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Guerra all’ideologia

Niente come la guerra straccia il velo della chiacchiera ideologica, specie se di bassa lega. Come quella che circola nelle redazioni dei mass media di regime, dove il primo problema di ogni giornalista è quello di non apparire in alcun modo critico con i comandi della proprietà e della direzione.

Quella in Ucraina ha rovesciato in un attimo valori e codici di riferimento, promuovendo nel campo delle “cose positive” pratiche che per decenni erano state demonizzate quasi come Putin adesso.

Abbiamo visto eleganti inviate discettare sulla fabbricazione di molotov – con polistirolo o senza, a seconda dei casi – e compunti opinionisti sdoganare la “resistenza armata” dopo averla combattuta in qualsiasi teatro. A parti invertite, il gioco non cambia.

E in effetti l’attacco russo all’Ucraina è per molti versi il rovescio esatto di trent’anni di guerre Usa e Nato, dell’Occidente, insomma. Sono state tutte definite ai tempi “operazioni di polizia internazionale” e le vittime civili “effetti collaterali”, in nome dell’”ingerenza umanitaria”. 

In nome di un diritto di “ingerenza umanitaria” che non esiste in nessun codice, né astrattamente etico né, tanto meno, internazionale.

Ma proprio una valanga di parole sui diritti sgorga dai teleschermi e dalle prime pagine, declinati nei modi più vari e fantasiosi.

Prendiamo il caso del sequestro dei beni di alcuni oligarchi russi. Yacht avveniristici, società industriali, squadre di calcio famose. Tutti – nei media – hanno benedetto questi sequestri in nome del diritto a sanzionare quei mega-ricchi in quanto “colpevoli” di essere russi (divertente, diciamo, la preoccupazione di Israele, visto che quegli oligarchi sono spesso anche ebrei e per questo dotati di un secondo passaporto).

Pochi si sono resi conto che questa logica del sequestro di “proprietà private” fa a cazzotti con il primo principio del neoliberismo imperante secondo cui il “privato” ha sempre ragione ed è intoccabile.

Nella quotidiana lotta di classe, davanti a tante fabbriche che chiudono per delocalizzare altrove la produzione, ad opera di imprese straniere e non, potrebbe diventare presto difficile obiettare che non si può nazionalizzare quegli impianti e tenerli in funzione perché “il pubblico” non si deve impicciare in materia economica…

Perché si può espropriare il Chelsea e non l’Embraco o la Whirlpool? Perché l’occupazione e la capacità produttiva del paese dovrebbero essere meno importanti di una sanzione politico-militare a cittadini di una nazione improvvisamente diventata “nemica”?

Qual è, insomma, l’”interesse superiore” – il valore – in nome del quale si può infrangere il potere della proprietà privata?

Più complicato ancora discutere di “Stati sovrani” o di “diritto all’autodeterminazione dei popoli”. Che sono entrambi valori giusti e condivisi, a carattere universale. E per questo riconosciuti dai comunisti ogni volta che si è posto il problema (fin dall’indipendenza della Finlandia – uno dei tanti territori dell’impero zarista – riconosciuta dai vertici sovietici già nel dicembre 1917, a pochi giorni dalla Rivoluzione).

Fa però un po’ ridere che questo principio venga difeso nel caso dell’Ucraina dopo essere stato sbeffeggiato per oltre un decennio come “sovranismo reazionario” dagli stessi ideologi oggi sulle barricate pro-Kiev.

Il diritto all’autodeterminazione – come la libertà individuale – o è per tutti o non è un diritto esigibile.

Chiedetelo ai catalani, ai nordirlandesi, ai corsi, ai baschi, ai sardi, agli scozzesi, ecc – solo per restare nei confini della “vecchia Europa” al di qua della “cortina di ferro”.

Il sospetto – o la certezza – è che certi princìpi vengano agitati come stracci utili soltanto se tornano a proprio vantaggio. Perché, per esempio, l’Ucraina e tutto l’Occidente non hanno riconosciuto e – per ora – non vogliono riconoscere lo stesso diritto alla Crimea e al Donbass (abitati quasi esclusivamente da russi, non “filo-russi”)?

