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Quanto costa?

Non c’è talk show, da oltre 30 anni a questa parte, che non sia attraversato dal tormentone “ma quanto costano le vostre proposte?”, “dove trovate le coperture?”.

Una autentica spada di Damocle sollevata contro chiunque provi a sollevare qualche obiezione di carattere sociale – neanche “socialista” – contro l’austerità imperante in ogni ambito del discorso pubblico.

Servono insegnanti, medici, infermieri, autisti d’autobus, spazzini, ispettori del lavoro, manutentori del territorio che frana o s’allaga? “E quanto costa?”.

Il sottinteso è semplice: “sarebbe bello, ma” purtroppo non ci sono i soldi per fare riforme che vadano incontro alle necessità della gente meno ricca. Ma è un sottinteso falso: non siamo (ancora) un paese povero, quasi da Terzo Mondo, che non può permettersi quasi nulla. Quest’anno, il patrimonio mobiliare (soldi) degli italiani è arrivato a 5.256 miliardi, quasi tre volte il Pil. Siamo ricchi, insomma. O meglio, alcuni (sempre meno) lo sono moltissimo…

Ancora più falso se poi vediamo come si muovono quegli stessi governi che predicano “austerità” di spesa, tagli, riduzione del debito pubblico, ecc.

Da Mario Monti a Mario Draghi il debito pubblico ha continuato a crescere, nonostante venissero chiusi ospedali, bloccato il turnover nella pubblica amministrazione e negli enti locali, privatizzato quasi ogni servizio (a cominciare dall’acqua, che un referendum di undici anni fa stabiliva dovesse restare pubblica), svendute tutte le aziende (e le banche) controllate dallo Stato o di “interesse nazionale”.

Un tormentone che ha ovviamente investito l’unica mezza misura pro-poveri partorita in 30 anni di neoliberismo imperante (il reddito di cittadinanza), nonostante i dati dimostrino che sono le imprese private i veri vampiri del denaro pubblico.

Possiamo prendere il “bonus 110%” (miliardi di truffe delle imprese edili), il caso Autostrade (invece di revocare la concessione e chiedere i danni, dopo la strage di Ponte Morandi che dimostrava lo sfacelo della mancata manutenzione “privatistica”, lo Stato ha versato più di 8 miliardi ai Benetton come “buonuscita”).

Non c’è ambito della vita economica del paese in cui non si ripeta sempre lo stesso schema: le imprese private truffano, evadono il fisco, agiscono fuori legge (dal rispetto dei contratti alla sicurezza sul lavoro, dalla corruzione al lavoro nero, dall’inquinamento allo smaltimento dei rifiuti pericolosi, ecc).

Ma il motivetto cantato da ogni conduttore televisivo (inutile menzionare la stampa quotidiana, di proprietà diretta di qualche potente gruppo industriale o finanziario) ha una sola nota: quanto costa fare qualcosa per il popolo?

E la risposta implicita è sempre: troppo. Anzi, è da lì che bisogna sottrarre qualcosa per darlo alle imprese, “le uniche che creano lavoro”. Che poi è un altro falso, visto quanto ne vanno distruggendo, tra delocalizzazioni e chiusure…

Ma il punto in cui casca l’asino della comunicazione pro-austerità sono le spese militari. Sempre in aumento, ora con l’obiettivo di arrivare almeno al 2% del Pil in pochissimo tempo. Sempre oscure, nascoste nelle pieghe dei codicilli scritti in caratteri invisibili.

Basti pensare ai 12,5 miliardi di nuovi progetti militari varati dal governo Draghi dopo le dimissioni, da quando in teoria dovrebbe occuparsi istituzionalmente solo “degli affari correnti”. Quelli, cioè, che non impegnano i governi futuri, solo teoricamente in grado anche di fare qualcosa di diverso.

Bisogna uscire da questa trappola comunicativa.

Ogni scelta politica “costa”, anche e soprattutto quelle fatte nella logica “dell’austerità”. Ogni miliardo in meno di spesa pubblica significa una riduzione del Pil fino a tre volte tanto. E questo anche senza calcolare i danni sociali che derivano dall’abbandono di programmi pubblici.

Bisogna rovesciare la domanda.

Quanto costa svuotare il sistema sanitario nazionale? Quante centinaia di migliaia o milioni di “morti anticipate” – secondo la criminale e perciò immortale espressione usata da uno dei massimi dirigenti della sanità lombarda, in pieno picco pandemico – sono già addebitabili ai tagli degli ultimi trenta anni?

E quanto costa, all’opposto, la scelta di sovvenzionare la sanità privata con il regime delle “convenzioni” o con i finanziamenti diretti (a gruppi che possiedono, ma guarda un po’, anche qualche grande giornale)?

Quanto costa avere infrastrutture di trasporto fatiscenti a livello locale (specie al Sud), sia stradali che ferroviarie? Quanta economia, oltre che utilità sociale, va perduta per questo?

Quanto costa avere una scuola sottofinanziata, con docenti demotivati da stipendi infimi (i più bassi d’Europa, in termini assoluti)?

Quanto costa formare generazioni di studenti senza conoscenza critica, ossia incapaci di risolvere problemi nuovi ma obbligati invece a cercare di applicare soluzioni già note per problemi superati? Addirittura costretti a cercarsi un lavoro molto inferiore alle loro qualifiche?

Quanto costa l’aver creato le condizioni per una nuova ondata di emigrazione di massa verso l’estero?

Quanto costa desertificare interi territori dove nessuna attività produttiva di un qualche rilievo è ormai possibile per mancanza di competenze (toh!), conoscenza, forza lavoro adeguata, infrastrutture di trasporto, ospedali?

Quanto costa non saper più programmare lo sviluppo del Paese? Anzi, aver rinunciato completamente ad elaborare una visione dello sviluppo che non sia frutto del caso e dei rapporti di forza contingenti?

Quanto costa l’aver costretto diverse nuove generazioni – da 40 anni a questa parte – nella morsa della precarietà e dei salari insufficienti per vivere?

Quanto costa, perciò, avere generazioni in età riproduttiva che non possono – per ragioni di salario e di reddito, non per “scelte ideologiche” – avere una casa, programmare dei figli, costruirsi un futuro, avere un ruolo da protagonisti?

Quanto costa, di conseguenza, avere uno sviluppo demografico terrorizzante? L’anno scorso le nuove nascite sono state meno di 400.000. Erano più di un milione all’inizio degli anni ‘60, e comunque quasi 600.000 ancora nel 2008.

Significa che nei prossimi due o tre decenni, andando avanti con le politiche fin qui messe in campo – quelle che penalizzano con una sola mossa sia gli anziani (costretti al lavoro fino a fine vita, ovviamente più breve) che i giovani (resi “sterili” per motivi economici proprio nel momento della massima capacità riproduttiva) – avremo un fortissimo calo della popolazione residente.

E quella popolazione sarà mediamente più anziana (anche quelli che sono oggi giovani invecchiano), più povera, con una sanità più rarefatta e costosa, con un patrimonio anche immobiliare minore (quanti dovranno vendere la casa ereditata, a prezzi stracciati, per poter sopravvivere?). Dunque più esposti agli eventi avversi, con pensioni irrisorie e un’aspettativa di vita minore.

Quanto ci costerà questo congelamento pluridecennale delle migliori energie del Paese?

Quanto costa, al dunque, la vostra austerità da contabili senza cervello, al servizio di pochissime multinazionali che – guarda un po’… – stanno vedendo il loro “mercato” restringersi e abbaiano alla luna per i danni che loro stesse hanno provocato?

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