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Forum Cina/8. L’uscita dalla condizione periferica: una storia di successo?

Introduzione

Buongiorno a tutti, oggi esporrò i risultati di una ricerca condotta assieme a Roberto Nadalini, in cui tentiamo di capire se i salari dei lavoratori cinesi possano continuare a convergere verso i salari dei paesi ad alto reddito, ossia se la Cina stia effettivamente fuoriuscendo dalla condizione periferica all’interno dell’economia mondiale.

Generalmente, il maggiore ostacolo nel chiudere il gap salariale rispetto ai paesi del centro risiede nella distorsione delle strutture produttive dei paesi periferici – che sono orientate verso industrie che producono beni semplici da un punto di vista tecnologico, come prodotti tessili, elettrodomestici, e così via, che possono essere prodotti da un ampio numero di paesi.

A causa della marcata esposizione alla concorrenza internazionale, le imprese di questi paesi richiedono una ‘eccesso permanente’ di manodopera nelle campagne, che crea una pressione al ribasso dei salari urbani, che a sua volta permette alle imprese esportatrici di sopravvivere all’interno del mercato mondiale.

Ne segue una eccessiva riduzione di questo surplus di lavoro può compromettere la capacità dei paesi periferici di competere sul mercato internazionale, con tutti gli effetti negativi sulla bilancia commerciale che questo implica.

In queste condizioni, il ripristino dell’equilibrio esterno richiede una contrazione degli investimenti, cioè un rallentamento dei tassi di crescita al fine di creare un eccesso di manodopera che comprime i salari a un livello necessario a recuperare la competitività esterna.

Quindi se l’incapacità di supportare i salari in maniera sostenibile risiede in una specializzazione produttiva ineguale, ne segue che un sentiero di sviluppo in grado di conciliare alti livelli salariali ed equilibrio esterno richiede un trasformazione della struttura produttiva che può consentire ai produttori della periferia di penetrare mercati tecnologici oligopolistici.

Infatti, gli alti prezzi di vendita dei prodotti hi-tech possono consentire alle imprese manifatturiere che si specializzano in queste produzioni di aumentare la remunerazione dei fattori, senza che ciò vada ad erodere i margini di profitto – senza cioè che l’aumento dei salari dia luogo a processi di de-industrializzazione che sarebbero accompagnati dal sorgere di squilibri esterni.

Nella nostra ricerca, abbiamo cercato di dimostrare che le autorità cinesi hanno giocato un ruolo cruciale nell’accrescere le capacità tecnologiche della forza lavoro – capacità necessarie a specializzarsi in produzioni avanzate, a rompere il monopolio tecnologico, e trattenere una fetta della rendita tecnologica che è appropriata dai paesi ad alto reddito.

E a sua volta, ciò potrebbe consentire alla Cina di ridurre gradualmente il divario salariale rispetto ai paesi ad alto reddito senza che ciò dia luogo a insostenibili squilibri esterni.

II. 1995-2008

Nel nostro lavoro abbiamo differenziato 2 fasi d’intervento governativo: una fase iniziale che va dalla metà degli anni ’90 fino al 2008. Ed una seconda fase che inizia nel 2008 ed è tuttora in corso.

Nella prima fase, l’elemento chiave che ha dato il là al processo di acquisizione di nuove competenze tecnologiche è stata l’adozione di una politica di svalutazione del tasso di cambio reale del renminbi, che ha convertito il risparmio nazionale in investimenti domestici ad un ritmo abbastanza lento da non esaurire il surplus di manodopera dalle campagne troppo velocemente. Questo ha esercitato una pressione ribassista sui salari, la cui crescita è rimasta al di sotto della produttività.

Questo ha sorretto la profittabilità del settore manifatturiero, che a sua volta ha attratto risorse al suo interno (si veda figura 1) e ha consentito di sviluppare una manifattura leggera orientata alle esportazioni e di accumulare surplus commerciali, parte dei quali sono stati convertiti in riserve estere. Certamente, questo ha comportato delle perdite, perché l’accumulazione di riserve rappresenta un dirottamento di risorse verso l’estero, com’è di fatto avvenuto col massiccio acquisto di titoli del tesoro statunitense.

Figura 1. Crescita dei salari reali e produttività nel settore manifatturiero cinese (1995-2008) Fonte: The Conference Board Total Economy Database.

le autorità cinesi hanno giocato un ruolo cruciale nell’accrescere le capacità tecnologiche della forza lavoro – capacità necessarie a specializzarsi in produzioni avanzate, a rompere il monopolio tecnologico, e trattenere una fetta della rendita tecnologica che è appropriata dai paesi ad alto reddito.