Peggio ancora con la “sovranità”. Se serve per aderire alla Nato o all’Unione Europea, allora è “santa”. Se viene invocata per uscirne è un “demone nazionalista” (può naturalmente assumere anche questo volto, ma non è sempre detto).

Peggio di tutti l’accoppiata tra “sovranità” e “democrazia”, specie in un paese – per esempio l’Italia – che ha in Costituzione l’inammissibilità dei referendum popolari solo nel caso dei trattati internazionali. Il che significa che l’appartenenza o meno a un sistema di alleanze – in questo caso la Nato o la Ue – è istituzionalmente sottratta una volta per sempre alla volontà popolare (mutevole del tempo storico, necessariamente, a seconda delle maggioranze democraticamente elette).

Sono solo alcuni esempi, certo. Potremmo parlare dei “crimini di guerra”, evocati solo quando non riguardano quelli commessi dalla “proprie” truppe. Sia che si parli dei massacri commessi dalla Nato a Belgrado, Baghdad o mille altri posti; sia che si parli degli italiani in Abissinia, nei Balcani o in Grecia ed Albania

Oppure della “pace” da raggiungere inviando armi al belligerante per cui “facciamo il tifo”, dopo averlo illuso con promesse non ben calcolate. Magari ragionando su “no fly zone limitate”, come se il confine potesse essere stabilito in modo unilaterale… in uno scenario di guerra guerreggiata!

Ma, appunto, stiamo parlando di ideologia.

Ossia di quella menzogna sistematica che consiste nell’evitare di parlare concretamente di un problema e cavarsela appellandosi ad “astratti furori” valoriali. Magari anche giusti, ma estranei dal contesto concreto.

Può un paese qualsiasi partecipare a qualsiasi alleanza – economica e/o militare – anche se questo viene considerato un pericolo da un paese vicino?

In astratto , nella pratica storica degli ultimi secoli, NO.

L’Italia vive in “sovranità limitata” dai tempi di Yalta (1945), approfondita poi con l’adesione alla Nato e all’Unione Europea (che ha sussunto molti “poteri sovrani”, come quelli su moneta, politiche di bilancio, ecc).

Cuba, dopo l’aggressione Usa alla Baia dei Porci (1961), si rese disponibile ad ospitare missili nucleari sovietici. Si sfiorò, come si sa, la guerra mondiale. Per il banale motivo che gli Stati Uniti non potevano tollerare simili armamenti a pochi chilometri dal proprio territorio, cosa che avrebbe concesso un vantaggio strategico enorme all’Urss (più lontani sono i missili, più tempo c’è per verificare il pericolo e reagire). E sul territorio di Cuba, gli Usa hanno voluto mantenere la base militare di Guantanamo nonostante l’opposizione del governo cubano.

E’ la logica delle “aree di influenza”, molto ben nota a chi è vissuto nel “mondo diviso in due”. Ma che ad un certo punto sembrava sepolta nel “mondo unipolare” egemonizzato dagli Stati Uniti.

Tutto poco rispettoso della “sovranità nazionale” e dell’universo dei diritti inviolabili, ma altamente razionale nel mondo concreto, dove bisogna governare i problemi sistemici e confrontarsi con l’avversario che c’è. Dove si deve trattare continuamente, facendo i conti con interessi divergenti e opposti. Altrimenti è guerra…

L’ideologia propone sempre ricette facili e chiare, teoricamente inoppugnabili.

Peccato che, a volerle cucinare davvero, risultino impossibili o tragicamente pericolose.

