Il seguente intervento è la sintesi della più estesa trattazione degli stessi argomenti contenuta nel libro: “SI CANTARA EL GALLO ROJO. Cina e nuovo sistema economico-monetario. Critica delle relazioni internazionali e progetti di democrazia di piano nel mondo multipolare”, in collaborazione con Joaquin Arriola e Rita Martufi pubblicato a Roma, nell’aprile del 2021, dalle Edizioni Efeso.
In particolare si tratta dei tre paragrafi finali contenuti nel capitolo sulla Cina in cui si analizza il profilo della politica economica cinese, i principi e l’articolazione della cooperazione economica di Pechino e lo sviluppo della valuta digitale della Repubblica Popolare.
Quest’ultimo aspetto della politica monetaria è uno dei nodi centrali della futura sfida valutaria a livello internazionale. Su di esso va posta la necessaria attenzione per comprendere i futuri assetti del commercio globale e della geo-politica internazionale, all’interno di uno scontro sempre più acceso con il Dollaro ed il sistema di scambi che ha il suo perno nella valuta statunitense.
Visto il corposo apparato di note contenuto nei tre paragrafi, che avrebbe reso difficile la lettura della relazione, e l’abbondante bibliografia sull’argomento, rimando al volume in questione per entrambi gli aspetti, nonché per la trattazione più estesa degli argomenti presi in considerazione in questa relazione.
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La cooperazione internazionale della Cina è chiaramente correlata alla sua politica estera e risponde al progetto dei suoi leader di imporre il proprio paese come potenza mondiale. Basti pensare al fatto che, a fine 2020 Pechino ha rilanciato i propri impegni per 2021 per la costruzione di un socialismo moderno.
In particolare, la Cina si impegnerà nella salvaguardia della sovranità, sicurezza e intessi dello sviluppo, esigenze ovviamente legate al controllo dell’epidemia di COVID-19, nonché alla promozione di legami amichevoli e pacifici con altre nazioni.
A tal fine Pechino sottolinea l’importanza di instaurare rapporti di sviluppo pacifici, che puntino ad un avanzamento degli scambi commerciali in armonia tra le civiltà per la costruzione di un sistema più equo e democratico. È proprio a questo fine che le autorità cinesi hanno rimarcato il potenziamento delle relazioni internazionali con la Russia e del progetto della “Via della Seta” che ricordiamo, tocca da vicino nazioni Europee, Asiatiche e Africane.
La cooperazione cinese però si estende anche al campo tecnologico, con un ampliamento della rete 5G e della copertura wireless in tutto il paese.
Ma il piano della Cina ha radici lontane: già dagli anni ’70 e, cosa molto importante dall’inizio del XXI secolo, la Repubblica Popolare Cinese ha partecipato agli sforzi di cooperazione internazionale sia come donatore che come beneficiario.
In qualità di donatore, la leadership cinese ha progettato un programma di sostegno per i paesi sottosviluppati chiamato “aiuti esteri” (duiwai yuanzhu). D’altra parte, partecipa come donatore e destinatario (in una logica di “doppio binario”), quando si tratta di problemi mondiali considerati beni pubblici. Per quanto riguarda la cooperazione internazionale allo sviluppo, la leadership cinese la accetta come tale, ma non partecipa attivamente a questo meccanismo che opera nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico attraverso l’Assistenza Ufficiale allo Sviluppo.
Il Quattordicesimo Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico e Sociale Nazionale e la Visione per il Ventitreesimo Piano Quinquennale definito nella Riunione Plenaria del CC del PCC dell’Ottobre 2020 incorpora una riflessione sul ruolo della Cina nel mondo che rispecchia questa visione di relazioni internazionali basate sul reciproco vantaggio, ma non attraverso le regole del mercato, bensì attraverso la pianificazione dello sviluppo – che include la subordinazione al mercato. I punti più importanti sono:
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L’apertura al mondo esterno ad alto livello e l’esplorazione di una nuova fase di cooperazione a beneficio di tutti
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La costruzione di un nuovo sistema di economia aperta di livello superiore
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La promozione dello sviluppo di alta qualità attraverso l’iniziativa “One Belt, One Road”
La partecipazione attiva alla riforma del sistema di governance economica globale
La Cina si unirà alle consultazioni su un piano di parità sia per il reciproco vantaggio sia per ottenere risultati vantaggiosi per tutti, e promuoverà il ruolo della cooperazione economica internazionale del Gruppo dei Venti (G20) e altri. Pechino sosterrà il sistema commerciale multilaterale, parteciperà attivamente alla riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e promuoverà un sistema più equo e razionale di governance economica globale.
Parteciperà attivamente ai meccanismi regionali multilaterali e bilaterali di investimento e di cooperazione commerciale, promuoverà la creazione di regole di governance economica nelle aree emergenti e rafforzerà la sua capacità di partecipare alla governance finanziaria internazionale; attuerà una strategia per migliorare le zone di libero scambio e creare una rete globale di queste di alto livello.
La Cina afferma chiaramente che la cooperazione internazionale contribuisce a promuovere il proprio ritmo di sviluppo, in un mondo sempre più globalizzato, e sostiene che l’isolamento porta solo alla rovina dei paesi. Sebbene si sforzi di raggiungere uno status di grande potenza, lotta per evitare la trappola del reddito medio tipica dei grandi paesi dell’America Latina.
In questo senso, il presidente Xi Jinping ha recentemente sollevato la necessità di stabilire una società modestamente agiata nei prossimi anni, per la quale deve rafforzare l’apertura al commercio estero, tutelando gli interessi degli investitori.
Coerentemente con questa strategia, la Cina ritiene che la cooperazione internazionale vada di pari passo con gli investimenti diretti esteri (IDE) e il commercio estero. Per questo promuove la negoziazione e la firma di accordi di libero scambio bilaterali e regionali; crea nuove istituzioni finanziarie e aumenta la sua influenza su quelle tradizionali, come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
Inoltre, ha dato un grande impulso alla Belt and Road Initiative (BRI, precedentemente nota come la Via della Seta del XXI secolo), che è diventata il nucleo organizzativo del suo schema di cooperazione internazionale.
