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I tunnel dell’Italia infame

Ci abbiamo fatto l'abitudine e non ci riflettiamo nemmeno più. Arrestano un po' di imprenditori, qualche funzionario pubblico, leggiamo di corruzione e di escort come cadeau per facilitare un appalto o la chiusura di enrambi gli occhi sul “cemento come un colla”. Tutto già visto, tutto metabolizzato e dimenticato nel giro di tre giorni. È da quelle parti che si ride quando c'è un terremoto, perché di sicuro fioccheranno appalti pubblici senza troppi controlli. Anzi, mai come in questo caso il terremoto è utile anche a far scivolare rapidamente via dalle prime pagine 35 arresti più o meno eccellenti.

E invece no. Questa inchiesta che ha portato in galera o nei pressi funzionari pubblici, figli di papà famosi, imprenditori vicini alla 'ndrangheta – esattamente come quella sull'Expo milanese, di cui sono sono state pubblicate le intercettazioni (solo sul giornale di Travaglio, pare) – è uno spaccato del potere che governa realmente questo paese. Anche in barba alle prescrizioni e ai controlli dell'Unione Europea. Comunque incontrando un grado di tolleranza molto alto (più dell' 0,1%, insomma…).

È necessario non farsi distrarre dalle narrazioni che piovono da Palazzo Chigi o dai diversi scranni istituzionali. Qualsiasi governo del dopoguerra è stato impastato direttamete con questi interessi e questi personaggi. Anche dal punto di vista strettamente capitalistico, questo blocco di interessi rappresenta plasticamente l'”anomalia italiana”.

Che è poi la faccia impresentabile dell'inconsistenza dell'imprenditoria italiota a paragone del grande capitale multinazionale. Un'imprenditoria da appaltisti e “bollettari”, che riesce a vedere un guadagno (non il “profitto”, ma la semplice plusvalenza) solo a ricasco dei finanziamenti pubblici. Questo e non altro sono le grandi opere inutili e devastanti come il Tav, il Mose, l'Expo o le Olimpiadi (per ora forse. e fortunatamente, bloccate).

14570507_1302292473148334_1394400828470685259_nE' il micromondo in cui l'ex Ragioniere generale dello Stato (presunto cerbero addetto al controllo scrupoloso delle entrate e delle uscite) può passare in una notte alla presidenza di Infrastrutture spa o della Consap (Concessionaria dei servizi assicurativi pubblici) e in questa veste sponsorizzare e finanziare – con soldi pubblici, ovviamente – i lavori per il Terzo Valico. Opera che viene appaltata al consorzio Cociv (al 64% proprietà di Salini Impregilo), che naturalmente sceglie il figlio di Monorchio, ora arrestato, come direttore dei lavori.

È il micromondo in cui si fanno affari solo se si sta con un piede nel governo e l'altro in Confindustria, scivolando agevolmente da una compagine all'altra e viceversa.

Un micromondo dove ovviamente non c'è nulla da programmare, quanto a sviluppo economico del paese, nessuna strategia industriale da immaginare, ma solo spesa pubblica da gestire, escogitare, ungere, far approvare. Tanto questi vengono classificati come “investimenti”, e i tagli, quando verranno pretesi dagli organismi internazionali, si faranno solo su sanità, pensioni, istruzione, ricerca, ecc.

La concidenza tra inchieste e terremoto mette in luce proprio lo scarto abissale tra bisogni generali e interessi privati di un ambiente politico-imprenditorial-mafioso.

14720337_1302290389815209_4221163576655993733_nNe consegue che l'urgenza vera – quella di salvare vite umane e patrimonio artistico-culturale – sarebbe quella di mettere in sicurezza quel 70% di abitazioni senza garanzie. Un mare di microinterventi, dunque, a basso costo, alta intensità di lavoro (non si possono usare a questo scopo ruspe e talpe giganti, controllate da pochissimi uomini), basso tasso di profitto e alto livello di controllo (i proprietari stessi degli immobili, che si sincererebbero giorno dopo giorno di qualità e velocità dei lavori, nonché dei materiali usati).

Una bestemmia per le orecchie dei “consorziati” specialisti in grandi opere pubbliche. Che preferiscono di gran lunga lavori ciclopici senza controlli, fatti con materiali di scarto e alta intensità di macchinari, pattuglioni di polizia per reprimere eventuali resistenze locali, costi che lievitano di mese in mese con la certezza che lo Stato pagherà fino all'ultimo centesimo grazie a ministri, onorevoli, funzionari foraggiati in molti modi (dalla classica bustarella gonfia all'ancora più classica escort).

Questa Italia non sparirà neanche con la vittoria del NO al referendum del 4 dicembre. Mentre una catastrofica vittoria dei “sì” le consegnerebbe le chiavi per un dispotismo pressoché assoluto e il potere di schiacciare ogni opposizione sociale con molta più forza di quanta non ne sia stata usata fin qui nei confronti del movimento No Tav.

Per questo la vittoria del NO è solo una premessa, necessaria ma non sufficiente. Urge che un altro e ben più consistente blocco sociale prenda consistenza nel corso di questa battaglia, che lega questioni costituzionali e bisogni sociali, assetti istituzionali futuri e struttura dei diritti. Abbiamo iniziato a metterlo in moto il 21 e 22 ottobre. Si tratta di farlo diventare un soggetto centrale nella dialettica politica del prossimo futuro.

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