La redazione dell’appello, drastica nella presa di posizione (niente intervento, di nessun tipo) e chiara anche nella condanna della natura dei regimi che sono sotto attacco, è stata affidata all’attivista per la nonviolenza Kathy Kelly, che dopo molti anni di opposizione all’embargo all’Iraq, nella primavera 2003 era a Baghdad durante l’invasione e l’occupazione, con diversi pacifisti internazionali membri dell’Iraq Peace Team. Allora c’era Bush, ora Obama. Ma la guerra è guerra. L’Unac si è così posto al centro del dibattito, e sta preparando per il 9 aprile a New York e per il 10 a San Francisco due grandi manifestazioni contro tutte le guerre Usa.
2. In Francia è stato diffuso un appello franco-arabo – «Non à l’intervention étrangère en Libye» – contro l’intervento militare. L’appello (ne circolano altri due analoghi in Francia) sostiene “la lotta per i processi in corso nei paesi arabi” e denuncia “le forze esterne che intendono interferire per sabotare il processo. I popoli della Tunisia e dell’Egitto con i loro movimenti rivoluzionari sono riusciti a rovesciare dittatori legati e sostenuti da potenze imperialiste. Come nel caso di altri popoli, adesso spetta al popolo libico decidere del proprio avvenire e senza ingerenze, che violerebbero la Carta delle Nazioni Unite” (non è infatti in ballo alcuna aggressione ad altri paesi, unica possibile legittimazione a interventi militari Onu). L’appello cita anche il caso dei crimini di guerra su Gaza, lasciati cadere nel vuoto dalla comunità internazionale; e denuncia il “battage mediatico unilaterale”.
3. In Italia è la rete Disarmiamoli a parlare allo stesso modo: “Il movimento contro la guerra nei giorni scorsi si è mobilitato al fianco delle comunità magrebine, scese in piazza per sostenere le salutari rivolte che stanno sconvolgendo il Maghreb e molti altri paesi africani. La solidarietà nostra va ai popoli in lotta contro tutti i regimi messi in discussione dai moti popolari, senza cadere nei tranelli costruiti ad arte per giustificare nuove ingerenze o invasioni imperialiste, così come sta avvenendo nel caso libico. Siamo per l’autodeterminazione del popolo libico e di tutti i popoli in lotta in Nord Africa, non certo per assecondare la tristemente nota pax occidentale”.
4. Queste motivazioni a favore delle rivolte arabe e perciò contro l’interventismo di stati esteri si ritrovano nell’accurata analisi storica e attuale dell’esperto di mondo arabo e musulmano Mohamed Hassan, etiope, ex diplomatico per il suo paese, autore nel 2003 del libro “L’Iraq sous occupation”, nell’intervista rilasciata al media online Investig’Action. Secondo Hassan, “intervenire in Libia permetterebbe a Washington di spezzare il movimento rivoluzionario nell’intera area ed evitare che si estenda a tutto il mondo arabo e all’Africa”: Gli Usa e l’Occidente, presi in contropiede dalle rivoluzioni tunisina e ancor più egiziana, stanno cercando di “recuperare” quei movimenti popolari, che però sfuggono loro di mano (nello stesso Egitto dove gli Usa contano sull’esercito per mantenere un “sistema accettabile”, ci sarebbero in tante caserme giovani ufficiali che si organizzano in comitati rivoluzionari per lavorare con il popolo).
Il pericolo che con un intervento gli Usa vorrebbero scongiurare è di veder emergere governi antimperialisti in Tunisia ed Egitto (in un momento già di crisi anche di fronte alla prepotente avanzata cinese); in questo caso Gheddafi potrebbe rinunciare agli accordi conclusi con l’Occidente, “non sarebbe la prima volta che cambia cavallo”. Hassan sottolinea che il rigetto della proposta di mediazione avanzata dal presidente venezuelano Hugo Chavez e da diversi paesi latinoamericani (e appoggiata da diversi movimenti popolari e da Fidel Castro nel suo ormai noto articolo del 3 marzo “La guerra inevitabile della Nato”) è segno che non si vuole una via d’uscita pacifica al conflitto in Libia. Il popolo libico, prosegue Hassan, “non merita un’aggressione militare”. E “merita di meglio di questo movimento di opposizione che sta precipitando la Libia nel caos”. La sua impressione è che i sentimenti di quella parte della popolazione che è stufa del regime (e di tutti i suoi numerosissimi errori e della corruzione) siano strumentalizzati dall’opposizione dell’est del paese che vuole la parte della torta: “Chi sono del resto i ribelli? E se volessero davvero condurre una rivoluzione democratica, perché hanno come insegna la bandiera del re Idriss, di quando la Pirenaica dominava tutto il paese? Hanno chiesto il parere agli altri libici?”. Hassan si chiede infine come si può considerare democratico un movimento che “massacra i neri” considerati mercenari di Gheddafi, cerca una guerra civile e chiede un intervento militare straniero.
5. Intanto chi si fa domande cerca di ricostruire i percorsi di disinformazione che alimentano l’appello all’intervento, non solo da parte dei rivoltosi dell’Est libico. Non ci sono prove di alcun tipo dei “massacri di civili” e dei “bombardamenti sulle città”. Le cifre apocalittiche delle prime ore, 10mila morti e 50mila feriti avanzate dall’emittente saudita Al Arabyia che citava un falso rappresentante del Tribunale penale internazionale si sono rivelate campate in aria. Il 22 febbraio la Bbc e Al Jazeera inoltre riportavano di bombardamenti su quartieri di Bengasi e Tripoli, ma come riporta la tivù russa Rt, i satelliti dell’esercito russo fin dall’inizio dalla crisi “non hanno registrato alcun bombardamento” e del resto non ci sono foto né video che attestino distruzioni.
* da NENA news
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