Nel 2010, con Berlusconi al suo terzo governo (il quarto se si considera il rimpasto che portò al Berlusconi bis nel 2005, ndr), la Rete dei Comunisti promosse una campagna di conferenze pubbliche dal titolo “Berlusconi è una tigre di carta”.
Una chiave di lettura, quella della RdC, decisamente in controtendenza verso un antiberlusconismo egemone e acritico in grandissima parte della sinistra e dei movimenti. I fatti hanno la testa dura. Da lì ad un anno, nel novembre 2011, Berlusconi fu costretto alle dimissioni dal combinato disposto tra Lettera della Bce, attacchi della speculazione finanziaria e fronda interna.
La fine di Berlusconi, come prevedibile, non ha aperto affatto la strada ad una opzione progressista ma ad una governance antidemocratica e antipopolare in obbedienza ai diktat della Unione Europea. Una conferma che senza una analisi della società italiana e delle sue connessioni a livello europeo, l’antiberlusconismo non poteva essere la priorità di una opzione politica indipendente e di classe nel nostro paese.
Qui di seguito la lettera sulla base della quale sono state convocate dalla Rete dei Comunisti le assemblee pubbliche “Berlusconi è una tigre di carta!” lo scorso anno in diverse città:
“I crescenti contrasti nella maggioranza del governo Berlusconi non sono il sintomo di contrasti politici interni all’ esecutivo ma la manifestazione evidente di una profonda crisi di prospettive della borghesia italiana. Le contraddizioni interne del “sistema Italia”, la pesante ingerenza dell’Unione Europea sulle scelte dei singoli stati e la crisi economica internazionale, portano a galla le contraddizioni strutturali di questo paese reso ancora più instabile dalla camicia di forza del sistema elettorale maggioritario e dal bipolarismo politico.
La rottura nel blocco di potere berlusconiano, sta palesando un nuovo blocco fondato su Fini-Montezemolo-Casini- Marcegaglia che intende dare rappresentanza politica agli interessi dei settori del grande capitale e delle banche per agganciare l’Italia ai punti forti dell’Unione Europea ed approfittare – contro i lavoratori – di tutti i vantaggi che derivano dalla competizione globale. Ma loro influenza sulla società è debole anche a causa della frammentazione e dell’arretratezza del sistema produttivo italiano.
Infatti i settori dell’economia che vivono e si arricchiscono sugli appalti, sul monopolio delle tariffe sui servizi, il mondo delle piccole imprese, la sempre più forte economia criminale, i “prenditori” che crescono sulla totale mancanza di diritti per i lavoratori, temono i pericoli per la loro sopravvivenza che derivano dall’azione del “governo europeo” e riconoscono ancora la rappresentanza dei loro interessi materiali nel governo Berlusconi.
La crisi globale continua a pesare in modo sempre più forte sulle condizioni di vita dei settori popolari in Italia come nel resto d’Europa. Ma la crisi economica viaggia ormai in parallelo con la crisi politica e morale che sta investendo le stesse classi dominanti, indicando una più complessiva crisi di civiltà per un paese che ha sperato nel recente passato di poter essere considerato uno dei “grandi” del mondo ed uno dei paesi avanzati nella competizione globale.
I governi di centro-destra o di centro-sinistra hanno comunemente scelto la strada del rigore finanziario a scapito degli interessi materiali e delle aspettative sul futuro di lavoratori, disoccupati, precari. Portare dunque le ragioni, le aspettative e i consensi dei lavoratori e dei precari, dei disoccupati e dei giovani, dei ricercatori e dei lavoratori della conoscenza dentro l’alleanza antiberlusconiana insieme a Fini, Montezemolo, PD e UdC, è – a nostro avviso – una valutazione errata che rischia di mistificare e non contrastare la crisi di civilizzazione complessiva della società in cui viviamo. Una sinistra consapevole della propria storia e della propria funzione, al contrario, non può che riaffermare nettamente l’indipendenza politica e di classe dei lavoratori e dei settori sociali oggi subalterni. Indipendenza dei propri interessi materiali e della propria identità sociale dai “prenditori” e dalla loro rappresentanza istituzionale bipartizan. E’ solo sulla base della indipendenza politica ed organizzata che è possibile concepire una nuova rappresentanza dei lavoratori e delle classi subalterne e costruire un fronte unitario delle lotte politiche e sociali. Una rappresentanza ampia e democratica del blocco sociale dove possano trovare spazio tutte le realtà e dove, noi pensiamo, che i comunisti possano ritrovare una funzione avanzata ed unitaria.
Lanciamo un appello affinché questa rappresentanza politica degli interessi dei lavoratori agisca in modo coerente e indipendente dalla camicia di forza del bipolarismo a tutti i livelli, inclusa e non esclusa la dimensione elettorale, a cominciare dalle aree metropolitane dove la prossima primavera sono previste le elezioni amministrative e – qualora si concretizzi tale scenario – anche in caso di elezioni politiche generali.
Su questa opzione vogliamo aprire qui ed ora un confronto con tutte le realtà nei movimenti sociali, sindacali, ambientali, democratici, nella sinistra anticapitalista e con le organizzazioni comuniste per verificare valutazioni, convergenze, proposte concrete per i prossimi mesi”.
Ottobre 2010
La Rete dei Comunisti
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