Secondo sondaggi diversi condotti nelle ultime tre-quattro settimane, alle elezioni parlamentari ucraine del 21 luglio, non più di 4-5 formazioni potrebbero superare la barriera del 5%: il partito del nuovo Presidente Vladimir Zelenskij “Servo del popolo” (dato da un minimo del 30, al 48%); “Piattaforma d’opposizione” (Jurij Bojko e Viktor Medvedčuk: tra l’8 e il 12%); “Solidarietà europea” (Petro Porošenko: 7-8,5%); “Patria” (Julija Timošenko: 7-10%).
Qualche possibilità di superare di poco la soglia anche per il partito “La voce”, di Svjatoslav Vakarčuk, ma, come anche per altre formazioni, decisiva potrebbe essere la contesa tra repubblicani e democratici, dato che Vakarčuk sarebbe un protégé di Soros, mentre il nuovo “curatore” dell’Ucraina per la Casa Bianca è il repubblicano William Taylor, già ambasciatore a Kiev dal 2006 al 2009.
Indubbia è quindi la “vittoria” del partito presidenziale, con la Timošenko che proclama di voler unire la propria frazione parlamentare a quella di Zelenskij in una coalizione governativa. Un’ipotesi che il politologo Vladimir Karasëv, su “Vita internazionale”, definisce come “parte del piano di Igor Kolomojskij, di controllo sul Parlamento con una maggioranza costituzionale”, che però potrebbe scontrarsi con una certa debolezza di entrambe le formazioni nelle regioni periferiche e, soprattutto, con i piani del grosso business che vede in Kolomojskij un pericoloso rivale.
Determinante, in questo senso, potrebbe rivelarsi l’unione di varie formazioni legate a magnati quali Kolesnikov, Akhmetov e Novinskij (Blocco d’opposizione e Partito della pace e del progresso), Muraev (“I nostri”), e altre due formazioni (“Rinascita” e “Fiducia nelle cose”) legate ad altri oligarchi. Il “Blocco d’opposizione”, ad esempio, può contare sui Sindaci di capoluoghi regionali di primissimo piano, quali Kharkov, Odessa, Mariupol, Zaporože, Užgorod e questo può rivelarsi determinante nel maggioritario.
Su un altro versante, la chiamata a raduno di nazionalisti e neonazisti sotto l’emblema di “Svoboda” di Oleg Tjaghnibok, in cui confluiscono “Corpo nazionale” (Andrej Biletskij), “Pravyj Sektor” (Andrej Tarasenko), “Iniziativa nazionale” (Dmitro Jaroš), OUN (Kravtsov) e Congresso dei nazionalisti ucraini” (Stepan Bratsjun): tutti, con forti posizioni nell’Ucraina occidentale e centrale. Anche se i pronostici non danno loro un forte seguito elettorale, è innegabile il loro impatto sugli altri partiti.
Ci sono poi altre regioni con indiscusse roccaforti di partiti che, in base ai sondaggi, rimarrebbero fuori della Rada.
In definitiva, secondo Karasëv, il partito presidenziale “Servo del popolo” ha poche probabilità di conquistare, da solo, la maggioranza costituzionale necessaria a governare da solo. Ragion per cui, secondo la deputata crimeana alla Duma russa per “Russia unita”, Olga Kovitidi, un’altra possibile variante di unione potrebbe essere quella con “Piattaforma d’opposizione” di Medvedčuk e Bojko, più che con “Patria”, dato che la Timošenko porrebbe come condizione il posto di premier.
E un discorso a parte merita la formazione di Petro Porošenko: per un verso, agita a suo favore il metropolita della chiesa scismatica ucraina Epifanij; per un altro, sono aperti contro di lui 11 procedimenti giudiziari; le due cose potrebbero costituire un buon viatico di mercanteggiamenti per la spartizione di posti chiave, quantomeno tra i ras dell’ex Presidente.
Sin qui i pronostici. La realtà è che, oltre alla proibizione per il PC ucraino di partecipare alle elezioni con una propria lista, Zelenskij, pur con tutte le dichiarazioni populistiche – lotta alla corruzione, confisca dei beni dei deputati, giudici, Procuratori, funzionari implicati negli intrighi di Poroshenko: misure che quasi sicuramente rimarranno sulla carta – come per il passato rifiuta di aprire seggi elettorali per gli ucraini residenti in Russia e mantiene limitazioni per gli osservatori internazionali.
D’altronde, nazionalisti radicali, quando non direttamente neonazisti, sono presenti un po’ in tutte le liste; nella stessa “Piattaforma d’opposizione” Bojko-Medvedčuk, che in molti danno come “filo-russa”, spicca ad esempio il nome di Ilja Kiva, ex consigliori del Ministro degli interni Arsen Avakov, leader a Poltava della “Unione dei veterani” del Donbass ed ex leader locale di “Pravyj Sektor”, che non fa mistero dei propri piani per “riprendersi” il Donbass. Sarcasticamente, il sociologo Evgenij Kopatko osserva che, mentre in Ucraina vige tuttora una tassa per la guerra in Donbass, Bojko e Medvedčuk volano regolarmente a Mosca per ottenere uno sconto del 25% sul gas russo e presentarsi così come “benefattori” del popolo ucraino.
Allo stesso modo, pur essendo effettivamente la loro “Piattaforma d’opposizione” l’unica formazione che si esprime apertamente per una soluzione costruttiva del conflitto in Donbass, il leader della DNR, Denis Pušilin, ha sbugiardato le uscite di Medvedčuk di fronte al Parlamento europeo, secondo cui il suo piano di soluzione avrebbe ricevuto l’appoggio di DNR e LNR: “Noi e i nostri colleghi della LNR” ha detto Pušilin, “ci atteniamo esclusivamente agli accordi di Minsk e alle misure approvate dal Consiglio di sicurezza dell’ONU”.
Opinione concorde è in sostanza quella per cui non sia il caso di farsi troppe illusioni su Zelenskij: russofobo al pari del suo predecessore (appena due giorni fa è stata definitivamente approvata la legge sull’ucraino quale unica lingua di stato) e, al tempo stesso, privo per ora di reale potere, almeno fino a che non saranno definiti i rapporti di forza della nuova coalizione di governo e, s’intende, al pari di Porošenko, dipendente dai giochi di potere Pentagono-Dipartimento.
D’altronde, difficile non attribuire riscontro elettorale anche all’inasprimento, nelle ultimissime settimane, dell’attacco al Donbass (ancora morti tra i civili sotto i tiri di mortaio ucraini), in particolare nell’area di Donetsk e Dokučaevsk, per accaparrarsi il consenso delle frange più nazionalistiche dell’elettorato. Appena tre giorni fa, in un’intervista al canale ucraino Tsenzor.net, il consigliere presidenziale Nikita Poturaev non escludeva che Zelenskij, “in caso di necessità”, possa dare ordine di attacco al Donbass.
Di sfuggita (ma non molto) è il caso di ricordare come Vladimir Putin, il 17 luglio, a quattro giorni dal voto ucraino, abbia firmato un decreto con cui estende ai cittadini delle intere regioni di Donetsk e Lugank (compresi dunque i territori sotto controllo ucraino) la procedura semplificata per l’ottenimento della cittadinanza russa.
Manca poco per conoscere i risultati elettorali. Quello che invece gli ucraini sanno già è che, secondo il Comitato statale per le statistiche, nei primi sei mesi del 2019, per ogni 126.000 nuovi nati, sono morte 261.000 persone; ma “l’Europa è sempre più vicina”.
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