Un film sulla razza padrona, scritto e diretto da un comunista inferocito, non avrebbe potuto rendere meglio cosa passa per la testa di un manager quando dirige un’azienda. Ma l’audio sbobinato da Il Fatto Quotidiano, in cui Alfredo Altavilla, amministratore delegato di Ita, incaricato di traghettare ciò che resta di Alitalia verso la dissoluzione finale, riesce in questo “miracolo”.
I manager, nella realtà, sono molto peggio di come ce li possiamo immaginare quando rivolgiamo loro le peggiori maledizioni.
Leggiamo anche noi:
“Allora, stabiliamo una regola. Se tutti questi 1.077 hanno quattro mesi di prova, fra quattro mesi la metà li voglio fuori. Semplice. Usate pure il meccanismo delle revolving doors che vi ho detto. Perché non vi preoccupate, eh, a scanso di equivoci, dal 16 ottobre cominciamo il meccanismo delle revolving doors qua dentro”.
“Ma che cazzo, ti sei flippato il cervello?”.
“Tu lo sai bene che con i numeri non mi potete prender per il culo, perché vi spiumo tutti quanti”.
“Ma queste priorità puttana troia le devo scegliere io, porca puttana, non le devi scegliere tu, cazzo. Chi cazzo ti ha dato questa autorità?”.
La prima “citazione dotta” riguarda il numero di ex dipendenti Alitalia che sono stati “assunti in prova” nella nuova compagnia. Siccome risultano “troppo sindacalizzati” – senza distinzioni tra le varie sigle, che pure esistono e sono a volte enormi – meglio dimezzarne la presenza.
Per “incentivare” i suoi dirigenti a usare la mannaia (revolving doors, porte girevoli: finita la prova sei fuori), Altavilla non trova di meglio che minacciarli della stessa sorte se non verrà conseguito l’obiettivo.
Immaginiamo senza sforzo che i dipendenti “sindacalizzati” che sopravviveranno alla mattanza verranno scelti tra quelli più “fedeli” all’azienda. Il silenzio della Cisl conferma il sospetto, ma potrebbero esserci sorprese anche per quanto riguarda singoli iscritti ad altre sigle (ci si può sempre vendere in proprio, oltre che come gruppo, no?).
Le altre frasi in libertà dànno la cifra dell’uomo. Che comunque non è affatto un Signor Nessuno, tra i manager italiani, visto che in Fiat era tra i più vicini a Sergio Marchionne, tanto da aspirare a sostituirlo e quindi andarsene, quando gli Agnelli scelsero invece Mike Manley.
Non ci meraviglia che in sede di discussioni operative in un consiglio direttivo si parli in modo meno forbito che non nelle conferenze stampa. Capita anche tra noi comunisti e fa parte della natura umana, quando “si va al sodo”.
Quello che invece ci sembra doveroso sottolineare è il livello dell’odio verso i dipendenti, che si accettano solo se ridotti a schiavi silenziosi ma sorridenti. E in particolare verso quegli “sciagurati” che si iscrivono ai sindacati, convinti di aver diritto a comportarsi da “parte contrattuale indipendente” davanti a un padrone.
Odio tanto più “sorprendente” in una società che invece è ora – e di nuovo, dopo i fallimenti delle varie privatizzazioni di Alitalia (i “capitani coraggiosi” prima, Etihad poi, con relativi salvataggi addebitati, chissà perché, alla “malagestione pubblica”) – di proprietà dello Stato.
E per la quale è stata decisa una deroga feroce rispetto alle stesse leggi esistenti (uno “Stato di eccezione” su più fronti), in specifico rispetto alla “clausola sociale” che prevede il mantenimento di salario, diritti, anzianità, ecc, nel passaggio da una proprietà ad un’altra.
Ma Altavilla viene dal settore privato, è stato tra gli architetti di quel “modello Pomigliano” con cui l’allora Fiat – con l’appoggio del governo e il silenzio dei sindacati “complici” (fece eccezione la Fiom, insiene ai sindacati di base) – stracciò il quadro normativo dei rapporti tra capitale e lavoro, già fortemente indeboliti da anni di arretramenti salariali e normativi. La sua “cultura”, ancor più del frasario, è da tagliatore di teste…
Ed è stato scelto, e suggerito a Mario Draghi, da quel “genio” del neoliberismo ideologico che risponde al nome di Francesco Giavazzi, professore alla Bocconi e noto per non averne mai azzeccata una (vogliamo parlare dell'”austerità espansiva“?).
Vista da questa angolatura “collettiva” – l’”ambiente” che lo ha selezionato apprezzandone, evidentemente, le sue “qualità” – la sbrasata di Altavilla diventa una rivelazione della “cultura dominante” tra i manager del neoliberismo occidentale in crisi.
Incapaci di immaginare e progettare qualcosa di diverso da quel che hanno sempre fatto e, come i tossicodipendenti all’ultimo stadio, ostinati nel riproporre la stessa droga in dosi sempre maggiori. La fine è prevedibile.
Ma non c’è solo “freddezza omicida” da tecnocrati, dietro certe decisioni e certe frasi. C’è anche un “lato umano” – per modo di dire… – che era stato colto con grande precisione da un poeta di poche parole, come Edoardo Sanguineti:
“Bisogna invece restaurare l’odio di classe, perché loro ci odiano e noi dobbiamo ricambiare.
Loro fanno la lotta di classe, perché chi lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più deprezzata e svenduta in assoluto?”
Era il 2007 e a qualcuno sembravano parole eccessive. Grazie, mr. Altavilla, di averle dimostrate fin troppo gentili…
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Nicola Lo Bianco
Bisogna sempre far conoscere evidenziare questi elementi di strafottenza e disprezzo, ciò che si trama dietro la facciata falsa delle tv