E a sua volta, ciò potrebbe consentire alla Cina di ridurre gradualmente il divario salariale rispetto ai paesi ad alto reddito senza che ciò dia luogo a insostenibili squilibri esterni.

Tuttavia, ciò rappresenta solo un lato della medaglia, perché se investiti internamente questi risparmi avrebbero causato una esplosione dei salari e una perdita di competitività. Al contrario, la politica economica della Cina è stata in grado di rallentare il ritmo di assorbimento del surplus di lavoro, comprimere le spinte salariale e favorire i produttori nel settore delle esportazioni.

Ciò è stato di fondamentale importanza per mantenere una forte posizione esterna che ha attratto investimenti diretti esteri tecnologicamente avanzati, che hanno assicurato un elevato grado di trasferimento tecnologico e promosso l’acquisizione di competenze e l’ammodernamento dell’apparato industriale.

Quindi in questa fase è vero che la politica economica cinese ha offerto l’opportunità al settore manifatturiero di sfruttare una ampia riserva di manodopera a basso costo, ma al contempo ha consentito al paese di gettare le fondamenta per lo sviluppo di un moderno sistema industriale.

III. 2008-oggi

Questo modello di sviluppo ha trovato un limite a causa del progressivo esaurimento del surplus di manodopera delle campagne, che ha condotto ad una esplosione dei salari, che hanno iniziato a superare la produttività, cui è seguita una riduzione della profittabilità a partire dai tardi anni ’00 (si veda Figura 2)

Figura 2. Crescita dei salari reali e produttività nel settore manifatturiero cinese (2008-2017) Fonte: The Conference Board Total Economy Database.

E questo pare indicare che i livelli relativamente elevati raggiunti dai salari cinesi e la loro continua crescita stia rendendo le imprese nazionali specializzate nella manifattura leggera scarsamente competitive sui mercati internazionali.

La Cina cioè potrebbe ripercorrere quanto successo in diverse economie sudamericane, in cui la caduta della profittabilità manifatturiera ha condotto ad un processo di de-industrializzazione seguito dal sorgere di squilibri esterni.

D’altra parte, se vuole sfuggire a questa trappola del medio reddito, la Cina deve specializzarsi in settori manifatturieri ad alta tecnologia, che richiedono l’accumulazione di competenze più avanzate rispetto a quelle della fase vista in precedenza.

Ora, per una serie di ragioni, le economie a medio reddito sono spesso incapaci di dirottare risorse verso i settori più avanzati. Limiti di tempo purtroppo non ci consentono di articolare un ragionamento, ma possiamo dire che a causa dei salari crescenti e la loro scarsa produttività, i settori tecnologicamente avanzati nelle economie a medio reddito sono caratterizzati da una scarsa profittabilità, che li rende incapaci di attrarre investimenti necessari a sostenere elevati livelli di produzione, che a sua volta servono a incrementare il livello di conoscenze tecnologiche della forza lavoro derivanti dal learning-by-doing e quindi a competere con successo in questi settori.

Ora, nel periodo successivo al 2008, lo Stato cinese ha svolto un ruolo chiave nel preservare le risorse produttive nel settore manifatturiero in un contesto di calo della redditività degli investimenti.

Qui, il ruolo chiave è stato svolto dalle imprese statali, SOEs, per due motivi: primo, grazie alla loro capacità di intraprendere investimenti guidati da obiettivi sociali stabiliti dal governo; e secondo, per la loro capacità di operare anche in presenza di bassi profitti.

Come vedete dalla figura 3, il tasso di profitto nel settore industriale pubblico è stato molto inferiore rispetto a quello del settore privato.

Figura 3. Tassi di profitto delle imprese private e pubbliche nel settore industriale in Cina Fonte: National Bureau of Statistics of China.

Ma, nonostante ciò, il peso delle SOEs all’interno del settore industriale cinese è rimasto stazionario e ha poi iniziato a crescere a dispetto della bassissima profittabilità (Figura 4).

Figura 4. Quota capital stock industriale di proprietà pubblica sul totale in Cina Fonte: National Bureau of Statistics of China (NBS), http://data.stats.gov.cn/english/

Quindi possiamo concludere che le autorità cinese abbiano utilizzato le SOEs per supportare alti livelli di produzione e occupazionali. E ciò ha consentito alla classe operaia cinese di proseguire il sentiero di apprendimento e acquisizione di competenze tecnologiche iniziato nel decennio precedente.

IV. Valutazione uscita dalla condizione periferica della Cina

Per valutare le trasformazioni strutturali dell’economia cinese abbiamo misurato i “termini di scambio del lavoro” cinese rispetto a quello statunitense. Questi termini di scambio possono essere come il rapporto tra la remunerazione dei fattori produttivi (lavoro e capitale) direttamente coinvolti nell’industria manifatturiera cinese rispetto a quelli coinvolti nell’industria manifatturiera statunitense.

