Oskar Lafontaine ha scritto una lettera aperta alla sinistra italiana. Ma la sinistra italiana è da tempo catatonica e affetta da coazione a ripetere. Non riesce a immaginare nulla di più che mettere insieme un altro contenitore “largo”, non ideologico e senza paletti precisi, con l’unico obiettivo di superare le molte e occhiute soglie di sbarramento ai diversi livelli elettorali (dall’ultima circoscrizione alla Camera).
C’è un silenzio pressoché assoluto – tralasciamo le questioni marginali, su cui c’è un’iperproduzione di “proposte” – soprattutto sulla questione principale di ogni politica futura: quale rapporto, e dunque quali obiettivi strategici, rispetto all’Unione Europea? Se il controllo delle politiche di bilancio e della moneta è lì, non c’è progetto politico o “programma elettorale” che possa prescinderne. Chiedere a Syriza per averne drammatica conferma.
In altri paesi europei, Germania compresa, non è così. Si sta prendendo atto che l’idea vaga della “riformabilità” della Ue ha ricevuto un colpo devastante e ci si dispone a ragionare nei termini della necessaria “rottura” dell’Unione Europea come preliminare a ogni possibile politica di sostegno ai ceti popolari di ogni regione o stato, oppure nei termini di un “piano B” da mettere a punto prima di prendere in considerazione qualsiasi prospettiva di sinistra al governo. Dobbiamo prendere atto con soddisfazione e nessun settarismo che questo secondo fronte, popolato da figure note e in alcuni casi carismatiche della sinistra riformista continentale, ha aperto una strada alla possibilità di ragionare di Unione Europea senza automaticamente essere investiti dalle scomuniche e dalle accuse di “sovranismo”. Accusa peraltro curiosa o speciosa, perché la “sovranità popolare” è alla radice di ogni idea di trasformazione sociale, senza riguardo ai confini nazionali storicamente determinati.
Abbiamo dunque letto con grande attenzione la “Lettera alla sinistra italiana” scritta da Oskar Lafontaine e pubblicata oggi su il manifesto. Siamo consapevoli che la stessa lettera, con le stesse parole, non sarebbe mai stata pubblicata da quel giornale se la firma fosse stata meno autorevole. E tanto basta a spiegare concretamente quanto sia politicamente rilevante la svolta proposta dai sostenitori del “piano B” a ciò che sopravvive della “sinistra” per poter ricominciare a ragionare in concreto, mettendo fine alle chiacchiere e ai desideri fantasiosi.
L’analisi da cui parte Lafontaine è, su alcuni punti, inconfutabile.
“la sconfitta del governo greco guidato da Syriza davanti all’Eurogruppo ha portato la sinistra europea a domandarsi quali possibilità abbia un governo guidato da un partito di sinistra, o un governo in cui un partito di sinistra sia coinvolto come partner di minoranza, di portare avanti una politica di miglioramento della condizione sociale di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, e delle piccole e medie imprese, nel quadro dell’Unione europea e dei trattati europei.
La risposta è chiara e brutale: non esistono possibilità […] fintanto che la Bce, al di fuori di ogni controllo democratico, è in grado di paralizzare il sistema bancario di un paese soggetto ai trattati europei.”
Si può naturalmente discutere se sia soltanto la Bce – e non tutta la Troika (Unione Europea e Fmi, oltre la Bce) – a rappresentare il cane feroce dell’austerità neoliberista, e se dunque basterebbe cancellarla o limitarla per cambiare lo scenario; ma è questione relativamente secondaria. Il punto fondamentale è il riconoscimento dell’irriformabilità dell’Unione e dei suoi trattati per un singolo governo, per quanto di sinistra possa essere.
La ragione di questa irriformabilità, secondo Lafontanine, è tecnica prima ancora che ideale o ideologica:
“Non esistono possibilità di mettere in atto politiche di sinistra se un governo cui la sinistra partecipi non dispone degli strumenti tradizionali di controllo macroeconomico, come la politica dei tassi di interesse, la politica dei cambi e una politica di bilancio indipendenti”.