Le ragioni della divergenza della Cina dalla cooperazione internazionale allo sviluppo comportano un costo burocratico molto elevato con pochi risultati. Inoltre, poiché la Cina fornisce una grande quantità di risorse finanziarie e tecnologiche per la cooperazione internazionale in tutto il mondo, è più conveniente – per lei – che abbia il controllo diretto dei flussi finanziari, del modo e dei luoghi in cui questi si sviluppano.
Oltre agli aiuti e agli IDE, il commercio estero è uno strumento essenziale della cooperazione internazionale cinese. Basandosi su molteplici trattati e accordi commerciali, Pechino ora promuove la liberalizzazione economica e commerciale globale e (paradossalmente) sostiene la globalizzazione economica, attaccando anche il protezionismo. La sua esperienza di quasi quattro decenni gli dà forza nella difesa della sua politica di apertura, iniziata alla fine degli anni ’70.
Attraverso gli IDE, la Cina esporta capitale e tecnologia e garantisce l’approvvigionamento di materie prime di base per mantenere il suo ritmo di crescita economica. Secondo i dati ufficiali, nel 2016 gli investitori cinesi, sono riusciti a canalizzare questi flussi attraverso 7.961 società localizzate in più di 164 paesi e regioni.
Va notato che non ci sono informazioni precise sugli importi stanziati per la cooperazione internazionale cinese, data la diversità degli enti governativi che vi partecipano e il coordinamento insufficiente tra di loro.
Dal punto di vista di vari paesi e regioni, il commercio estero della Cina rappresenta una grande sfida, a causa del surplus della sua bilancia commerciale. Per diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Messico e Unione europea, il deficit con la Cina è stato un grave problema.
Come è noto, l’attuale conflitto commerciale della Cina con gli Stati Uniti risiede proprio nell’ampio surplus commerciale della prima. Nel 2019, ad esempio, le importazioni statunitensi dalla Cina hanno continuato a crescere nonostante le sanzioni.
I principi guida della cooperazione cinese
Definire la cooperazione cinese è difficile, ma si può percepire una continuità storica dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949 all’attuale diplomazia, che sembra suggerire che i principi guida dell’aiuto estero cinese in passato siano rimasti costanti e rimangano in vigore. I
l cosiddetto Libro Bianco per la Cooperazione allo Sviluppo (CBCD) della Cina è il quadro dal quale si articolano gli aiuti alla cooperazione in questo paese. Presenta i principali elementi di base della cooperazione su cui si basa il management estero cinese.
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Il primo dei cinque principi di base è la promozione dell’autosviluppo dei paesi beneficiari dalle loro capacità, quindi la Cina cercherà di fare tutto il possibile per aiutare i paesi beneficiari a costruire le basi per lo sviluppo. futuro che permetta loro di muoversi sulla via dell’autosufficienza e dello sviluppo autonomo.
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La non imposizione di condizioni politiche occupa il secondo posto nell’elenco dei principi presenti nella Lettera Bianca. La Cina difende i cinque principi della coesistenza pacifica e il diritto dei paesi ospitanti di scegliere autonomamente il proprio modello di sviluppo. Pertanto, la Cina rifiuta l’uso degli aiuti esteri come mezzo per interferire negli affari interni dei paesi beneficiari o per cercare privilegi politici per sé stessa.
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In terzo luogo, aderendo al principio di uguaglianza, mutuo vantaggio e sviluppo comune, la Cina sostiene che gli aiuti esteri si concentreranno sugli effetti pratici, si adatteranno agli interessi dei paesi beneficiari e si sforzeranno di promuovere relazioni bilaterali amichevoli e vantaggio reciproco attraverso la cooperazione economica e tecnica con altri paesi in via di sviluppo.
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Inoltre, mantenere una visione realistica durante il lavoro è fondamentale, motivo per cui costituisce il quarto principio. La Cina sostiene di fare ogni sforzo per adattare i propri aiuti alle reali esigenze dei paesi beneficiari e fornisce aiuti esteri nell’ambito delle proprie capacità e in base alle condizioni interne della Cina.
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Infine, adattarsi ai tempi e al contesto storico, prestando attenzione alle riforme e all’innovazione, è per la Cina il quinto principio. A tal fine, la Cina adatta i suoi aiuti esteri allo sviluppo sia alle situazioni nazionali che internazionali, presta attenzione alle esperienze e alle innovazioni nel campo degli aiuti esteri, adatta e riforma rapidamente il meccanismo di gestione, al fine di migliorare costantemente il proprio lavoro di aiuto all’estero.
Per l’attuazione dei progetti di aiuto allo sviluppo, la Cina offre otto diverse modalità, sintetizzate nel Libro bianco sulla cooperazione cinese. Questa tipologia si divide tra complementazione di progetti, beni materiali, cooperazione tecnica, cooperazione per lo sviluppo delle risorse umane, team cinesi che lavorano all’estero, aiuti umanitari di emergenza, programmi di volontariato all’estero e cancellazione del debito.
Il concetto di “ascesa pacifica” si riferisce alla necessità della Cina di un contesto internazionale pacifico per raggiungere la sua crescita economica. Per diventare la forza principale e il potere egemonico dell’economia mondiale, la Cina promuove un clima amichevole e multipolare nelle sue relazioni con il resto dei paesi.
L’ascesa pacifica sottolinea la partecipazione al processo di globalizzazione, piuttosto che la sua separazione, con l’obiettivo di portare la popolazione cinese fuori dallo stato sottosviluppato, cioè per migliorare la situazione economica della sua popolazione per maggiore integrazione con la società internazionale. In realtà, si possono vedere molte differenze tra la proposta di cooperazione della Cina e il cosiddetto Washington Consensus, massima espressione del pensiero neoliberista.
È chiaro che Pechino è il perno della possibilità di una cooperazione economica multilaterale per i paesi che desiderano “sganciarsi” dalla subordinazione imposta sia dagli USA che dall’Unione Europea.
Il ruolo della Cina nel Sistema Monetario Internazionale
Il posto e il ruolo della Cina nella finanza internazionale devono essere affrontati da tre aree di analisi per avere una visione globale: come destinatario di risorse finanziarie, come fornitore di risorse finanziarie e per il ruolo dello yuan nell’economia internazionale.
