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L’atomica sotto le bretelle

Lo ammettiamo subito: Federico Rampini è solo un pretesto. Anzi, solo un esempio di quel che è diventato il giornalismo servile in quest’angolo di Occidente capitalistico. Giusto un po’ più noto della media, e quindi utile per “riassumere” un comportamento collettivo, con o senza bretelle.

Si potrebbero mettere in fila i titoli dei suoi pezzi degli ultimi anni, che spaziano dalla Cina alla Russia, dal Medio Oriente al Sudamerica. Tutti tasselli di un puzzle narrativo semplice e vagamente bipolare (in senso clinico): l’Occidente ha sempre ragione, i suoi competitor sempre torto.

Non c’è differenza tra una contesa sui dazi o sui missili, sul libero commercio o sugli smartphone, sulle alleanze internazionali o sulle tecnologie: il risultato è sempre lo stesso.

Anche a costo di dire sciocchezze grandi come un fungo nucleare.

Del resto siamo in tempi di guerra e, dovunque si guardi, dall’Ucraina alla Palestina, il confine tra conflitti con armi convenzionali o possibili scarrucolamenti atomici è sempre più vicino.

Lo si è visto sulla questione “consentire a Kiev di utilizzare contro il territorio russo i missili a lungo raggio forniti dai paesi Nato” che di fatto avrebbe richiesto l’impegno diretto dell’Alleanza Atlantica per direzionarli, controllarli e assisterli via satellite (che Kiev non possiede..). Dunque entrare in una guerra potenzialmente nucleare (è previsto da entrambe le “dottrine nucleari”, sia russa che Nato).

L’impossibilità di sfuggire al dilemma “ogni aiuto ulteriore a Kiev sarebbe guerra totale, ma non vogliamo la guerra totale, che distruggerebbe anche noi” deve aver suscitato in ambienti Nafo (North Atlantic “fella” Organization, insomma i “tifosi”) un sentimento nostalgico irresistibile.

Colto immediatamente dai tanti Rampini in circolazione, al punto da suggerire un pezzo come “Trent’anni fa l’America «regalava» le atomiche ucraine alla Russia”. Che errore (sottotitolo silenzioso)…

Lasciamo perdere il piccolo falso storico (quelle atomiche non erano “ucraine”, ma costruite e posizionate “anche” in Ucraina dall’Unione Sovietica appena disciolta) e limitiamoci ad analizzare logica e conseguenze di questo “rammarico”.

Nel ‘94 l’Occidente aveva appena vinto la “guerra fredda” con l’Urss, ne aveva favorito la dissoluzione grazie all’ubriacone salito al Cremlino (Boris Eltsin), manovrabile come una marionetta da abili “consiglieri” statunitensi e non (basta leggere qualche intervista di uno di loro, Jeffrey Sachs).

La situazione era abbastanza simile anche nelle altre repubbliche ex sovietiche, guidate da oligarchi rapaci e classi politiche – diciamo così – parecchio instabili, con potenziali conflitti reciproci (Kirhyzistan, Tajikistan, Uzebekistan, Kazakhstan, ecc).

Le testate nucleari sovietiche erano presenti un po’ dappertutto e la preoccupazione principale era – comprensibilmente – sottrarle al controllo di un personale politico e militare non all’altezza di quel potere distruttivo. Concentrarle tutte in Russia, mentre contemporaneamente se ne disattivano molte, sembrò una buona idea. In fondo da quel Cremlino lì non potevano venire grossi problemi. Tanto che fu ammesso tranquillamente nel G7 (c’era anche Putin a Genova 2001…) e qualche tempo dopo chiese inutilmente addirittura di entrare nella Nato.

L’esagerata famelicità delle multinazionali (che si impossessavano delle immense risorse russe anche tramite alcuni oligarchi “prestanome”) e l’atteggiamento colonialista delle élites occidentali (l’enorme estensione ad Est della Nato, contrariamente alla parola data) provocò ad un certo punto la reazione nazionalista dell’unica classe dirigente locale dotata di una solida preparazione: l’ex Kgb. Che, a partire dal suo ex capo – Putin – iniziò a riscrivere la mappa del potere interno recuperando “sovranità decisionale” (non “popolare”).