È esattamente la situazione in cui si è venuta a trovare Syriza, nei sei mesi che hanno preceduto la resa di Tsipras il 13 luglio: l’intenzione di fare quel che era stato scritto nel programma elettorale si è scontrata frontalmente con l’assenza di strumenti operativi, da tempo trasferiti alla Ue e alla Bce insieme a quote rilevanti di “sovranità”.
Impeccabile, nella lettera di Lafontaine, anche il ragionamento sull’obbligo, per qualsiasi governo, dentro questa cornice istituzionale, di “applicare tagli salariali, tagli sociali e smantellare i diritti dei lavoratori” nella speranza di recuperare margini di competitività per il sistema-paese di riferimento.
Nulla da eccepire, infine, sulla definitiva ironia con cui vengono affrontate tutte quelle ideuzze che vorrebbero legare il “cambiamento radicale della Ue” a una contemporanea salita al governo, in ogni paese, di una coalizione di sinistra ovviamente radicale:
“Attendere la formazione di una maggioranza di sinistra in tutti i 19 Stati membri (della zona euro, ndr) è un po’ come aspettare Godot, un autoinganno politico, soprattutto perché i partiti socialdemocratici e socialisti d’Europa hanno preso a modello la politica neoliberista”.
Ma ogni diagnosi, per quanto esatta, richiede una prognosi all’altezza. E qui i fautori del “piano B” si erano mostrati fin dall’inizio consapevoli di avere per ora soltanto un’idea allo stato di abbozzo. Quel che qui Lafontaine propone esplicitamente, infatti, è
“il ritorno a un sistema monetario europeo (Sme) migliorato, che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione. Tale sistema restituirebbe ai singoli paesi un ampio controllo sulle rispettive banche centrali e offrirebbe loro i margini di manovra necessari per conseguire una crescita costante e l’aumento dell’occupazione attraverso maggiori investimenti pubblici”.
Se si ragiona in astratto, l’argomentazione può apparire anche sensata. Ma nella storia concreta non si danno ritorni al passato. O perlomeno non si danno senza conflitti durissimi, autentiche tragedie di massa; al pari delle rotture rivoluzionarie, insomma. Oppure con un radicale ripensamento dei trattati europei – l’euro è previsto da un trattato specifico – che dovrebbe vedere il consenso unanime di tutti i paesi membri. Il ritorno allo Sme, nei fatti, equivale a una proposta di riforma della Ue che soffre degli stessi problemi strategici sperimentati da Syriza.
Lo stallo in cui si trova la costruzione europea è evidente a tutti, basta leggere qui l’editoriale odierno di Adriana Cerretelli su IlSole24Ore. Il rischio dell’esplosione sta diventando quasi pari a quello di una stretta centralizzatrice violenta, che sconta anche la perdita per strada di alcuni membri (in Germania e altrove è vivo un dibattito sul N-euro, o euro limitato ai soli paesi del Nord).
Proprio per questo l’idea della rottura dell’Unione Europea va assumendo sempre più i contorni di una proposta strategica realistica, anche se certo non all’interno di un quadro di paciosa stabilità. Un dibattito vero su questo si è ormai aperto, con i recenti forum euromediterranei di Napoli, Atene, Barcellona e la campagna Eurostop, ad esempio. Uno dei difetti peggiori del dibattito politico italiota è infatti la totale astrazione rispetto a ogni ipotesi di trasformazione. Come se davvero grandi cambiamenti “radicali” fossero possibili “a bocce ferme”, mantenendo senza scosse gli attuali livelli di produzione e l’attuale configurazione istituzionale.
La discussione sulle prospettive è insomma soltanto all’inizio e richiede molta freddezza analitica, oltre che partecipazione diretta al conflitto sociale e politico, sotto ogni forma. L’unica ipotesi che non ha più nessuna legittimità è in fondo la ripetizione triste dei tentativi di “imbrancamento” senza prospettiva politica reale e un progetto di rottura dell’esistente, a fini di pura sopravvivenza.