Siamo sull’orlo dell’abisso, gli ideologi gridano di voler fare un passo avanti…

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3 Commenti


  • Eros Barone

    Riguardo al modo in cui mi sembra che venga tematizzato da Dante Barontini il concetto di sovranità, occorre precisare, in primo luogo, che questo, a partire da Rousseau, costituisce l’elemento centrale della definizione moderna dello Stato borghese. Riducendo il raggio di tale concetto a quello di ‘sovranità nazionale’, sono note le vicende (nazionalismo, irredentismo e imperialismo) attraverso le quali il ‘popolo-nazione’, categoria determinata storicamente, geograficamente ed etnicamente, si è venuto configurando come l’essenza culturale del concetto di sovranità, ragione per cui, a partire dalla rivoluzione francese, non si è più data sovranità statuale che non fosse sovranità nazionale. E’ però attraverso quelle stesse vicende politico-ideologiche che il concetto di sovranità nazionale è giunto anche alla sua crisi. Ciò è accaduto perché esso ha corrisposto ad un tentativo plurisecolare di riorganizzazione delle varie frazioni nazionali della borghesia trionfante, tale però che l’illimitata espansione di ciascuna ha messo in crisi la possibilità della convivenza di tutte. Da questa aporia è scaturita quella cessione della sovranità in particolari campi ad enti o istituzioni sovrannazionali (ONU, UE ecc.) che è finora sembrata essere la caratteristica dell’attuale periodo storico. Va da sé che, come la storia contemporanea e la guerra in atto dimostrano, il complemento e/o l’alternativa a siffatta cessione della sovranità è la guerra interimperialista. Va quindi seguito con attenzione il processo attraverso cui il concetto di sovranità nazionale svuota di ogni radicale istanza lo stesso concetto di sovranità democratica (o popolare). Ciò è tanto più paradossale perché è proprio nel corso di questo processo di svuotamento del concetto di sovranità popolare che si sviluppa la mobilitazione reazionaria delle masse e la partecipazione di queste alla vita del sistema complessivo diviene, in generale, sempre più decisiva. Ma questo paradosso, va detto, è altresì necessario se il concetto di sovranità deve mantenersi entro l’àmbito del suo uso borghese. In definitiva, è nel movimento congiunto di un concetto di sovranità nazionale che tende al suo superamento nella dimensione sovrannazionale e di un concetto di sovranità popolare che si nega del tutto svuotandosi nello ‘stato d’emergenza’, che va vista la crisi del concetto stesso di sovranità in generale. Se si volesse riassumere in una formula questo processo, si dovrebbe dire che l’obsolescenza del concetto di sovranità è del tutto connessa all’obsolescenza dei rapporti reali che registra. In altri termini, la crisi congiunta del concetto di sovranità popolare e del concetto di sovranità nazionale mette a nudo la natura borghese del concetto di sovranità. Pertanto, la sovranità non va né “riconquistata” né tanto meno coniugata con fumosi pseudo-concetti di derivazione socialdemocratica come quello di “diritto esigibile”, ma va condotta al termine della sua traiettoria storica, cioè distrutta. Per comprendere il passaggio di fase che si sta compiendo quello che occorre è il vecchio e solido bulldozer marxista-leninista. Diversamente non è dato comprendere il meccanismo causale che, sullo sfondo di uno scontro interimperialistico sempre più aspro tra i grandi monopoli e i rispettivi Stati-nazione, determina il passaggio dalla democrazia formale alla fascistizzazione, laddove lo ‘stato d’emergenza’ prorogato fino al 31 dicembre 2022 è la porta girevole che introduce, se e quando occorre, dalla prima alla seconda. E se non si comprende questo, è inevitabile restare impigliati, dal punto di vista critico-analitico, nella rete fantasmagorica delle ‘false evidenze’, oscillando, a seconda della forza e della direzione del vento ideologico che spira dagli apparati preposti alla sua produzione, tra il feticismo dell’economia e il feticismo della Costituzione (con l’articolo 11, sì, ma con la complementare inammissibilità dei referendum popolari nei casi di trattati internazionali).


  • Umberto

    U na chiarezza di pensiero terrorizzante!


  • Giovanna Tripodi

    Ho ricercato una definizione di IDEOLOGIA.
    ” Il sistema concettuale e interpretativo che costituisce la base politica di un movimento, di un partito o di uno Stato.”
    Appunto. Il vero problema è la totale assenza e/o il rifiuto di ” ideologie” alternative oppure divaricanti rispetto a quella imperante.

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