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Dopo il 15 ottobre verso uno sciopero veramente generale!

La rabbia diffusa presente in molti contesti e nelle varie condotte di piazza è stata l’espressione di un no chiaro e radicale alle politiche contro lavoratori (precari e “non”) studenti e proletariato diffuso basata su austerity e massacro sociale a tutto vantaggio del modo di produzione capitalistico e del padronato. 

La giornata “dell’indignazione” si è prima di tutto trasformata in giornata della protesta politica contro sfruttamento e precarietà.

Questo è il più importante dato politico che se ne deve ricavare dalla giornata.   Una giornata di mobilitazione nazionale che nelle diverse e contraddittorie forme in cui si è espressa ha evidenziato come la crisi economica sia anche crisi di democrazia non solo formale ma sostanziale. La divisione tra buoni e cattivi, la criminalizzazione, l’esasperazione anche mediatica della caccia al “black block” fino agli inviti alla delazione, ma soprattutto le nuove misure che restringono spazi e libertà di espressione sono il segnale chiaro che trasversalmente centro destra e centro sinistra sono disposti a tutto per non metter in discussione i profitti e le politiche d’impoverimento delle classi subalterne.   Va innanzitutto detto che la giornata del 15 ottobre è stata anche espressione del rifiuto di una delega e di una rappresentanza vissuta come compressione del conflitto.

Chi pensava di poter egemonizzare questo processo di aggregazione di massa con prospettive funzionali alla futura traballante cordata elettorale è stata scavalcato.

Chi pensava di poter utilizzare strumentalmente questo corteo per uno spostamento  dei rapporti di forza all’interno delle prossime primarie del centro sinistra si è sbagliato di grosso. Gli scontri in piazza sono infatti stato solo un pezzo di tutto ciò cha ha messo in discussione e fatto saltare accordi e cappelli politici. La piazza è stata in molte parti espressione e veicolo di una prospettiva anticapitalista. Dagli slogan alle composizioni degli spezzoni molto spesso il messaggio che si è lanciato è di lotta e di cambiamento radicale dell’esistente.

Quella piazza avrebbe però, forse, potuto essere molto di più, dal punto di vista di una possibile aggregazione su una prospettiva di rottura politica, per raccogliere non solo l’espressione della rabbia di un giorno, ma ragionamenti e prospettive anche diverse e allinearle in una prospettiva anticapitalista e non di un miope frontismo antiberlusconiano.

D’altronde è ormai evidente che le stesse riproposizioni di meccanismi di concertazione sindacale e istituzionale sono oggi incapaci di intercettare  l’espressione di una rabbia diffusa nuova della quale, invece, occorre analizzare i bisogni e le esigenze in modo chiaro e politico come anche è chiaro che la crisi della rappresentanza politica di molti soggetti sociali abbia trasversalmente investito ogni area e soggetto politico e/o sindacale di base.   L’evidente “tracimazione” della piazza fa infatti comprendere come la stessa  aggregazione di strutture politiche ed espressioni di piazza più forti, sia stata in grado di esprimere ben poca forma di egemonia, e questo assume chiaramente il senso di quanto manca per riportare il primato della politica nella pratica quotidiana e di piazza.

Quello che vogliamo sottolineare è che il rompere gli assetti di pacificazione e il rilanciare un immaginario di frattura e di incompatibilità deve però avvenire con una capacità di comunicazione, relazione e internità ai settori sociali che stanno pagando i costi di questa crisi e senza i quali ogni prospettiva rimane velleitaria.

C i interessa però poco una valutazione dei numeri in un’ipotetica conta tra le diverse componenti del corteo. Le scelte che tendono ad indicare una prospettiva di trasformazione radicale dell’esistente, possono essere e saranno praticati per una lunga fase ancora da pezzi minoritari del movimento d’opposizione e resistenza sociale che oggi si esprime in Italia, ma queste scelte non devono essere strutturalmente minoritarie e marginali nella sua teorizzazione e non devono creare una frattura nel rapporto con la classe nelle sue mille espressioni anche se d’altronde è facile comprendere che ogni inizio di rottura arrivi inaspettata e non complessivamente gestibile.

