Il prossimo 16 gennaio, una giornata di manifestazioni a livello nazionale ricorderà l’inizio di quella che possiamo definire come “La Guerra dei Trent’anni”. La prima Guerra del Golfo con i bombardamenti sull’Iraq del 16 gennaio 1991, indica infatti l’apertura di quel Vaso di Pandora della guerra che si manifesta ormai con una escalation di cui è difficile – e allo stesso tempo inquietante – prevedere una conclusione.
La convocazione della giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra si è rivelata opportuna davanti al totale e assurdo vuoto di iniziativa politica su questo terreno (a parte le manifestazioni di Napoli, Firenze, Trapani, Capo Teulada). Di fronte ad una escalation che ogni giorno può presentare il “casus belli” scatenante, abbiamo visto ex attivisti del movimento pacifista diventati nel frattempo ministri della difesa o altissimi responsabili della sicurezza europea; una parte della sinistra che ha letteralmente sfarfallato di fronte a quanto accadeva in Libia e Siria, ostinandosi a leggere come rivolte popolari quelle che si sono rivelate ben presto come interventi di “regime change” da parte delle potenze imperialiste; un governo italiano che gioca sul consueto doppio binario della “cautela” sul piano bellico ma su atti concreti di coinvolgimento militare nei teatri di guerra (armi all’Arabia Saudita, invio di soldati in Iraq, flotta davanti alle coste libiche, sanzioni a Siria e Russia). Era tempo dunque che un pezzo di questo paese riprendesse la parola e le piazze per riaffermare quel concetto semplice e importante che dice basta guerre, le guerre sono le vostre ma i morti sono sempre i nostri.
Alla presa di responsabilità di chi ha rotto gli indugi ed ha convocato le manifestazioni del 16 gennaio, non potevano mancare i consueti “ lamenti delle vedove”, eterni assegnatari di mutande al resto del mondo che riescono a leggere le motivazioni della mobilitazione del 16 gennaio in modi diametralmente opposti (troppo filo russo-siriana o troppo anti russa-siriana, piattaforma troppo generica o piattaforma troppo escludente etc. etc.). Per chi ha memoria del recente passato non c’è da meravigliarsi. Meraviglia invece questo soffermarsi sulle righe e sulle sfumature piuttosto che sulla posta in gioco e l’urgenza di far entrare in campo un pezzo di società – ancora minoritario per ora – che dichiari pubblicamente il proprio No alla guerra e all’attacco alla democrazia che ne deriva in tutti i paesi coinvolti.
La guerra del XXI Secolo oggi sta devastando la Siria, l’Iraq e la Libia, ha prodotto morti e macerie in Ucraina, prima ancora aveva devastato Jugoslavia, Cecenia, Afghanistan e l’Iraq, sollecita tensioni ricorrenti in Asia. Non sono state vissute come guerre nelle agende politiche o nell’opinione pubblica occidentali, ma paesi come la Somalia, il Sudan, le repubbliche africane sono stati destabilizzati e tribalizzaie con l’intervento militare decisivo delle potenze neocoloniali – dalla Francia agli Usa, dalla Gran Bretagna all’Italia.
La Guerra dei Trent’anni cominciata dagli Usa usciti egemoni e vittoriosi nel 1991 dallo scontro globale con l’Urss, è oggi uno scenario agente che conformerà più o meno bruscamente anche il mondo che abbiamo conosciuto, anche in una Europa che molti si ostinano ad assolvere come mera esecutrice delle manovre statunitensi riducendone così le responsabilità e i pericoli che ne derivano.
Sullo sfondo di una competizione globale, feroce e a tutto campo, tra le maggiori potenze imperialiste o non ancora tali come il polo islamico costituitosi intorno alla petromonarchia saudita, la guerra sta uscendo dalla narrazione storica o dalla testimonianza diretta delle vecchie generazioni, per entrare di prepotenza dentro l’attualità e la vita quotidiana. In molti avevano ritenuto di poter rimuovere questo scenario limitandosi ad osservare il suo manifestarsi in paesi lontani. Non erano bastate le stragi di Madrid e Londra negli anni scorsi, ci sono volute quelle più recenti di Parigi per strappare il velo dagli occhi e far capire che se anche gli stati europei portano la guerra in giro per il mondo, prima o poi qualcuno la guerra te la restituisce anche dentro casa. La risposta dei governi non è la fuoriuscita dalle guerre e dagli interventi in cui sono coinvolti ma lo stato d’emergenza e l’aumento delle spese militari.
Meglio dunque che qualcuno cominci a denunciarlo nelle piazze piuttosto che correre come criceti sulla ruota rimanendo sempre fermi. Altre iniziative potranno seguire, crescere e qualificarsi successivamente al 16 gennaio. La giornata di mobilitazione offre finalmente una cornice di mobilitazione No War che ognuno potrà declinare con i propri contenuti. Riteniamo che questo possa e debba essere l’auspicio di chi scenderà in piazza il 16 gennaio, per gridare già da ora: basta con la guerra.
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