Praticamente da quando la Cina ha avviato il proprio processo di riforme e di apertura all’esterno, la sua partecipazione come destinatario di risorse dal resto del mondo è stata significativa, al punto che negli anni 2000 è diventata tra i 10 principali paesi destinatari di tutti i tipi di flussi diretti ai paesi sottosviluppati, sia ufficiali che privati, in particolare investimenti diretti esteri (IDE).
Secondo il Report sugli Investimenti nel Mondo nel 2019 pubblicato dall’UNCTAD, gli afflussi di IDE hanno continuato ad aumentare tra il 2018 e il 2019, da 138 miliardi di dollari a 141 miliardi di dollari (+ 2%). Questa crescita è stata favorita dai piani di liberalizzazione, dal rapido sviluppo del settore high-tech e dall’istituzione di zone di libero scambio. Lo stock di IDE nel 2019 ha raggiunto 1.769 trilioni di dollari, con una crescita esponenziale rispetto al 2010, quando lo stock era di 587 miliardi di dollari. Nel 2019, la Cina è stata il secondo più grande destinatario di IDE nel mondo, dietro gli Stati Uniti e prima di Singapore.
Questo paese è il più grande destinatario in Asia. La realizzazione di progetti e la crescita degli investimenti produttivi, come quelli di BASF (Germania), Exxon Mobil (Stati Uniti) e multinazionali automobilistiche come Tesla (Stati Uniti), Toyota (Giappone), Volkswagen e Daimler (entrambe tedesche), hanno contribuito a mantenere la crescita. I principali investitori in Cina sono rimasti generalmente stabili. I flussi in entrata dagli Stati Uniti e dall’Europa sono diminuiti, ma gli investimenti regionali hanno continuato ad aumentare con la crescita dei flussi dai paesi dell’ASEAN.
Singapore, Isole Vergini, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti, Isole Cayman, paesi Bassi, Taiwan e Germania sono stati altri importanti investitori. Gli investimenti sono stati principalmente orientati alla produzione, ai servizi informatici, ai servizi immobiliari, aziendali e di leasing, al commercio all’ingrosso e al dettaglio, all’intermediazione finanziaria, alla ricerca scientifica, ai trasporti, all’elettricità e alle costruzioni.
La Cina si è classificata al 31° posto su 190 paesi nel rapporto Doing Business 2020 della Banca Mondiale, un notevole miglioramento rispetto al 2019, quando si è classificata al 46° posto su 190. La Cina è stata una delle prime 10 economie a migliorare i rapporti 2019 e 2020.
Il governo cinese incoraggia gli investimenti nei seguenti settori o industrie: tecnologia all’avanguardia, produzione di attrezzature o nuovi materiali, settore dei servizi, riciclaggio, utilizzo di energie rinnovabili e protezione dell’ambiente.
Inoltre, il paese sembra scoraggiare gli investimenti stranieri in settori chiave, per i quali la Cina cerca di trasformare le aziende locali in multinazionali competitive a livello globale, e settori che hanno storicamente beneficiato di monopoli statali o che sono stati tradizionalmente di proprietà statale.
Il governo scoraggia anche gli investimenti che cercano di generare profitti con la speculazione (valuta estera, speculazione immobiliare o patrimoniale). Inoltre, il governo prevede di limitare gli investimenti stranieri in industrie ad alta intensità di risorse e altamente inquinanti.
Ci troviamo quindi attualmente in processo che è l’inverso di quello che accadde alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX secolo, dove l’imperialismo capitalista occidentale guidato dal Regno Unito riuscì a subordinare e declinare le più importanti economie del mondo, Cina e India, trasformandole in periferia. Ciò è stato ottenuto principalmente dalla sua potenza militare associata alla rivoluzione industriale.
Il processo che è iniziato è noto come “Grande Divergenza”, che descrive l’enorme divario di sviluppo tra le due parti del mondo: il centro imperiale occidentale e le sue periferie e colonie vennero addirittura definite il “regno di mezzo”.
Dopo l’ascesa vertiginosa del Giappone e delle tigri asiatiche, riemerge la Cina, centro storico dell’Asia Pacifica, che fino all’inizio del XIX secolo rappresentava circa metà dell’economia mondiale. Sebbene il riemergere della Cina abbia una lunga storia che inizia con la rivoluzione del 1949, nel XXI secolo possiamo evidenziare quattro momenti chiave, che segnano cambiamenti fondamentali sulla mappa del potere mondiale e il cui ultimo momento è l’attuale pandemia.
Nel 2001 abbiamo individuato un primo momento chiave. Dopo aver recuperato Hong Kong nel 1997 e Macao nel 1999, ultime grandi vestigia coloniali territoriali dell’Occidente, si consolidò finalmente la Shanghai Cooperation Organization (OCS), una sorta di NATO difensiva in Eurasia, in alleanza con la Russia e i paesi dell’Asia centrale, le cui basi erano state gettate nel 1997. Inoltre, in quell’anno aderì all’Organizzazione mondiale del commercio e, d’altra parte, segna un fatto di riaffermazione sovrana abbattendo un aereo spia nordamericano nel suo territorio.
Da parte sua, l’amministrazione George W. Bush pone fine al quadro geopolitico del “partenariato strategico del XXI secolo” e passa a quello della “competizione strategica”. A sua volta, l’amministrazione statunitense comincia a considerare in modo molto negativo l’influenza economica incipiente ma crescente della Cina in America Latina.
Il secondo momento si verifica nel periodo dalla crisi finanziaria globale del 2008, con epicentro negli Stati Uniti. Pechino ha prodotto una svolta importante da lì indirizza le sue enormi risorse in eccesso al mercato interno. Per fare ciò, i finanziamenti agli Stati Uniti derivanti dall’acquisto di buoni del tesoro sono diminuiti di oltre il 60%. Inoltre, ha ampliato gli investimenti in scienza e tecnologia e ha fatto progressi nell’acquisizione di asset strategici e nell’espansione globale delle sue società, diventando un attore leader negli investimenti diretti esteri, in particolare in America Latina, Africa e Asia.
Intorno al 2009 sono stati lanciati i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), articolando in un blocco le potenze industriali della semi-periferia nella ricerca per riconfigurare l’Ordine Mondiale.
Il terzo momento si verifica nel 2013 quando Pechino lancia l’iniziativa rivoluzionaria della “Nuova Via della Seta”, come risposta alle strategie di contenimento promosse da Washington e dai suoi alleati. Insieme a questa iniziativa, promuove una nuova architettura finanziaria su scala globale, come la Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture e la Banca BRICS, che oscurano l’FMI e la Banca mondiale.
