dovrà ricorrere ad una coalizione. Ha comunque la possibilità di decidere sulle scelte che possono o meno portare la Grecia fuori dalle devastazioni dell’austerity imposta da Bruxelles e Francoforte. Ma non sarà facile. Nessun’altra forza politica – Kke a parte, che però non è disposto a un’alleanza, e Anel che però è di destra – ha un programma apertamente conflittuale con le politiche di austerità.
Le reazioni dei custodi dei diktat della Troika (Bce, Commissione Europea, Eurogruppo) non si sono fatte attendere: “E’ nell’interesse del governo greco fare le riforme necessarie per risolvere i suoi problemi strutturali” ha dichiarato subito il presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Per stamattina è già stata convocata una riunione della Troika.
Dopo cinque anni di massacro sociale, la popolazione greca ha dichiarato pubblicamente e massicciamente “adesso basta!” Spetta ora a Syriza rispettare le enormi aspettative espresse dalla società greca, attuando misure che non possono che andare in controtendenza rispetto a quelle imposte dalla Troika. Fino ad oggi Syriza ha espresso un programma di cambiamento che mira a mitigare gli aspetti più feroci dei diktat dell’Unione Europea, ad avanzare provvedimenti che dovrebbero ridare respiro e garanzie ai settori socialmente devastati della società greca, ma senza mettere in discussione l’impianto generale dell’Unione Europea che ha generato e imposto quelle politiche di austerity e antipopolari.
La prima domanda è se le istituzioni europee lasceranno al governo di Syriza la possibilità di scostarsi dal memorandum imposto dalla Troika. La seconda domanda è se è possibile disconoscere questi diktat senza metterne in discussione i vincoli e la subalternità alla fonte originaria: l’Unione Europea. Nel primo caso si dimostrerebbe che è possibile introdurre dei cambiamenti rimanendo dentro la gabbia della Ue attraverso un negoziato con gli apparati della Troika. Nel secondo caso Syriza si troverà di fronte al muro delle sanzioni e dei ricatti da parte delle istituzioni finanziarie europee che non concederanno l’ossigeno e il tempo necessario ad alcun rilevante cambiamento. Uno terzo scenario vedrebbe il governo e il programma di Syriza logorati da entrambi: un negoziato lungo e difficile senza concessioni sostanziali da parte della Ue e la chiusura dei canali di finanziamento europei ad un paese portato dentro la recessione, la disoccupazione di massa, l’impoverimento generale.
Su questo crinale si giocano non solo le scelte congiunturali ma anche quelle strategiche per la Grecia e per gli altri paesi Pigs dell’Europa. Atene si ritrova nuovamente nello scomodo ruolo di “laboratorio”. Il voto pone con forza la questione politica fondamentale: si può costruire uno “Stato” (l’Unione Europea ambisce a diventarlo) andando contro la volontà popolare? È in gioco il principio chiave della democrazia borghese illuminista: la sovranità popolare (assieme e più di quella “nazionale”) come fondamento della struttura politica e amministrativa che decide – mediando tra interessi differenti – sulle forme della coesione sociale e la distribuzione della ricchezza prodotta. Il percorso disegnato dai trattati europei rovescia completamente quel principio, mettendo al centro la governance di poteri che rispondono ad altre “sovranità”: quelle del capitale finanziario, delle imprese multinazionali, delle alleanze militari.
Quanto accade in Grecia, e le scelte che vedremo adottare, l’esito stesso di questo scontro, parlano naturalmente molto anche alla situazione italiana. Qui, a partire già da queste prime ore, dovremo fare i conti con l’eccitazione di una cosiddetta “sinistra” senza idee che spera in un vivificante effetto di ritorno dai risultati greci; assolvendo però se stessa dalle responsabilità che in questi anni hanno portato al logoramento, alla crisi e all’appiattimento ultrasubordinato della sinistra italiana.
Capire se il vento che spira dalla Grecia è portatore di rotture salutari (contro i diktat della Troika e la gabbia dell’Unione Europea) o di una nuova stagione di riformismo votato alla “riduzione del danno”, lo verificheremo prima di quanto possiamo immaginare. Le critiche dei comunisti greci del Kke (che ha visto a sua volta crescere i consensi) a Syriza e al suo programma, sono spesso non prive di fondamento, ma al momento è Syriza ad avere creato le aspettative e le condizioni per un per ora potenziale cambiamento politico e sociale in Grecia e in tutto il continente.
Non è tempo di tifare o gufare. E’ tempo di mettere in campo un movimento che assume consapevolmente la rottura dell’Unione Europea come obiettivo storico, come punto di svolta per la creazione di un’area euromediterranea regolata da principi di eguaglianza, internazionalismo e solidarietà.
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