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Il vicolo cieco del terrore di Stato

Da oltre 12 mesi i media del nostro “libero Occidente” ci bombardano con un messaggio che ritengono evidentemente importante: “il presidente Biden fa pressione sul governo israeliano perché nella sua azione militare si preoccupi un po’ di più dei civili”, o comunque “si stabilisca un cessate il fuoco”.

Com’è noto i risultati di questa pressione sono stati decisamente zero. Dunque dovremmo dedurre che gli Stati Uniti – o persino loro – contano nulla nell’opinione di Netanyahu e soci. Il che, obiettivamente, equivarrebbe a dire che come “gendarmi del mondo” gli Usa contano ormai una cippa…

Anche in queste ore il messaggio viene ripetuto, con poche variazioni sul tema. L‘amministrazione Usa – per bocca del portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller – ha confermato alcune indiscrezioni di stampa (israeliana) secondo cui il segretario di Stato Blinken e il ministro della difesa Austin hanno inviato una lettera al governo di Israele avvertendolo che “la continua assistenza militare alla sicurezza di Israele da parte degli Stati Uniti” sarà a rischio se non verranno apportati cambiamenti significativi per migliorare la crisi umanitaria a Gaza. Con calma, naturalmente, al massimo entro 30 giorni.

Abbiamo bisogno di vedere ulteriori cambiamenti da parte del governo di Israele“, afferma Miller, aggiungendo che ci sarebbero anche implicazioni secondo la legge statunitense (armare uno Stato genocida che attacca persino l’Onu…) e Washington “spera” che Israele apporti i cambiamenti delineati nella lettera.

I nostri Mentana e servitorelli vari plaudono, giurando che “finalmente” gli Usa starebbero perdendo la pazienza con “Bibi”, Smotrich, Ben-Gvir e la banda di stragisti al governo.

Nelle stesse ore, però, sugli stessi media, appare una notizia che smentisce la prima: “l’amministrazione Biden ha fatto arrivare in Israele una batteria antiaerea Thaad per contrastarli, in previsione dell’attacco di Tel Aviv all’Iran e, di conseguenza, della risposta della Repubblica islamica”.

E non è tutto. Poiché questo sistema antiaereo era rimasto fin qui indisponibile per l’esercito israeliano, insieme alla batteria sono stati inviati un centinaio di militari statunitensi per farla funzionare, curare la manutenzione, ecc.

Di fatto uno schieramento militare operativo Usa per sostenere la prevista – o desiderata – escalation contro l’Iran.

Lo sdoganamento mediatico di questo “impegno diretto” americano ha fatto venir fuori altri dettagli fin qui tenuti accuratamente nascosti, tipo quello riferito da Guido Olimpio (il “terminale” dei servizi segreti occidentali sul Corriere della Sera): “Sito 512, a Her Qeren, appena a una trentina di chilometri dalla Striscia di Gaza. La sigla in codice identifica una base «segreta» realizzata dagli Usa insieme agli israeliani fin dagli anni 2000. Costruita nel deserto del Negev, fa parte della rete integrata di sorveglianza che deve monitorare la minaccia dei missili iraniani. Per questo ospita un radar mobile, i Patriot e forse anche un Thaad, il sistema più sofisticato di questa categoria di armi.

Lo schieramento fisico di truppe Usa in Israele, insomma, risale a più di 20 anni fa. Cresce solo di numero e qualità degli armamenti, con qualche preoccupazione nuova.

I missili iraniani si sono rivelati più precisi e veloci del previsto, nell’attacco del primo ottobre, tanto da “bucare” ampiamente l’”ombrello protettivo” Iron Dome, nonostante il supporto di aerei statunitensi e britannici.

Peggio ancora. Sia Hamas che Hezbollah, e soprattutto Teheran, hanno introdotto una variazione importante nei loro attacchi con razzi, droni, e missili balistici: ne “sparano” contemporaneamente a decine o centinaia, così da “saturare” le possibilità degli intercettori israeliani (e statunitensi).

Ciliegina sulla torta: questa “ferraglia volante” del “fronte della Resistenza”, nonostante la buona precisione, è prodotta a costi bassissimi.

Al contrario, insomma, degli evoluti intercettori occidentali. Si crea così un mismatch molto negativo, con gli “scudi” che costano infinitamente di più delle “lance”. Il che, sui grandi numeri, diventa un problema molto serio.

Il Financial Times scriveva l’altro ieri in una sua inchiesta che «Gli Stati Uniti stanno correndo a colmare le lacune nello scudo protettivo di Israele», tenendo però conto che le scorte di missili intercettori negli arsenali americani «non sono illimitate».

In poche parole, se Iran e Hezbollah (e gli Houthi o le milizie sciite irachene) faranno lanci massicci per giorni di droni, razzi e missili balistici, lo scudo israeliano potrebbe non reggere perché, semplicemente, finisce le munizioni.

Washington ne è consapevole, aiuta il suo alleato, anche fornendo le bombe che martellano Gaza e il Libano, ma in cambio  avrebbe chiesto e – dicono – “ottenuto che Netanyahu rinunci a colpire i siti nucleari e le installazioni petrolifere dell’Iran”, il che significherebbe trascinare gli Usa in guerra.