Allo stesso tempo, le alleanze con la Russia si sono consolidate a tutti i livelli per creare una struttura di potere nel continente eurasiatico che eclissi la superiorità dell’”Impero del mare”. Questi movimenti hanno esacerbato le reazioni degli Stati Uniti e dell’Occidente geopolitico e alimentano la guerra mondiale ibrida e frammentata che stiamo attraversando dal 2014.
Il quarto momento è la strategia della Nuova Via della Seta, delineata per la prima volta nel settembre 2013 e presentata ufficialmente nel marzo 2015, è identificata come il fulcro della geopolitica. Si basa su una rete integrata di grandi progetti di infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeree e di telecomunicazioni, racchiusa in due iniziative fondamentali.
Da un lato, una rotta terrestre, soprannominata la “cintura economica della via della seta” che collegherebbe la Cina con l’Europa attraverso l’Asia centrale. Dall’altra, la “Via della Seta Marittima del XXI secolo”, che collegherebbe le coste della Cina con il Sudest asiatico, il Medio Oriente, l’Europa e l’Africa.
Il Sud America potrebbe unirsi a questa rotta marittima in futuro, se la Cina riuscisse finalmente a convincere i leader sudamericani a aderire alla “visione transoceanica” del progetto: una linea ferroviaria di 5.000 km dal porto brasiliano di Açu al porto peruviano di Ilo, dove stabilire un regolare collegamento navale con la Cina.
Per finanziare questo ambizioso piano, la Cina ha progettato un’intera serie di reti finanziarie. Pertanto, per la realizzazione della nuova Via della Seta, Pechino ha già impegnato un investimento diretto di 40.000 milioni di dollari, che andrebbe ad aggiungersi ai 50.000 milioni impegnati dalla Asian Infrastructure Investment Bank (BAII) – nella quale la Cina ha una forte posizione dominante, al punto da poter porre il veto a decisioni importanti – e a una percentuale dei 40.000 milioni nelle mani della China Investment Corporation, e una parte dei 100.000 milioni di capitale stimato a disposizione della New Development Bank lanciata dai BRICS – e con sede a Shanghai – nel luglio 2014.
A questo dobbiamo aggiungere l’annuncio, da parte del governo cinese, della ricapitalizzazione delle sue varie banche di sviluppo – per un totale di 62.000 milioni di dollari – e i fondi impegnati da Pechino in vari accordi bilaterali, abbiamo la portata della nuova Via della Seta, così come la ferma volontà del colosso asiatico di mettere in piedi questa titanica iniziativa geopolitica. La strategia, infatti, se analizzata da un punto di vista geopolitico, risponde alle principali minacce e variabili della politica estera cinese.
Analizzare la Cina significa utilizzare una nuova scala che, come tutti i grandi fenomeni quantitativi, comporta profonde trasformazioni qualitative. La pandemia ha portato questo problema alla ribalta molto chiaramente. Emerge una nuova soglia di potere, che si manifesta in più dimensioni, a partire dal campo sanitario: il 90% degli antibiotici è prodotto in Cina, che fornisce anche l’80 % delle materie prime per tutti i medicinali del mondo.
D’altra parte, dal 1° marzo al 5 aprile 2020, la Cina ha esportato 3.860 milioni di mascherine, 37,5 milioni di tute protettive, 16.000 respiratori e 2,84 milioni di kit di rilevamento COVID-19. Inoltre, ha avuto la capacità di quintuplicare la sua produzione di mascherine in meno di tre mesi e fino ad arrivare a produrne più di 110 milioni al giorno.
Questi numeri corrispondono ad altri dati che evidenziano la grandezza di quello che sta succedendo, nonché la sua estrema velocità.
Il settore finanziario cinese e le interconnessioni con il Sistema-Paese
Mentre vent’anni fa le reti finanziarie anglosassoni e le loro grandi banche dominavano a livello globale, ora le prime quattro banche più grandi del mondo secondo le attività sono cinesi. Inoltre, tra le prime dieci aziende più grandi al mondo per fatturato, tre sono cinesi e sempre la Cina ha 119 delle prime 500 aziende mondiali (quando nel 2007 ne aveva solo 25), arrivando a 129 se si aggiungono quelle di Taiwan, contro gli Stati Uniti ne possiedono 121, secondo l’indice Fortune Global 500.
D’altro canto, la Cina non è più leader solo nella produzione a bassa e media complessità. I suoi prodotti industriali ad alta tecnologia sono passati dal costituire il 7% del valore mondiale nel 2003 al 27% nel 2014. L’altra faccia della medaglia è che i salari si sono triplicati negli ultimi dieci anni.
Nel delta del fiume delle Perle si sta formando una megalopoli di 70 milioni di persone, che ha un PIL di 1.5 trilioni di dollari e si sviluppa come un centro mondiale di alta tecnologia, e in questa zona si trovano le città di Guangzhou, Shenzhen (base da Huawei, Tencent e ZTE), ZhuHai, Macao, Hong Kong e Dongguan (dove viene prodotto il 20% degli “smartphone” mondiali). Qui è stato costruito il ponte marittimo più lungo del mondo, che collega Hong Kong, Zhuhai e Macao.
Questi sono alcuni dei motivi per cui la Cina ha consumato in tre anni (2011-13) la stessa quantità di cemento che gli Stati Uniti hanno impiegato in un secolo. D’altra parte, i componenti del 90% dei prodotti tecnologici mondiali passano attraverso quella regione.
Nel 2020 la Cina ha superato per la prima volta gli Stati Uniti nelle domande di brevetto, guida alcune tecnologie all’avanguardia per la cosiddetta quarta rivoluzione industriale – intelligenza artificiale, tecnologie IOT, 5G -, guida la transizione energetica insieme ad altri paesi dell’Asia Pacifico, la sua quantità totale di dati (Big Data) è molto superiore a quella degli Stati Uniti e è previsto che riduca il suo ritardo tecnologico relativo in altri rami come la robotica, i semiconduttori e l’industria aerospaziale attraverso il Piano Made in China 2025, che di fatto rompe il monopolio tecnologico del Nord del mondo.