Ora, i dati ci dicono che nel 1995 un ora di lavoro manifatturiero negli Stati Uniti veniva scambiata con circa 20 ore di lavoro cinese, ma nel 2017 un ora di lavoro statunitense era scambiata con circa 5 ore di lavoro cinese (figura 5).

Figura 5. L’evoluzione dei termini di scambio del lavoro tra Cina and USA: 1995-2017

 

In termini più semplici, il costante aumento dei termini di scambio del lavoro indica che i mercati internazionali stanno assegnando al lavoro manifatturiero cinese un prezzo via via crescente, e questo è in virtù del relativo miglioramento della capacità tecnologiche della classe operaia cinese, che sta imparando a produrre beni via via più complessi che possono essere prodotti da un numero sempre più limitato di paesi, e che quindi essere venduti ad un prezzo relativamente elevato rispetto al costo degli input necessari a produrli.

L’ingresso nei mercati high-tech è riflesso dal fatto che la Cina è arrivata a produrre un quarto dei prodotti altamente tecnologici a livello mondiale. E questa espansione è stata almeno per il momento sufficiente a controbilanciare la perdita di competitività nei settori a bassa e media tecnologia a causa degli aumenti salariali visti in precedenza.

Ciò è visibile osservando la bilancia commerciale nel corso degli ultimi 20 anni, in cui si vede come il miglioramento dei termini di scambio del lavoro non ha generato pericolosi squilibri esterni, in quanto il saldo della bilancia commerciale sul PIL è rimasto positivo anche dopo il 2011 e per tutto il decennio successivo nonostante la sostenuta dinamica salariale (Figura 6).

Figura 6. Ragioni di scambio del lavoro cinese, e rapporto BC/PIL

 

Quindi, se definiamo l’uscita dalla condizione periferica come la capacità di sostenere crescita salariale e conti esterni in ordine, possiamo avanzare l’ipotesi che la Cina sia sulla strada giusta per uscire con successo dalla condizione periferica.

V. Conclusioni

In conclusione, due cose riguardo gli effetti internazionali di una possibile uscita della Cina dalla condizione periferica.

Il primo punto risponde all’obiezione secondo cui il progresso tecnologico in Cina andrà a discapito dei paesi meno sviluppati, e quindi riprodurrà la medesima struttura oligopolistica mondiale.

A questa obiezione rispondiamo che l’ingresso della Cina all’interno del gruppo dei paesi tecnologicamente avanzati ha conseguenza assai diverse da quelle ad esempio prodotte dall’ingresso di un piccolo paese come Singapore o come la Corea del Sud, se rapportata alle Cina.

Anzi, è a causa delle sue dimensioni che lo sviluppo cinese implica una massiccia espansione dell’offerta del numero di lavoratori qualificati che produrrebbe un sostanziale aumento del grado di concorrenza all’interno dei mercati high-tech, l’abbassamento dei prezzi dei beni tecnologici e un miglioramento delle ragioni di scambio a vantaggio dei paesi meno sviluppati.

Ciò significa che l’ascesa della Cina potrebbe incrinare le basi delle relazioni asimmetriche tra centro e periferia e aprire la strada ad una distribuzione del reddito più egualitaria su scala globale.

Il secondo punto è che l’erosione della posizione monopolistica dei paesi avanzati potrebbe far sì che la diseguaglianza del reddito mondiale torni a dipendere principalmente dalla posizione di classe degli individui all’interno dei singoli paesi.

Ad esempio, osserviamo che ancora nel 2011, la diseguaglianza dei redditi a livello globale dipende per l’80 percento dall’aerea di provenienza (Figura 7).

Figura 7. Determinanti della diseguaglianza del reddito a livello globale: classe versus area di provenienza Fonte. Milanovic B. 2016. Global inequality a new approach for the age of globalization. Harvard University Press

Questo è dovuto al monopolio tecnologico che consente di sorreggere alti livelli salariali nei paesi avanzati.

Secondo alcune stime, la rottura del monopolio tecnologico da parte della Cina, farà sì che nell’arco di trent’anni le determinanti della diseguaglianza globale saranno ribaltate, ossia che le divergenze di reddito torneranno a dipendere per l’80 percento dalla posizione di classe occupata da ciascuno di noi all’interno delle nostre economie.

E ciò ha profonde implicazione politiche, nella misura in cui il miglioramento delle condizioni materiali anche dei lavoratori occidentali dovranno giocoforza passare attraverso lo scontro di classe che sapranno esercitare all’interno dei propri paesi.

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