Se n’è accorto anche Lafontaine…
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Lettera alla sinistra italiana
Oskar Lafontaine
Care compagne, cari compagni,
la sconfitta del governo greco guidato da Syriza davanti all’Eurogruppo ha portato la sinistra europea a domandarsi quali possibilità abbia un governo guidato da un partito di sinistra, o un governo in cui un partito di sinistra sia coinvolto come partner di minoranza, di portare avanti una politica di miglioramento della condizione sociale di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, e delle piccole e medie imprese, nel quadro dell’Unione europea e dei trattati europei.
La risposta è chiara e brutale: non esistono possibilità per una politica tesa al miglioramento della condizione sociale della popolazione, fintanto che la Bce, al di fuori di ogni controllo democratico, è in grado di paralizzare il sistema bancario di un paese soggetto ai trattati europei.
Non esistono possibilità di mettere in atto politiche di sinistra se un governo cui la sinistra partecipi non dispone degli strumenti tradizionali di controllo macroeconomico, come la politica dei tassi di interesse, la politica dei cambi e una politica di bilancio indipendenti.
Per migliorare la competitività relativa del proprio paese sotto l’ombrello dell’euro, restano al singolo paese sottoposto alle condizioni dei trattati europei solo la politica salariale, la politica sociale e le politiche del mercato del lavoro. Se l’economia più forte, quella tedesca, pratica il dumping salariale dentro un’unione monetaria, gli altri paesi membri non hanno altra scelta che applicare tagli salariali, tagli sociali e smantellare i diritti dei lavoratori, così come vuole l’ideologia neoliberista. Se poi l’economia dominante gode di tassi di interesse reali più bassi e dei vantaggi di una moneta sottovalutata, i suoi vicini europei non hanno praticamente alcuna possibilità. L’industria degli altri paesi perderà sempre più quote sul mercato europeo e non europeo.
Mentre l’industria tedesca produce oggi tanto quanto produceva prima della crisi finanziaria, secondo i dati Eurostat, la Francia ha perso circa il 15% della sua produzione industriale, l’Italia il 30%, la Spagna il 35% e la Grecia il 40%.
La destra europea si è rafforzata anche perché mette in discussione l’Euro e i trattati europei, e perché nei paesi membri cresce la consapevolezza che i trattati europei e il sistema monetario europeo soffrano di alcuni difetti costitutivi.
Come dimostra l’esempio tedesco, la destra europea non si preoccupa della compressione dei salari, dello smantellamento dei diritti dei lavoratori e delle politiche di austerità più severe. La destra vuole tornare allo Stato nazionale, offrendo però soluzioni economiche che rappresentano una variante nazionalistica delle politiche neoliberiste e che porterebbero agli stessi risultati: aumento della disoccupazione, aumento del lavoro precario e declino della classe media.
La sinistra europea non ha trovato alcuna risposta a questa sfida, come dimostra soprattutto l’esempio greco.
Attendere la formazione di una maggioranza di sinistra in tutti i 19 Stati membri è un po’ come aspettare Godot, un autoinganno politico, soprattutto perché i partiti socialdemocratici e socialisti d’Europa hanno preso a modello la politica neoliberista.
Un partito di sinistra deve porre come condizione alla sua partecipazione al governo la fine delle politiche di austerità.
Tuttavia ciò è possibile solo se in Europa prende forma una costituzione monetaria che conservi la coesione europea, ma che riapra ai singoli paesi la possibilità di ricorrer il ritorno a un sistema monetario europeo (Sme) migliorato, che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione. Tale sistema restituirebbe ai singoli paesi un ampio controllo sulle rispettive banche centrali e offrirebbe loro i margini di manovra necessari per conseguire una crescita costante e l’aumento dell’occupazione attraverso maggiori investimenti pubblici e a politiche capaci di aumentare la crescita e i posti di lavoro; anche se la più grande economia opera in condizioni di dumping salariale.
Presupposto imprescindibile a questo scopo è il ritorno a un sistema monetario europeo (Sme) migliorato, che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione. Tale sistema restituirebbe ai singoli paesi un ampio controllo sulle rispettive banche centrali e offrirebbe loro i margini di manovra necessari per conseguire una crescita costante e l’aumento dell’occupazione attraverso maggiori investimenti pubblici, così come per contrastare, tramite la svalutazione, l’ingiusto dumping salariale operato dalla Germania o da un altro Stato membro.