Questo è uno dei motivi principali per cui gli Stati Uniti di Trump hanno lanciato la guerra commerciale contro la Cina, ma anche contro i suoi tradizionali alleati e “vassalli”, che sono tenuti a sostenere il primato degli Stati Uniti, producendo enormi tensioni.
In sintesi, questi dati ci mostrano che la Cina sta emergendo dalla “fabbrica del mondo” verso la conformazione del più grande centro economico produttivo-tecnologico globale, avanzando a tutti i livelli di complessità. La crisi scatenata dalla pandemia accelera questo processo. Ora è anche in competizione per la prima volta ai massimi livelli insieme ad altri centri tecnologici mondiali nello sviluppo di farmaci e del vaccino per il COVID-19.
In quanto potenza emergente che ha raggiunto la supremazia produttiva, utilizza maggiormente il libero scambio poiché il potere in declino, o almeno le sue frazioni più arretrate e i gruppi di potere associati, esacerbano il protezionismo.
Oltre a quanto accennato in ambito produttivo-tecnologico, Pechino contesta già i monopoli commerciali mondiali e sminuisce la sua debolezza in ambito finanziario. In quest’ultimo punto spicca un dato centrale rispetto alla pandemia, che si aggiunge al lancio nel 2018 dell’unico luogo per la commercializzazione del petrolio in yuan: la Cina sta diventando luogo di riserva di valore in piena crisi, e la crisi scatenata dalla pandemia di COVID-19 ci fa pensare che stiamo affrontando un nuovo momento nella geografia del potere mondiale.
Investimenti e consumi interni
La crescita economica della Cina sarà sempre più trainata dai consumi interni e dagli investimenti. Questo è il motivo per cui sono necessarie misure di riforma più audaci per coltivare un mercato interno più efficiente, per liberare il potenziale del paese e verificare una crescita di qualità superiore.
Si ritiene che, mentre l’economia cinese cresca con l’aumento del reddito delle famiglie e del settore dei servizi, che oggi rappresenta la maggior parte del suo PIL, la trasformazione da un’economia orientata all’esportazione in un’economia orientata al consumo interno e agli investimenti sarà un passo inevitabile
Il prossimo piano quinquennale (2021-2025) per il paese, recentemente proposto dal Partito Comunista (PCC) per l’approvazione nella sessione annuale del Legislativo, tenutasi nel marzo di quest’anno, ipotizza una crescita sostenibile “di alta qualità” e green, proponendo di trasferire il carico sull’economia dalle industrie inquinanti al settore dei servizi o rendendo l’innovazione nella scienza e nella tecnologia nuovi impulsi di sviluppo: queste sono strategie che Pechino sostiene da tempo.
Le riforme hanno avuto anche un enorme impatto sull’economia mondiale, soprattutto sui flussi commerciali e sui relativi prezzi. Ma quel modello di sviluppo, basato sull’accumulazione di capitale e manodopera a basso costo, è giunto al termine e il paese è già entrato in una seconda ondata di grandi trasformazioni economiche.
Ma la sua nuova strategia economica evidenzia anche l’impegno per l’autosufficienza, che va inteso nel contesto della guerra commerciale con gli Stati Uniti, il cui attuale governo cerca di tagliare l’accesso della Cina alle tecnologie chiave e sanzionare i giganti asiatici del settore nel paese, come Huawei o Tencent.
Ciò comporta la creazione di catene di approvvigionamento in settori chiave all’interno del paese – anche produzione, alimenti di base o energia – mentre la conoscenza tecnologica continua a essere importata e un impegno per lo sviluppo e la ricerca in questo campo, aree che richiederanno uno sforzo titanico.
Liu He, considerato l’ideologo economico, sottolinea che al di là della reazione al volatile ambiente internazionale, la strategia è anche «un tentativo di rivitalizzare la sua agenda economica», dice l’esperto. Il segno distintivo della strategia è il suo rinnovato senso di urgenza e sarà utilizzato per far passare alcune vecchie riforme.
Questi includono l’aumento della competitività delle aziende statali, la fornitura di maggiori incentivi di mercato per la ricerca scientifica e tecnologica, la creazione di mercati dei capitali più efficienti e la liberalizzazione di fattori di produzione come terra, lavoro o capitale. La chiave è la parola «antico».
La Finanza digitale
Una delle performance stellari dell’economia cinese è nel campo della finanza digitale: la Cina ha le più grandi aziende al mondo nel cosiddetto “fintech” (società di finanziamento digitale, pagamenti online con il cellulare e applicazioni finanziarie).
Anche in questo caso, c’è spazio per i “vantaggi degli arretrati” e la possibilità di bruciare le tappe: molto prima che ci fosse la possibilità di sviluppare l’attività bancaria tradizionale di massa e l’uso delle carte di credito, una parte consistente della popolazione aveva accesso a queste forme molto più agili e accessibili di finanziamento non bancario.
Infine, va notato che la proiezione della Cina come centro finanziario internazionale è cominciata, seppur lentamente e da molto tempo. È vero che per ora gli investimenti esteri in obbligazioni e azioni cinesi non superano il 2-3%, il che spiega perché l’apertura delle quotazioni alla Borsa di Shanghai non rappresenti ancora un dato significativo per i mercati finanziari.
Tuttavia, la politica cinese mira, anche nel contesto della rivalità con gli Stati Uniti, ad aumentare, non a diminuire, i legami finanziari con il resto del mondo. A tal fine, sta dando nuove concessioni agli investitori stranieri. Ad esempio, sta agevolando le condizioni di accesso al mercato e l’acquisto di azioni di imprese cinesi e, contrariamente a quanto accade agli stessi cittadini cinesi, gli investitori stranieri non hanno restrizioni nel ritirare il loro capitale dal paese, se lo desiderano, secondo un chiaro tentativo di conquistare soprattutto i grandi fondi d’investimento internazionali.
Come dimostrano i bilanci di HSBC – che ottiene tre quarti dei suoi profitti globali solo dalla Cina e da Hong Kong -, le possibilità di fare buoni affari, se il PCC lo permette, sono immense. E il rapporto è di reciproca convenienza, perché con la riduzione del suo leggendario surplus delle partite correnti esterne dal 10% del PIL nel 2007 a meno dell’1% nel 2018, il flusso di investimenti esteri è essenziale per evitare un deprezzamento dello yuan (TE 9150, “Counter-flow”, 6-7-19).
