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Se spari all’Onu vuol dire che…

Se il ministro della difesa di una dei governi più genuflessi a quello di Israele arriva a parlare di “crimini di guerra”, oppure “l’Onu e l’Italia non prendono ordini da Israele”, vuole dire che qualcosa di eccessivamente grave è avvenuto.

Stiamo parlando di vecchi marpioni della politica e dell’intermediazione di affari intorno alle armi, abituati a tutti i compromessi in vista di obiettivi tangibili. Non di idealisti che prendono cappello ad ogni violazione dei diritti umani.

Ma l’attacco israeliano alle basi Unifil in Libano rappresenta davvero il superamento di una “linea rossa” che illumina, obiettivamente, sul tipo di rapporto che Tel Aviv intende stabilire con il resto del mondo. Sottolineiamo: “con il resto del mondo”, non solo con i propri vicini “arabi”.

La gravità eccezionale dell’attacco non sta ovviamente nelle conseguenze materiali, quasi risibili a fronte di un genocidio in atto a Gaza e in Cisgiordania e all’invasione del Libano, con la sua sequela di massacri indiscriminati, ma nel fatto stesso che sia avvenuto.

Non era semplicemente mai successo che una forza di interposizione dell’Onu – truppe appartenenti a vari paesi, con il compito di tenere separate parti in conflitto – venisse attaccata dall’esercito di uno Stato membro dell’Onu. Attacchi anche sanguinosi era avvenuti in passato in altri missioni, ma ad opera di forze irregolari, nel corso di scontri tribali, ecc. Ovvero da parte di soggetti che non rappresentavano entità statuali stabili, riconosciute, firmatarie di accordi internazionali.

Giuridicamente l’attacco all’Unifil è una dichiarazione di guerra alla comunità mondiale (non quella definita “internazionale” e coincidente con i soli alleati degli Usa), in senso lato a tutta l’umanità.

Non si è trattato di un incidente o di un errore, ma di un attacco intenzionale”, hanno precisato immediatamente dal comando Unifil in Libano. E il ministro Crosetto, responsabile degli oltre mille soldati italiani in loco, non poteva – neanche volendo – far altro che assumere la stessa postura indignata. E quindi convocare l’ambasciatore di Tel Aviv per pretendere una “spiegazione formale” per un atto “militarmente privo di giustificazione” e politicamente devastante per il diritto internazionale.

Se qualcuno si aspettava delle scuse o una minimizzazione da parte israeliana sarà rimasto sicuramente deluso. Il comunicato con cui l’Idf ha ricostruito quanto accaduto è una dichiarazione di suprematismo senza se e senza ma: “Stamattina, le truppe dell’Idf hanno operato nell’area di Naqura, accanto a una base Unifil. Di conseguenza, l’Idf ha ordinato alle forze Onu nell’area di rimanere in spazi protetti, dopodiché ha aperto il fuoco nell’area.

L’Idf “ha ordinato”, quindi il personale militare Onu avrebbe dovuto solo “obbedire”, contravvenendo alla Risoluzione che ha deciso sia la missione che i suoi compiti, e quindi il senso stesso della sua presenza lì.

E’ l’esibizione pura e semplice dell’idea per cui non c’è nessuna autorità o legge internazionale che Israele sia disposto a rispettare. Conta solo la sua volontà e la possibilità materiale – militare – di fare quel che vuole. Zero “valori”, zero “regole accettate”, zero interlocutori…

Non manca neanche un velato accenno al fatto che il contingente Unifil se la sarebbe in qualche misura “meritata”: sfortunatamente Hezbollah sta cercando di nascondersi vicino alle basi Unifil e Israele ha già scoperto tunnel e depositi di armi vicino a quell’area“.

Insomma: se Unifil avesse fatto di più per disarmare Hezbollah nella zona, forse l’avrebbe passata liscia. Non a caso è questo l’unico argomento di alcuni squallidi gazzettieri filosionisti che, non potendo stavolta definire il “bersaglio” come una “base di Hezbollah o di Hamas”, si devono arrampicare sugli specchi per minimizzare o giustificare in qualche modo un attacco che pone Israele fuori dall’Onu, con tutti gli effetti che dovrebbero essere conseguenti (dalla possibilità di ricevere armi e finanziamenti, accesso ai mercati, ecc) se gli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna non disponessero del potere di veto.

La ricostruzione del comando Unifil, decisamente più attendibile, accusa invece l’Idf di essersi inizialmente posizionato “al riparo della rete di demarcazione della base Onu” per bombardare le postazioni di Hezbollah, contando sul fatto che i miliziani sciiti non avrebbero risposto per non rischiare di colpire i soldati internazionali.

Un altro “crimine di guerra”, insomma, consistente nell’usare i militari Onu come “scudi umani”.

Ma Israele non si ferma più davanti a nulla. Dopo tutto questo, l‘ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon, ha avuto ancora la faccia tosta di dire La nostra raccomandazione è che l’Unifil si sposti di cinque chilometri a nord per evitare pericoli mentre i combattimenti si intensificano e la situazione lungo la Blue Line resta instabile a causa dell’aggressione di Hezbollah“.

In pratica: l’Onu deve togliersi dai piedi e lasciarci fare quel che abbiamo in programma…

Era inevitabile che prima o poi la “libertà d’azione” concessa dall’Occidente a Israele avrebbe causato danni anche ai suoi complici, non solo ai suoi avversari. Una volta stabilito che il suprematismo razzista sionista era legittimato a fare qualsiasi cosa in virtù di un ormai metafisico “diritto a difendersi” anche a centinaia di chilometri da casa, era solo questione di tempo prima che i militari di Tel Aviv prendessero di mira anche qualche alleato considerato poi non troppo importante. Tipo l’Italia…

Il che dimostra che nella testa dei Netanyahu e dei Ben-Gvir non esiste limite entro il quale fermarsi. E questo pone sia un problema al resto del mondo che allo stesso Israele.

Tutto o niente, “vittoria e dominio totale o morte”, è una strategia che non lascia spazio a soluzioni intermedie, a sforzi diplomatici, a mediazioni durature.

Ma può uno Stato con appena 6,5 milioni di cittadini (Israele è per legge lo “stato ebraico”, con un regime di discriminazione pesante per “gli arabi” che pure vi vivono) pensare di imporre a tutto il mondo la propria esclusiva “volontà di potenza”?

La Storia ha già vissuto follie similari, e sono tutte finite nel modo più logico, a prezzi obiettivamene mostruosi, anche quando il soggetto impazzito era molto più grande e potente (la Germania nazista, per esempio).

La presenza di armi nucleari complica l’equazione, nel senso di far prevedere un prezzo più alto per tutta l’umanità. Ma non può cambiare il segno del risultato…

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1 Commento


  • Pasquale

    La civiltà occidentale, ecco cosa ha prodotto. Morte e distruzione, altro che sviluppo, scienza e tecnologia come ciancia ipocritamente qualche trombettiere filo americano di casa nostra.

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