Riassumiamo: gli Stati Uniti stanno armando Israele sia per i suoi attacchi (bombe di tutti i tipi, comprese quelle “anti-bunker” che hanno ucciso Nasrallah e altri dirigenti Hezbollah, oltre a massacrare la popolazione civile nei dintorni), sia per le sue difese (batteria anti-missile). Per far funzionare tutti i dispositivi al meglio hanno anche aumentato – di 100 militari, tutti “tecnici” – il contingente già presente e attivo da un ventennio.

C’è una sola conclusione possibile, tirando le somme.

Washington e Israele stanno recitando da tempo le note parti del “poliziotto buono” e del “poliziotto cattivo”, ma lavorano in pieno accordo – come ogni squadra di sbirri o di assassini – per arrivare nelle migliori condizioni possibili (anche “mediatiche”) alla guerra con l’Iran.

Anche a rischio che l’escalation sfugga loro di mano, coinvolgendo – per amore o per forza – anche la lunghissima serie di soggetti che in Medio Oriente vivono e contano qualcosa.

Questa che stiamo dicendo è, per il resto del mondo (ed anche per le élite pensanti dello stesso Occidente), quasi una banalità. Da sempre Israele e Stati Uniti procedono mano nella mano, strattonandosi un po’ qua e un po’ là…

Ma molte cose sono cambiate, nel corso dei decenni. Il resto del mondo è cresciuto, economicamente e politicamente, e il “doppio standard” occidentale non è più tollerato da nessuna parte. Rimane giustamente una sobria considerazione dei rapporti di forza, per cui molti soggetti che pure vorrebbero “fare qualcosa” si bloccano – per lo meno nella posizione ufficiale – un attimo prima di entrare nella “lista nera” di Usa e Tel Aviv.

Il problema fondamentale è però che il bastone del comando, o la capacità di “dettare l’agenda”, sembra passato dal soggetto forte dell’imperialismo (gli Usa, naturalmente) a quello “sussidiato e mantenuto”: Israele. Il che crea un oggettivo scarto tra potere di decidere e livello della responsabilità. Gli irresponsabili che si sentono onnipotenti frequentano i centri di salute mentale, in un mondo civile…

Lo aveva detto lo stesso Netanyahu all’indomani del 7 ottobre 2023: «La nostra risposta cambierà il Medio Oriente». Ma gli strumenti di cui poteva disporre erano davvero pochi: le armi e le operazioni omicidiarie del Mossad.

Ma con questi mezzi si possono uccidere tanti nemici, mai tutti. Si può spargere il terrore e persino rivendicarlo apertamente, minacciando o sparando a tutti e tutto. E soprattutto non si costruisce alcun consenso intorno alla propria azione. Anzi. Con il terrore sistematico e gli omicidi mirati non si costruisce neppure una situazione “stabile” di lunga o media durata. Così come non può esistere una “zona cuscinetto” di qualsiasi dimensione in grado di proteggere i cittadini israeliani da futuri lanci di razzi o missili…

Il rovello che perseguita da mesi tanti gazzettieri filo-sionisti – i nostri Mentana e giù scivolando nella melma assoluta – è proprio l’isolamento totale che Tel Aviv registra nel mondo, ed anche all’interno di quasi tutti i paesi occidentali. Basta guardare i sondaggi, anche in presenza di un totalitarismo mediatico da far paura.

Un isolamento che, di conseguenza, si è andato rapidamente estendendo all’”adulto nella stanza” – la Casa Bianca – preso nella tenaglia tra l’apparire manifestamente incapace di farsi obbedire da un paese “nanerottolo” (Israele ha appena sei milioni e mezzo di cittadini a pieno titolo, in quanto “stato ebraico” fondato sull’apartheid) oppure essere riconosciuto come complice e mandante di un genocidio.

Un isolamento che ormai incide con chiarezza anche nei rapporti con quei servi senza speranza dell’Unione Europea, stretti a loro volta tra l’obbligo di foraggiare l’Ucraina, anche costo di perdere i rapporti di fornitura con la Russia e molti altri paesi, e il dover fiancheggiare uno Stato genocida che contraddice tutta la retorica dei “diritti umani” su cui aveva fondato la narrazione circa la propria “superiorità morale” (“il giardino contro la giungla”).

Sempre più spesso si alzano voci, ancora troppo flebili, che chiedono l’unica cosa utile per “fermare Israele e la guerra”: smettere di inviargli anche solo uno spillo, e men che mai altre armi.

Ma sappiamo anche che chiunque abbia esercitato “egemonia” per un lungo periodo, una volta entrato in crisi perché non più il dominus senza avversari, difficilmente è in grado di modificare i comportamenti che lo avevano reso potente in passato.

E i colpi di coda della bestia morente sono più pericolosi, non paradossalmente, dei morsi che dava quando era in salute. Nel secondo caso, almeno, si poteva contare su una qualche logica, per quanto perversa.

Allacciamo le cinture, non sarà una disputa filosofica…

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1 Commento


  • Pasquale

    Ma Biden è stato ascoltato e preso in considerazione. Infatti Israele, nella sua azione militare, si ‘preoccupa’ molto dei civili, anzi si sta preoccupando ‘solo’ dei civili soprattutto palestinesi. Si sono capiti perfettamente fin dal primo minuto.

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