Le attività bancarie estere in Cina hanno raggiunto i 650 miliardi di dollari, un terzo in più rispetto al Giappone. E quelle banche sono convinte che l’apertura sia una cosa seria.
L’ironia è che proprio nel momento in cui la Cina decide di adottare una politica di investimenti a favore degli stranieri, gli Stati Uniti intendono bloccarla. Quindi, al di là delle vicissitudini della pandemia, l’evoluzione di questo ramo di attività sarà nell’immediato periodo soggetto alle vicissitudini della “nuova guerra fredda” e agli alti e bassi della politica statunitense.
La Cina e la situazione monetario-finanziaria internazionale: guerra finanziaria e ruolo internazionale dello yuan
Il ruolo del dollaro statunitense come moneta mondiale e quindi come principale mezzo di pagamento internazionale, le attività di riserva e i mezzi per conservarle, insieme al controllo delle principali istituzioni responsabili della compensazione e della liquidazione dei pagamenti internazionali, come la rete SWIFT o il sistema CHIP o Fedwire, danno al governo statunitense un ampio margine di manovra per imporre unilateralmente sanzioni finanziarie ad altri paesi.
Gli Stati Uniti hanno impedito ai governi, alle istituzioni e agli individui stranieri di utilizzare dollari statunitensi nei finanziamenti internazionali, quindi non possono ricevere pagamenti per le esportazioni, pagare per l’acquisto di beni o possedere beni denominati in dollari statunitensi. I blocchi nei principali sistemi di compensazione e regolamento rendono difficile condurre tutti i tipi di transazioni internazionali, anche in valute diverse dal dollaro USA.
L’influenza degli Stati Uniti comprende praticamente tutte le entità finanziarie globali, indipendentemente dalla loro nazionalità, che effettuano o desiderano effettuare transazioni anche con entità americane. gli Usa, attraverso l’Office of Foreign Assets Control (Ufficio per il controllo dei beni esteri) ha imposto pesanti sanzioni commerciali e finanziarie alle banche non statunitensi che hanno violato la politica statunitense elaborando transazioni dichiarate illecite, a condizione che ciò venisse fatto dal governo statunitense attraverso il sistema globale dei pagamenti.
La Cina sta preparando da tempo piani di emergenza nel caso in cui la guerra economica lanciata dagli Stati Uniti influisca sulla capacità di gestione internazionale delle finanze cinesi. Nel luglio 2020, Reuters ha riferito dell’iniziativa guidata dalla banca centrale cinese di eliminare gradualmente l’uso del sistema SWIFT da parte delle banche cinesi e di affidarsi maggiormente al sistema di servizi di compensazione e regolamento del Sistema di Pagamento Interbancario Transfrontaliero (CIPS) che la Cina ha lanciato nel 2015 per favorire l’internazionalizzazione dell’uso dello yuan.
Ma la presenza ancora scarsa della valuta cinese a livello internazionale si traduce in un basso profilo del sistema. Il sistema di pagamento CIPS della Cina per gli insediamenti di yuan ha elaborato 135,7 miliardi di yuan (19,5 miliardi di dollari) in transazioni giornaliere l’anno scorso, meno del 2% del volume giornaliero del sistema di compensazione CHIPS degli Stati Uniti.
Ecco perché uno dei principali obiettivi della politica monetaria condotta dalla Banca Popolare cinese (banca centrale) è quello di rafforzare il ruolo dello yuan come moneta globale. Attualmente rappresenta solo il 2% delle riserve ufficiali, un livello lontano dal ruolo della Cina nel commercio internazionale (15% delle esportazioni totali, 20% escluso il commercio intraeuropeo) e nelle riserve ufficiali del Paese, che rappresentano circa un quarto di quelle valutarie mondiali (3.000 miliardi di dollari su un totale di 12.000 miliardi di dollari di riserve valutarie ufficiali).
I piani ufficiali includono l’accelerazione del funzionamento dei mercati finanziari e la loro apertura, comprese le politiche di rimozione dei limiti di proprietà straniera sui titoli, la gestione dei fondi, i futures e le compagnie di assicurazione sulla vita, l’abolizione della restrizione delle quote di investimento per gli investitori istituzionali stranieri qualificati (QFII) e gli investitori istituzionali stranieri qualificati RMB (RQFII), e l’approvazione dell’ingresso di American Express, MasterCard, Fitch Rating e altre istituzioni nel mercato cinese.
L’unificazione delle politiche di gestione dei cambi applicate nell’apertura del mercato obbligazionario è finalizzata a facilitare l’accesso degli investitori internazionali alle attività in yuan, che nella situazione attuale diventano più appetibili visti i tassi minimi e persino negativi dei titoli di stato degli USA, del Giappone o dei paesi dell’UE.
Gli attivi in yuan sono inoltre rafforzati dalla stabilità del tasso di cambio, e in ogni caso le tendenze al rialzo della valuta cinese nei mercati, valorizzano i rendimenti in valuta estera degli attivi in yuan.
Gli analisti internazionali si aspettano un aumento della domanda internazionale di yuan, e di conseguenza un miglioramento delle possibilità di gestire una parte crescente del loro commercio estero in quella valuta, sia per le esportazioni che per le importazioni.
Infatti, il 40% del debito estero della Cina è già denominato in yuan, e le aspettative della Banca Popolare Cinese sono che entro il 2030 almeno il 10% delle riserve ufficiali mondiali in valuta estera sarà in yuan, un livello che normalizzerebbe l’uso dello yuan come moneta globale e di conseguenza rafforzerebbe l’autonomia della Cina dai sistemi internazionali di pagamento e regolamento dominati dagli Stati Uniti.
Riformare le finanze per rafforzare l’industria
La riforma finanziaria ha anche un’importante dimensione interna, a sostegno dei piani e delle strategie definite per i prossimi decenni. Così, il piano Made in China 2025 approvato dal Consiglio di Stato nel luglio 2015 ha previsto una serie di cambiamenti nella politica finanziaria a sostegno del processo di miglioramento della qualità e della scala tecnologica del settore manifatturiero
Una dimostrazione di questa strategia è per esempio la decisione recente di ridurre la redditività dell’attività finanziaria per sostenere il consolidamento del settore nella situazione post-COVID. Un obiettivo annuale di tagli ragionevoli degli utili di 1,5 trilioni di RMB (215,5 miliardi di USD) è stato pianificato dal sistema finanziario a favore di aziende di vario tipo.
