Come stanno reagendo le èlite dominanti ai risultati elettorali? La domanda è d’obbligo, perché le difficoltà dell’opzione Renzi (quello che “l’abbiamo messo lì noi ”, rivelò Marchionne), sta innervosendo non poco il blocco di potere composto da banchieri, Confindustria e ricchi. Come dimostrano i flussi elettorali, praticamente solo i “ricchi” e i benestanti hanno votato per il Pd nelle grandi aree metropolitane. Unica eccezione, diventata ormai regola, è Milano.
Nella capitale economica del paese – con qualche ambizione niente affatto nascosta di diventare anche la capitale “politica” di un paese reso sempre più asimmetrico – l’offerta politica insisteva sullo stesso bacino sociale ed elettorale. E’ difficile non ammettere che sia Sala che Parisi siano in sostanza due cloni, simili per storie, competenze, provenienze e interessi da rappresentare. La borghesia milanese è l’unica che ha ancora una capacità egemonica sull’area metropolitana di riferimento. Eppure anche a Milano i due competitori-gemelli sono chiamati a fare i conti con contraddizioni identiche a quelle riscontrabili in altre grandi città.
Secondo Il Sole 24 Ore, la gestione del dopo EXPO – e la sua mostruosa eredità in termini di cubature a rischio inutilizzo e debiti accumulati –, la capacità di Milano di attrarre gli investimenti delle multinazionali, le periferie, l’emergenza abitativa e la privatizzazione dei servizi pubblici locali, sono i dossier che incombono su Sala e Parisi, chiunque diventi sindaco. A parte l’eredità EXPO, gli altri dossier coincidono, più o meno, con quelli delle altre aree metropolitane. Ma coincidono anche sul piano dei conflitti metropolitani che, con maggiore o minore forza, hanno cercato di contrastare il dominio concreto e l’egemonia ideologica della borghesia sulle città.
A Milano questa borghesia è riuscita a produrre un effetto “sgocciolamento” tipico dei modelli ultraliberisti. Una forte concentrazione della ricchezza, supportata e integrata dentro filiere internazionalizzate, ha depotenziato la capacità di lotta e rottura dei settori popolari ed ha costruito un blocco sociale di consenso intorno alle èlite dominanti. Neanche l’anomalia del M5S è riuscita a rompere questa gabbia, così come accaduto ad esempio a Torino, si è sfiorato a Bologna, realizzato a Roma. Insomma il modello EXPO ha funzionato perché solo in quel contesto poteva funzionare. Il fatto che la sfida al ballottaggio milanese sia tra due grigi e ricchissimi tecnocrati, non è una sorpresa ma la norma. Milano si conferma così come una anomalia, una sorta di “città perduta” per la causa dell’antagonismo di classe, l’unico vero ridotto di rilievo del modello di governance autoritaria e antipopolare espresso dal governo Renzi.
Ma nelle altre aree metropolitane, sia quelle meridionali o “meridionalizzate” come Napoli e Roma sia quelle alle prese con una deindustrializzazione feroce (come Torino, Genova, Livorno, ecc), la quantità e la qualità delle contraddizioni stanno convergendo in modo estremamente importante.
Eppure, nonostante le apparenze, gli apparati ideologici delle classi dominanti cominciano a preoccuparsi di come stanno gestendo gli strappi e le dolorose misure antisociali dentro una crisi economica che non mostra ancora una via d’uscita. “Le elezioni amministrative […] segnano una rotta e quella che sembra di scorgere dalle urne di ieri collega città diverse e soprattutto periferie di Nord e Sud sull’unica scia di un malessere sociale”, sottolinea Il Sole 24 Ore, segnalando che è il ceto medio-basso quello che sta determinando tutte le elezioni, europee ed americane. Dunque o si recupera egemonia su questo settore (le famosi classi medie polarizzate e proletarizzate nella crisi) o si rischia sia l’ingovernabilità delle periferie che la rabbia dei ceti medi impoveriti.
Una classe dirigente lungimirante, basta pensare al Bismarck dello stato sociale o alle riforme giolittiane, metterebbe mano a misure di carattere sociale per depotenziare l’isolamento dei ricchi e cooptare intorno a sé i corpi intermedi della società. Ma una classe dominante privatasi del potere di decisione strategica sulle risorse (la politica finanziaria è stata sussunta dall’Unione Europea) e che esprime un leader di governo come Renzi, non mostra e non può avere questa visione di lungo periodo. Al massimo rende evidente una intenzione vendicativa dal punto di vista di classe e oligarchica da quello democratico. Esorta alla totale deresponsabilizzazione dello Stato e delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei settori popolari, ma pretende contemporaneamente uno Stato e amministrazioni pubbliche asservite solo ai propri interessi: dalla decontribuzione e libertà di licenziamento alle privatizzazioni di tutti i servizi (le municipalizzate, a partire dall’acqua), dell’edilizia residenziale pubblica, della sanità, delle pensioni.
Ma come tenere a bada le reazioni sociali che, sfortunatamente per lor signori, ancora si esprimono solo con il voto di protesta e non con un conflitto generalizzato e frontale, come ad esempio in Francia? Ad esempio blindando gli apparati della governabilità e della rappresentanza. “La prossima legge di Stabilità, che guarderà dritta l’appuntamento del referendum, terrà conto dell’aria che si respirava nelle città”, scrive il giornale della Confindustria.
Sono dunque le aspettative e le operazioni della stessa classi dominante a fornirci gli scenari su cui concentrare le forze e un conflitto sociale capace di rideterminare i rapporti di forza.
- Battere il partito dei ricchi e delle banche – il PD – nei ballottaggi del 19 giugno;
- Lavorare all’alleanza delle città “ribelli” contro la governance autoritaria del governo Renzi;
- Mettere in campo una piattaforma politica e sociale, ormai abbondantemente matura e maturata, intorno all’Ital/Exit dalla gabbia dell’Unione Europea e dell’euro;
- Adoperarsi al massimo affinchè il No prevalga nel referendum/plebiscito del 2 ottobre. Dunque una campagna referendaria casa per casa per il No, lo sciopero generale e una grande manifestazione nazionale prima del referendum
I tempi sono stretti, ma soprattutto viaggiano più velocemente di quanto lo siano stati nel recente passato. Non c’è più tempo o spazio per le ritualità di una sinistra radicale ormai “estenuata” e inadeguata alla partita, nelle gelosie di gruppo e nella rinuncia a rimettere in campo una ipotesi politica di rottura e cambiamento sociale.
Insomma i comunisti potrebbero ancora avere qualcosa da dire, da dare e da fare. Ma subito.
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