“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, e alla fine vinci”. Prendiamo in prestito le parole di un personaggio che, diverso dalle nostre coordinate, ha fatto però la storia come Gandhi, per sottolineare come le due giornate di lotta sfociate nel No Renzi Day, abbiano colpito sui nervi giusti il nostro nemico.
Venerdi era stato lo stesso Renzi a replicare piccato allo sciopero generale convocato da Usb, Unicobas, Usi, Sicobas, Adl. Renzi ha involontariamente dimostrato di aver ben compreso il carattere “politico” di uno sciopero sindacale che ha fatto registrare risultati insperati (solo per dirne una, quando alla Piaggio scioperano il 73% degli operai vuol dire qualcosa).
Questa volta i sindacati “reali”, e non i passacarte di Cgil Cisl Uil, avevano affiancato alle vertenze contro il jobs act, i tagli alla sanità, la destrutturazione del sistema previdenziale, una questione tutta politica come la difesa della democrazia e della Costituzione dagli attacchi del governo Renzi e dell’Unione Europea. L’indicazione del NO nel referendum costituzionale del 4 dicembre ha campeggiato nei volantini, nelle assemblee, nei cortei locali e in quello nazionale di Roma, insieme ai temi più propri del conflitto nei luoghi di lavoro. Con grande coraggio l’Usb e gli altri sindacati conflittuali, hanno portato le lavoratrici e i lavoratori allo sciopero su una piattaforma avanzata che teneva insieme tutte le emergenze sociali e democratiche del paese.
Prima di Renzi era stato uno dei suoi cani da guardia mediatici come Rondolino, a scrivere un articolo bilioso su l’Unità contro Giorgio Cremaschi, uno degli esponenti più in vista della coalizione sociale, sindacale e politica che ha messo in campo le due giornate del No Renzi Day.
Domenica mattina è toccato invece al Corriere della Sera – la nave ammiraglia degli apparati ideologici della borghesia – andare all’assalto ancora di Cremaschi e di quello che si è materializzato in questi due giorni a Roma e nelle piazze di decine di città italiane.
Siamo dunque passati dalla fase in cui le istanze che hanno riempito fisicamente con migliaia di persone le strade di Roma venivano ignorate, a quella in cui vengono derise. Ma è evidente come questi commenti preparino il terreno alla fase in cui queste istanze e i suoi protagonisti verranno attaccati, magari con torsioni ancora più autoritarie contro il diritto di sciopero e la democrazia nei luoghi di lavoro. Il nodo infatti è proprio questo, ed è stato ben individuato nelle discussioni e nelle mobilitazioni di questi giorni.
Il governo Renzi, le banche, la Confindustria, i tecnocrati dell’Unione Europea oggi vogliono smantellare la Costituzione proprio perché hanno prima destrutturato il diritti del lavoro su cui quella Costituzione si regge. Sono stati questi ventiquattro anni di attuazione delle direttive del Trattato di Maastricht e di quelli successivi a spianare conquiste e diritti sociali fondamentali anche ai fini dell’attuazione costituzionale. Una volta spianata la “rigidità” del lavoro all’insegna della competitività e della competizione globale, smantellare l’assetto costituzionale viene ritenuto dalle classi dominanti (non più classi dirigenti) un passaggio dovuto e quasi naturale.
Le due giornate di lotta del 21 e 22 ottobre – e malissimo ha fatto chi per settarismo o paura le ha ignorate o si è chiamato fuori – hanno palesato tre dati importanti:
- La forza e il valore aggiunto decisivo che il No Sociale può portare dentro la battaglia referendaria del 4 dicembre. Di fronte alla demagogia di Renzi, la realtà della questione sociale è quella che ha la capacità e l’efficacia per “asfaltarlo”;
- L’efficacia di una alleanza politica, sindacale e sociale che tenga la barra dritta sugli obiettivi condivisi e dispieghi una capacità inclusiva. Il primo tentativo realizzato il 18 e 19 ottobre 2013 si è inceppato per "fuoco amico" e incapacità politiche interne ai movimenti. Tre anni dopo la forza di questa ricomposizione possibile è diventata evidente a tutti.
- Infine, l’inevitabilità che, una volta battuto Renzi con il referendum, non solo questi debba togliersi di torno, ma si debba e si possa rilanciare in avanti l’iniziativa facendo saltare le altre gabbie che impoveriscono e opprimono la società: l’Unione Europea, l’eurozona e la Nato. Le prime due si sono rivelate – come prevedibile – nemiche dichiarate dei diritti sociali e della democrazia, la seconda si conferma come un vincolo automatico che trascina il paese dentro escalation e guerre.
La Piattaforma sociale Eurostop, che è stata un po’ il motore di avviamento delle due giornate di lotta del 21 e 22 ottobre, ha colto la questione centrale e posto con chiarezza questo percorso. Ed è proprio perché sente il polso di quel che passa dentro i settori popolari di questa società, questo può essere un percorso che può rimuovere il senso della sconfitta e rimettere in pista ipotesi vincenti. Che le classi dominanti dopo averla ignorata e derisa si apprestino a combatterla, questa volta è un segno di forza, non di debolezza.
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