Secondo le misure politiche introdotte per stabilizzare e avvantaggiare le imprese incluse nei primi 10 mesi di quest’anno, seguendo il principio della sostenibilità commerciale, il sistema finanziario ha rinunciato a circa 625 miliardi di RMB (90 miliardi di USD) di utili a beneficio dell’economia reale attraverso tagli dei tassi di interesse e a circa 275 miliardi di RMB (40 miliardi di USD) attraverso due strumenti che consentono un sostegno diretto all’economia reale: il differimento dei rimborsi dei prestiti alle PMI e i prestiti non garantiti. I due canali insieme hanno offerto esenzioni dalle agevolazioni del valore di 900 miliardi di RMB (130 miliardi di USD).
Queste misure, insieme ad altre come le commissioni ridotte o esentate per i servizi finanziari e il sostegno alle ristrutturazioni aziendali e gli scambi di debito in cambio di azioni, hanno permesso al sistema finanziario di cedere all’economia reale una parte dei suoi profitti di circa 1,25 trilioni di RMB (180 miliardi di USD) e di compiere così progressi sequenziali verso l’obiettivo di riduzione annuale degli utili di 1,5 trilioni di RMB previsto per il 2020.
La nuova guerra fredda finanziaria
Il lancio di uno yuan digitale da parte della Banca Popolare cinese è stato tradotto nelle preoccupazioni dei paesi capitalisti, in particolare dalla preoccupazione mostrata da molte banche centrali dei paesi sviluppati nell’affrontare le sfide poste dalla Libra, dal bitcoin e da simili criptovalute digitali, che come nel caso della Libra di Facebook sono collegate a un pool di attività che devono essere adeguatamente monitorate per prevenire minacce alla stabilità finanziaria globale e garantire che non siano utilizzate per finanziare attività illecite o l’evasione fiscale.
Tuttavia, le preoccupazioni che hanno portato il governo cinese a promuovere la sua moneta virtuale sono inizialmente incentrate sulla situazione interna. Il criptoyuan dovrebbe contribuire a frenare una possibile “dollarizzazione” dell’economia cinese, in cui il dollaro USA verrebbe utilizzato in parallelo o al posto della valuta locale.
Il quadro giuridico per l’implementazione della moneta digitale e del sistema di pagamento elettronico (digital currency and electronic payment system – DCEP) include lo yuan digitale come parte della moneta sovrana del paese. Contemporaneamente alla creazione di un’istituzione speciale da parte della Banca Popolare cinese nel 2014 per sviluppare lo yuan digitale, la Cina ha messo a punto un giro di vite sull’uso della cripto-moneta per le transazioni nazionali a entrambe le estremità della catena di pagamento.
Il governo centrale ha chiarito che gli obiettivi del DCEP includono la sostituzione del contante, il mantenimento del controllo governativo sulla valuta e la creazione del maggior numero possibile di piccoli scenari di vendita al dettaglio.
Lo yuan digitale sarà distribuito attraverso la banca centrale cinese ai fornitori autorizzati di secondo livello, comprese le grandi banche statali, gli operatori di telecomunicazioni controllati dallo Stato e i fornitori di pagamenti online Ant Group e Tencent. Così, l’apertura del mercato cinese alle carte American Express viene realizzata con l’impegno di utilizzare lo yuan digitale nelle transazioni. La Banca Centrale della Cina garantirà il valore dello yuan digitale con misure di vigilanza, compresi i requisiti di riserva e i coefficienti di capitale.
Se c’è un default o un fallimento di uno schema del DCEP, l’istituto di secondo livello è responsabile del potere d’acquisto dello yuan digitale garantito, quindi una situazione di panico bancario riguarderebbe l’istituto di secondo livello, ma non la banca centrale. Anche gli istituti di secondo livello saranno responsabili del mantenimento della privacy degli utenti, anche se i dati di pagamento saranno supportati solo dalla banca centrale.
Ma anche se la linea ufficiale segue queste direttive, è probabile che il governo cinese abbia interesse a testare sul mercato interno uno strumento monetario che prima o poi sarà applicato ai pagamenti internazionali.
Lo yuan digitale può svolgere un ruolo centrale nella promozione di un sistema di pagamento internazionale alternativo a quello dominato dagli Stati Uniti, accelerando l’internazionalizzazione dello yuan attraverso i pagamenti internazionali associati agli acquisti al dettaglio dei consumatori, piuttosto che alle transazioni commerciali all’ingrosso.
Nella misura in cui altri paesi utilizzano lo yuan digitale, sarebbe più facile per le autorità monetarie cinesi tracciare e controllare i flussi di capitali in entrata e in uscita dal paese, attraverso la propria piattaforma di pagamento globale. Ciò consentirebbe anche un migliore controllo del riciclaggio di denaro sporco e di altre attività illegali.
Questo obiettivo fa parte degli sforzi delle autorità monetarie cinesi per prevenire gli scambi tra lo yuan e le criptomonete come il bitcoin, il cui valore è in ultima analisi indicato in dollari USA. Questa politica è in contrasto con quella seguita dalle banche centrali dei maggiori paesi sviluppati, preoccupate per l’opacità fiscale delle transazioni in criptomonete, ma più aperte a consentirne l’uso come mezzo di pagamento o come attività di riserva – anche se non come misura di valore o come moneta di credito – coesistendo anche con le valute digitali che alcune delle banche centrali hanno intenzione di emettere nello stesso ecosistema finanziario globale dominato dal dollaro.
Differenze tra il criptoyuan e le monete private del blockchain
Sulla base delle informazioni fornite dalla banca centrale, la versione cinese di una moneta digitale sovrana, il cosiddetto pagamento elettronico in moneta digitale (sigla inglese Digital Currency Electronic Payment, DCEP), sarà inizialmente utilizzata per simulare le attività bancarie quotidiane, compresi i pagamenti, i depositi e i prelievi da un portafoglio digitale.
Qualsiasi cittadino (per ora cinese) può quindi detenere un conto corrente presso la banca centrale (come oggi accade per banche private e governi), gestito indirettamente attraverso un’istituzione finanziaria privata o un agente autorizzato.