Questo sistema ha funzionato per molti anni e ha impedito l’emergere di gravi squilibri economici, come ne esistono attualmente nell’Unione europea.
Rivolgendomi ai sindacati italiani, tengo a sottolineare che lo Sme non è mai stato perfetto, dominato come era dalla Bundesbank. Ma nel sistema Euro la perdita del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei lavoratori attraverso salari più bassi (svalutazione interna) è maggiore.
A me, osservatore tedesco, risulta molto difficile capire perché l’Italia ufficiale assista più o meno passivamente alla perdita del 30% delle quote di mercato delle sue industrie.
Silvio Berlusconi e Beppe Grillo hanno messo sì in discussione il sistema Euro, ma ciò non ha impedito all’Eurogruppo di imporre il modello delle politiche neoliberiste alla politica italiana.
Oggi la sinistra italiana è necessaria come non mai.
La perdita di quote di mercato, l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario, con la conseguente compressione dei salari, possono rientrare nei miopi interessi delle imprese italiane, ma la sinistra italiana non può più stare a guardare questo processo di de-industrializzazione.
Lo sviluppo in Grecia e in Spagna, in Germania e in Francia, dimostra come la frammentazione della sinistra possa essere superata non solo con un processo di unificazione tra i partiti di sinistra esistenti ma soprattutto con l’incontro di tante energie innovative fuori dal circuito politico tradizionale.
Solo una sinistra sufficientemente forte nei rispettivi Stati nazionali potrà cambiare la politica europea. La sinistra europea ha bisogno ora di una sinistra forte in Italia.
Vi saluto calorosamente dalla Germania e vi auguro ogni successo per il processo di costruzione di una nuova sinistra italiana.
* Oskar Lafontaine è stato ministro delle Finanze della Germania ed è l’ex presidente del Partito socialdemocratico tedesco (Spd e del Partito della Sinistra (die Linke)
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Enea Bontempi
La necessità del conglomerato imperialista denominato Unione Europea deriva dalle seguenti cifre: 7% della popolazione mondiale, 25% del prodotto mondiale lordo, 55% della spesa sociale mondiale. Il giudizio di Lenin sugli “Stati Uniti d’Europa”, secondo cui “in un regime capitalistico sono impossibili o reazionari”, trova una lampante conferma nei fatti della politica interna e internazionale. La contraddizione tra questa necessità oggettiva e lo “sviluppo ineguale” dei diversi paesi capitalisti diventa sempre più acuta e può essere risolta (non con il ritorno alle monete nazionali o con il ripristino dello SME proposto da Lafontaine ma) solo con un mutamento radicale del modo di produzione, ossia con il socialismo. Ma è destinata a diventare sempre più acuta anche la contraddizione tra capitale e lavoro salariato, poiché a causa dell’effetto congiunto della caduta del saggio medio di profitto e della sovrapproduzione di merci e capitali non esistono più alternative all’attacco concentrico contro il salario diretto, indiretto e differito dei lavoratori (per riacquistare competitività la borghesia italiana lo deve ridurre almeno del 40%) né, di conseguenza, spazi per il riformismo e le politiche redistributive in cui esso si sostanzia. In altri termini, non è più possibile far crescere l’agnello per poi tosarlo (storico slogan della socialdemocrazia e tacito presupposto delle argomentazioni anti-UE di Lafontaine). Ma in tal modo, siccome le contraddizioni sono dirompenti sia tra i diversi e avversi paesi capitalisti sia all’interno degli stessi, la guerra imperialista in tutte le sue forme diviene la norma delle relazioni internazionali. Non è dando credito ai vari personaggi della socialdemocrazia e ai loro discorsi (fosse pure un socialdemocratico ‘di sinistra’ come Lafontaine) che i comunisti possono prepararsi in modo adeguato ad affrontare le tempeste di un mondo che è destinato a colare a picco.