Di lì in poi la storia è più recente e nota. E, per quanto riguarda specialmente l’Ucraina, tenuta sotto silenzio. Il golpe di Majdan, nel 2014, defenestra il presidente eletto – Yanukovic – e installa i nazisti al potere. La Crimea – con oltre il 90% di cittadini russi – indice un referendum e decide l’indipendenza e l’adesione alla Russia (che è una federazione, del resto). Lo stesso o quasi fanno le repubbliche del Donbass (Donetsk e Luhansk).

E contro queste ultime parte l’offensiva militare nazista e di parte dell’esercito ucraino, che produce 14.000 morti fino al 2022, quando Mosca – dopo aver inutilmente proposto un “piano” per evitare l’escalation – fa partire l’”operazione militare speciale”.

Gli analisti militari della Nato, anche nelle settimane precedenti (i movimenti di truppe sono visibili dai satelliti), valutano però inutile aprire trattative, considerando improbabile che la Russia avrebbe valicato l’immaginaria “linea rossa” dell’intervento diretto.

Da allora ad oggi abbiamo avuto decine di valutazioni altrettanto sbagliate, tutte univocamente motivate allo stesso modo (per gli Himars, i Patriot, gli Abrahams, gli F-16, ecc). Come se Mosca non avesse ogni volta, e a sua volta, alzato il livello della risposta.

Fino alla modifica della “dottrina nucleare”, che prevede d’ora in poi che ogni attacco verso la Russia da parte di uno Stato che non possiede armi nucleari, ma con la ‟partecipazione” o il ‟sostegno” di uno Stato nucleare, sarà considerato un attacco congiunto alla Federazione Russa da parte di entrambi.

Di più: ‟sotto determinate condizioni”, o con ‟informazioni attendibili” circa l’inizio di un attacco aerospaziale e il passaggio della frontiera con aerei strategici o tattici, missili cruise, droni, missili ipersonici ‟e altri apparecchi volanti” può portare a una risposta nucleare. La protezione nucleare è inoltre estesa anche alla Bielorussia, alle stesse condizioni. Definizioni elastiche, problemi certi…

Un segnale chiaro, e ben compreso a Washington, che ha immediatamente ricondotto all’ovile quel poco di buono di Starmer (nuovo premier inglese sedicente “laburista”) e confermato il divieto (o la non partecipazione, peraltro indispensabile) all’uso di missili a lungo raggio sul territorio russo.

Contrordine, Nafo! Occorre prudenza nello sfruculiare l’orso con artigli atomici (checché se ne pensi, ovvio)… E se avevate credute alle vostre stesse fandonie (sostanzialmente: “La Russia è pezzi, quindi bluffa“), beh, fate finta di niente, tanto ci siete abituati…

Perdonate la lunga ricostruzione, anche se nota a molti lettori, ma era necessaria per comprendere perché i fomentati guerrafondai che si sentivano già a cavallo dei “missili a lungo raggio”, come in Stranamore, siano ora costretti a ripiegare sul “rammarico” per le “testate regalate dall’America alla Russia”.

Il ragionamento è degno di un bambino litigioso. Se quelle testate fossero rimaste in Ucraina ora Kiev potrebbe usarle liberamente (non proprio “tranquillamente”, visto quel che possiede comunque la Russia) e noi occidentali non ci saremmo dovuti neanche sporcare gli scarponi.

Falso anche questo, comunque, perché in ogni caso direzionare missili con testata nucleare richiede un’assistenza satellitare di prim’ordine. E soprattutto perché lo hanno capito anche i sassi che Kiev è solo il reparto avanzato “irregolare” della Nato. Dunque, anche nel caso che quelle testate fossero rimaste ucraine, la risposta russa sarebbe stata contro tutta l’Alleanza, non solo verso Kiev…

In mano a questa gente è affidata la “narrazione” che dovrebbe stimolare le popolazioni occidentali a farsi “partecipi” di un conflitto senza possibili vincitori e probabilmente con pochissimi sopravvissuti.

Per fortuna, nonostante i sondaggi manipolati dai Mentana di turno, sono proprio in pochi a bersela…

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