Una volta introdotto, i consumatori scaricheranno un’applicazione di borsa elettronica autorizzata dalla Banca Popolare cinese (la banca centrale), che collegheranno poi a una carta bancaria per iniziare a pagare o ricevere yuan digitali con i commercianti e altri utenti utilizzando un telefono cellulare o effettuando bonifici con uno sportello bancomat. Il denaro del conto bancario collegato verrebbe convertito in contante digitale su base individuale. C’è anche un’opzione che non richiede un conto bancario per fare transizioni nello yuan digitale.
Il DCEP opera attraverso un sistema operativo a due livelli. La Banca Popolare cinese rilascia il DCEP alle banche commerciali e ad altre agenzie di operazioni commerciali senza utilizzare la catena di blocco, ma i prestatori e le altre agenzie sono autorizzati a utilizzare la tecnologia per distribuire lo yuan digitale al pubblico.
Questa procedura consentirebbe di generare informazioni aggregate sull’attività commerciale in tempo reale per aiutare la Banca Popolare cinese a mantenere la stabilità del valore dello yuan e a regolare meglio i cicli di boom e fallimento dell’attività economica attenuando il rischio di bolle di credito nel sistema finanziario.
A differenza di altre piattaforme di pagamento online già comunemente utilizzate in Cina, come Alibaba’s Alipay e Tencent’s WeChat Pay, il sistema DCEP supporta le transazioni di pagamento anche senza connessione a Internet. La funzione chiamata “touch and touch” permette a due utenti di toccare semplicemente i loro dispositivi mobili per effettuare un trasferimento, senza lasciare alcuna registrazione di pagamento a terzi o al sistema bancario.
Con l’emissione e il sostegno della banca centrale del paese, lo yuan digitale entrerebbe a far parte della forma più liquida di approvvigionamento di moneta che comprende le banconote e le monete in circolazione nella società, nota come M0, ma in forma digitale.
Pertanto, la moneta digitale sovrana della Cina è chiaramente diversa dalle solite criptovalute come bitcoin, Ethereum, Litecoin ecc. Lo yuan digitale cinese è gestito privatamente dalla Banca Popolare cinese sotto un sistema centralizzato, che è l’esatto opposto della maggior parte delle altre forme di criptomonete che sono progettate per diluire il potere monetario del governo.
Il criptoyuan
Mentre il dibattito sulle criptovalute sta raggiungendo le principali banche dei paesi centrali, il più importante organo giudiziario cinese insiste per estendere i diritti legali sul possesso di beni digitali, compresi i beni criptografici.
Un comunicato stampa della Corte Suprema nota che He Xiaorong, membro del comitato giudiziario della Corte Suprema cinese, «ha evidenziato i nuovi tipi di proprietà, come le proprietà virtuali e le proprietà crittografiche, che sarebbero state protette» in virtù delle protezioni previste. Si tratta di un’iniziativa della Cina per creare la propria criptomoneta; un organo decisionale sempre più importante sulla questione di come il bitcoin possa essere trattato come una forma di proprietà digitalizzata.
Infatti, una versione digitale dello yuan è già in uso controllato, con la prospettiva di un importante test ai Giochi Olimpici Invernali di Pechino nel 2022. La versione cinese di una valuta digitale sovrana, il cosiddetto pagamento elettronico a valuta digitale (DCEP), sarà utilizzata per simulare le attività bancarie quotidiane, compresi i pagamenti, i depositi e i prelievi da un portafoglio digitale.
Alcuni osservatori ritengono che lo yuan virtuale potrebbe rafforzare il potere del governo sul sistema finanziario del paese e forse un giorno potrebbe anche cambiare l’equilibrio generale dell’influenza economica. Secondo Bloomberg, la moneta digitale cinese è stata progettata per essere la versione elettronica di una banconota, o di una valuta: esiste in un portafoglio digitale su uno smartphone, piuttosto che in un portafoglio fisico. Il suo valore sarebbe sostenuto dallo Stato. Ma il denaro virtuale sarebbe più veloce e più facile da usare della carta e offrirebbe alle autorità cinesi un grado di controllo che non è possibile con il denaro fisico.
Il programma è iniziato nel maggio 2020, con un limitato dispiegamento nelle città di Shenzhen, Suzhou, Chengdu e Xiong’an, una nuova città “intelligente” in espansione a sud-ovest di Pechino. I media locali hanno riferito che una parte del denaro è stata distribuita sotto forma di sovvenzioni per il trasporto pagate alla gente di Suzhou. Al programma pilota partecipano marchi di consumo stranieri, tra cui le catene statunitensi Starbucks, McDonald’s e Subway, insieme a Ant Financial, Tencent e 19 ristoranti e negozi locali.
Dal punto di vista interno, la cripto-moneta ha un grande vantaggio quando si tratta di paesi con popolazioni enormi e grandi distanze fisiche ed economiche tra i centri dinamici e le zone rurali più remote. Quando la nuova criptomoneta cinese sarà operativa, gli individui potranno scambiarla utilizzando i portafogli digitali. Non avranno bisogno di avere conti bancari.
Questo potrebbe renderla accessibile ai 225 milioni di persone che in Cina non hanno accesso al sistema bancario. Nelle zone rurali, la distribuzione e lo scambio elettronico di denaro potrebbero contribuire a promuovere lo sviluppo e a ridurre le frodi, facilitando la tracciabilità del denaro contante.
La Cina ha iniziato a studiare la questione della propria unità digitale già nel 2014. Il Digital Currency Research Institute della banca centrale, incaricato di sviluppare e testare la valuta digitale, è stato inaugurato nel 2017, quando ha invitato le principali banche commerciali statali e altre istituzioni influenti a contribuire alla progettazione del sistema DCEP. Nel dicembre 2019, il direttore dell’istituto, Mu Changchun, ha dichiarato che la nuova moneta digitale sovrana sarà “una forma digitale dello yuan”, non ci saranno speculazioni sul suo valore e non avrà bisogno di essere sostenuta da un paniere di valute.
Le prove controllate del suo utilizzo non hanno cessato di essere viste come una minaccia al predominio finanziario globale degli Stati Uniti che si stanno mettendo in guardia anche da altri sistemi di criptomonete testati e provati da altri governi.
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