L’emergenza Covid e le conseguenze del lockdown sul mondo del lavoro avranno “inevitabilmente una ricaduta in termini di “tensioni sociali”. Dopo la ministra degli Interni Lamorgese, a lanciare l’allarme sull’autunno è stato il Capo della polizia Franco Gabrielli, a margine di un evento a Napoli.
“E temo che queste tensioni possano avere degli sbocchi di piazza non sempre ragionevoli“. “Passato il periodo estivo, tutta quella componente di società che faceva grande affidamento sul turismo uscirà veramente con situazioni disperate“, ha aggiunto Gabrielli, commentando le parole della ministra dell’Interno sul rischio che a settembre ci sarà un “autunno caldo”.
A suo parere, quindi, disperazione e tensioni dovute al calo dell’occupazione potrebbero portare in autunno a proteste sociali nelle piazze. Ma, per affrontarle, gli agenti dovrebbero mettere da parte gli “esercizi muscolari” e scegliere la strada “del dialogo“.
Atteggiamento che ci piacerebbe veder concretizzato nelle piazze, ma purtroppo abbiamo negli occhi la “battaglia navale” scatenata dalle motovedette contro quelle dei manifestanti a Venezia, pochi giorni, all’inaugurazione del Mose.
Insomma, vien difficile crederci.
Un dettaglio interessante emerge quando il Capo della polizia, commentando le parole della Lamorgese qualche giorno fa, ci fa sapere che la Ministra “ha semplicemente ribadito concetti abbastanza ricorrenti, almeno nelle stanze del Viminale e delle forze di polizia”. Insomma questo è il clima nelle stanze e nei corridoi del Ministero degli Interni.
Le indicazioni del Capo della polizia – alto dirigente di lunga esperienza, per anni alla guida sia dei servizi di intelligence che nell’ordine pubblico e dotato di una visione politica del proprio ruolo istituzionale – sono essenziali eppure descrivono un mondo: quello che ci attende dall’autunno in poi.
Forti tensioni sociali sono probabili. Anzi: attese. E con la sottolineatura degli effetti della stagione turistica estiva che sta andando in malora in moltissimi territori. Il che rivela un monitoraggio niente affatto superficiale sulle dinamiche sociali in corso e sugli scenari possibili.
Non solo. C’è anche l’indicazione formale: mettere da parte gli approcci muscolari (manganellate, lacrimogeni, idranti per intendersi) da parte delle forze di polizia nella gestione dell’ordine pubblico cercare il dialogo.
Le affermazioni del dott. Gabrielli appaiono dunque piene di buonsenso, un fattore troppo spesso assente nelle decisioni e nella gestione delle emergenze in questi anni. E non stiamo parlando della consueta distanza tra il buon dire e il cattivo fare…
Ma sono dichiarazioni che mettono un po’ tutti di fronte a due domande che rappresentano alternative molto diverse nella soluzione delle emergenze sociali.
Dato come assodato che il malessere sociale non può che aumentare ed agire nella realtà del paese nei prossimi mesi, il sistema di potere che Gabrielli rappresenta e difende militarmente, è intenzionato a procedere ammortizzando complessivamente i problemi (sia sul piano economico che su quello dell’ordine pubblico); oppure, di fronte all’incapacità del “sistema” di dare risposte adeguate ai bisogni sociali, si agirà sul fronte di quella che è sempre stata definita come “repressione preventiva”?
In sostanza, per evitare di alzare e calare i manganelli nelle piazze, si metteranno all’opera tutti gli strumenti tipici dello “stato di emergenza”?
Il corso degli ultimi anni, nelle piazze, nei picchetti operai, nelle occupazioni abitative e nelle valli della Resistenza alle peggiori ingiustizie, mostra quanto sia largo il fossato tra il “buon dire” e il “pessimo fare” delle varie polizie.
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