Già nell’ultima frase le contraddizioni spiccano palesi, vista l’assoluta inaffidabilità dell’Esecutivo Karzai nel garantire anche solo la propria personale sicurezza. E allora che senso dare a questo ritorno a casa? Dietro l’annuncio di Obama spingono date e cifre: il rimpatrio di 10.000 soldati entro l’anno e di altri 23.000 alla fine dell’estate 2012 si rendono indispensabili per contenere il tragico black hole che succhia dollari pubblici. Quest’anno 450 miliardi per l’Afghanistan e oltre 800 per l’Iraq. Le sorti delle casse statunitensi, tinte ancora di rosso per un’economia che non si scrolla una crisi infinita, sembrano valere più delle esortazioni militari di Petraeus. Così Obama, che guarda lungo alle presidenziali, fra l’elettore guerrafondaio che sicuramente voterà repubblicano e quello che reclama ponti e strade in casa anziché a Kabul, sceglie d’accontentare quest’ultimo incrociando le dita sull’esito finale. Perché quel pezzo di guerra afghana che l’attuale inquilino della Casa Bianca ha fatto sua con l’incremento di truppe del 2009, offre risultati a dir poco disastrosi. Sostenendo di aver raggiunto gli obiettivi preposti il presidente Usa mente sapendo di mentire e cerca l’auto-assoluzione. Eppure il colpo dell’uccisione del nemico giurato Bin Laden non può celare le gravi carenze dell’Enduring Freedom. Il 2010 è stato l’anno orribile della missione col più alto numero di vittime dell’Isaf e dell’esercito Usa stesso che conta a tutt’oggi 1.632 perdite.
Ma soprattutto ha palesemente evidenziato l’impossibilità della Nato di controllare gran parte del territorio dove disloca le truppe. Fuori dai fortini, grandi e piccoli, creati con enorme profusione di denaro e mezzi i soldati “liberatori” hanno vita difficile per i continui attacchi della guerriglia talebana che in molte occasioni ha posto sotto assedio la multiforza. L’insicurezza e il terrore fra le truppe, o il desiderio generalizzato di vendetta, hanno fatto riprendere dal gennaio scorso bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile con centinaia di morti. E occorre ricordare come la cifra di questi morti negli ultimi dieci anni è ferma a 50.000 per il semplice motivo che nessuna organizzazione sta tenendo più il tragico conteggio. Le ultime vittime hanno prodotto ribellioni dal basso, gestite da capi villaggio, con cui sono state assaltate anche strutture delle Nazioni Unite oltre che una caserma britannica. L’insofferenza verso la missione ha raggiunto i massimi livelli fra tutti le componenti etniche e sociali afghane. Del resto la propaganda con cui il generalissimo Petraeus (falso quanto il suo Presidente) aveva contrabbandato nei mesi scorsi la cattura di oltre 4000 talebani è stata sbugiardata da un’inchiesta di Gareth Porter. Il noto reporter statunitense svelava come le retate della famigerata Task Force 435 (alla quale hanno offerto contributo anche i militari italiani) avevano catturato solo trecento probabili combattenti. Oltre tremila fermati venivano rilasciati dopo pochi giorni per assoluta estraneità a qualsiasi azione e anche i 350 prigionieri che per alcune settimane avevano saggiato reclusione e interrogatori risultavano lontani da qualsiasi gruppo politico, resistente o meno.
Certo Obama, o chi prenderà il suo posto, dovrà cercare una difficile quadratura del cerchio. Rapportare le velleità imperialiste di chi ha finora controllato il mondo a un’economia che non può più sorreggere la costosissima macchina bellica che fa inceppare anche la più oliata delle armi. E poiché il passaggio di testimone nella leadership dell’economia mondiale appare irreversibile la politica estera statunitense sarà costretta a dare maggiore spazio all’arma della diplomazia rispetto all’abusatissima diplomazia delle armi. Nello scacchiere asiatico, accanto ai giganti cinese e indiano, la partita giocata in quei Paesi ad altissima instabilità ribelle sulle ali del jihadismo tuttora imperante pur senza il totem Osama, e cioè Afghanistan e Pakistan, resta apertissima. Perciò il ritiro delle truppe imposto dalle casse statali può valere per l’attuale congiuntura sfavorevole ma può non essere definitivo. E dovrà intrecciarsi ai classici passi compiuti attraverso governi amici. Per quanto amici alla Karzai e Musharraf rischiano per Washington di risultare peggiori dei Van Thieu.
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