Quello che però deve rimanere centrale nel ragionamento e nella pratica è che all’attacco ai diritti sociali occorre rispondere non con l’evento (o comunque non solo con una giornata importante) ma con la pratica politica del quotidiano. Come già riflettevamo prima del 15, la pratica di massa per una generalizzazione del conflitto nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei territori deve essere la priorità di ogni realtà politica e da questo punto di vista il percorso di preparazione e quel giorno stesso hanno ancora mostrato segni di inadeguatezza che ci deve collettivamente portare a collegare le lotte reali e la rabbia del quotidiano. Una difficoltà oggettiva che ogni singolo militante e ogni singola struttura deve comprendere fino in fondo comprendendo gli strumenti di analisi e gli strumenti di coagulo del reale. Il passo necessario da compiere è ripartire dopo il 15 e lavorare sistematicamente a che le iniziative non si esauriscano in una data.

 

Verso lo sciopero generale !

 

Se la risposta alla frammentazione sociale è necessariamente una ricomposizione e una saldatura di fronte tra i diversi settori di classe, dalle vecchie figure lavorative inserite nella nuova fabbrica moderna senza diritti di Marchionne, alla fascia in enorme crescita della precarietà strutturale fino all’esercito industriale di riserva rappresentato dagli espulsi dalla produzione e da chi a questa non ha accesso, il lavoro necessario del confronto e della costruzione di altri momenti di lotta devono riparametrarsi con questa nuova composizione di classe non più strutturata solamente sul luogo di lavoro ma anche sul territorio.   Da questo punto di vista crediamo sia molto importante aprire un ragionamento collettivo su possibili forme di vertenzialità sociale legata al salario indiretto (casa, scuola, sanità…) e collegarla con tutte le forme di resistenza diffusa in fabbrica, nei luoghi della precarietà e di altre tipologie di lotte (no tav – no discariche) che appartengono alla messa in discussione dell’esistente.

Chiarendo che la precarietà è una condizione strutturale e trasversale della classe e che, chi la subisce, non è certo da considerarsi una componente quasi corporativa della classe stessa.   Stiamo attraversando un momento che oggettivamente favorisce l’innalzamento del conflitto e la sua generalizzazione, e proprio ora sta ai compagni alle compagne, a tutte le strutture dell’autorganizzazione sociale e sindacale assumersi la responsabilità di interpretare soggettivamente la fase tenendo fuori dalla porta chi pensa di riportare il conflitto nel perimetro del teatrino della politica istituzionale. Non crediamo ci possa essere altra via.

A partire dalla costruzione di un prossimo sciopero generale sempre più il riflesso di quanto costruito realmente e non più solo passeggiate di visibilità.  

Purtroppo ogni scadenza diventa, volta per volta, ritualmente punto di partenza e indifferentemente punto d’arrivo, facciamo si invece che il prossimo sciopero generale sia effettivamente generalizzato a tutte le figure lavorative e a tutti i pezzi del conflitto per segnare una tappa importante finalizzata allo smantellamento dell’arroganza del potere mettendo in circolo ogni energia e ogni rapporto sociale consolidato.

Pensare che il mutamento dello stato di cose presenti sia un pranzo di gala è da gattopardi che vogliono solo andare a gestire l’esistente con la consapevolezza che la crisi non da possibilità per rispondere in nessun modo ai bisogni sociali diffusi. Diversamente pensare che la rabbia ritrovi espressione nella pratica reale e politica significa fare un passo avanti verso una società non più basata su sfruttamento e sul profitto.  

Infine occorre rilanciare la solidarietà a chi viene colpito dalla repressione politica e mediatica in questi giorni. L’attacco ai collettivi, alle realtà e ai centri sociali deve essere respinto con forza. In quel corteo c’eravamo tutti e tutte insieme a tanti proletari senza rappresentanza o appartenenza.

Ogni attacco è solo finalizzata ad occultare il massacro sociale in corso.

Pace sociale vince il capitale.

Lotta di classe vincono le masse

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