Un recente articolo di Repubblica ha messo in evidenza ancora una volta come circa 150 multinazionali, (per la maggior parte società finanziarie) controllino il mondo intero, tenendo sotto scacco i mercati e gli Stati stessi. Ciò che il quotidiano non dice, è che per il gioco delle partecipazioni nei consigli d’amministrazione e dell’azionariato nelle società stesse, le grandi famiglie proprietarie di queste multinazionali non sono più di una quindicina. Tutto questo non rappresenta una novità: nella continuità del potere borghese, un pugno di oligarchie industriali e finanziarie manovra incessantemente per assumere il dominio totale di ogni aspetto della vita del paese e dello Stato. Allargano i poteri all’estero, ed attraverso il controllo di banche e multinazionali, speculano, corrompono, accumulano denaro, secondo l’interesse del massimo profitto e contro gli stessi interessi nazionali. Questi poteri sono, e saranno sempre, alla base di regimi forti. Uno degli aspetti che rafforza il capitale monopolistico è il processo di decentramento produttivo e di delocalizzazione: iniziato nei primi anni del secondo dopoguerra, quando si accentuò ancor di più la concentrazione capitalistica in poche mani nel campo della finanza e dell’industria, l’operazione consiste essenzialmente nel trasferire parte della lavorazione in diverse e più piccole aziende, spesso anche in piccolissime unità produttive a domicilio. Lo scopo è duplice: da un lato i costi vengono notevolmente abbassati, non vi sono limii sull’orario di lavoro e sulle regolamentazioni in genere ed i pagamenti vengono effettuati a cottimo. Dall’altro si divide e si fraziona fisicamente la classe operaia, minandone la combattività. Gianni Agnelli, in un’intervista concessa all’Espresso nel 1970, ebbe a dichiarare: “la ripresa delle lotte operaie del 1969- 70 ha insegnato alla Fiat che è finito il tempo delle grosse concentrazioni operaie”. In effetti lo sparpagliamento impedisce un’organizzazione operaia coesa ed una omogeneità di pensiero, ed influisce sulla mentalità dell’operaio,che cambia a seconda del suo inquadramento in una grande o piccola azienda,cosi come nella microbottega: nella prima il lavoratore vede il datore di lavoro come il nemico di classe, lo sfruttatore, mentre nelle altre il padrone è considerato “uno di loro”.
Nell’epoca attuale, segnata dall’accentuarsi violento della crisi di Restaurazione, le contraddizioni tra i gruppi monopolistici speculatori e le masse popolari,si acuiscono addirittura di ora in ora. Il feroce rastrellamento di denaro operato a qualsiasi costo non solo ha gettato nella miseria le classi deboli, ma sta inghiottendo nel vortice della crisi anche la piccola e media borghesia,che viene schiacciata dal capitale finanziario e spinta verso una condizione di proletarizzazione. La concentrazione monopolistica, che si rafforza attraverso la delocalizzazione, il contoterzismo e la destrutturazione produttiva, non lascia margini di manovra: la rapina di denaro liquido in ogni sua forma, la messa a pagamento di crediti insolvibili, il fallimento e la requisizione dei beni come le piccole e medie imprese, che vengono assorbite dai grandi gruppi, sono solo alcuni degli aspetti del terrorismo oligarchico.
Queste situazioni non possono non evidenziarsi anche a livello locale: infatti la violentissima crisi che ha investito il nostro Paese non ha risparmiato la provincia di Teramo, spazzando via dal 2009 ad oggi ben 562 aziende dell’industria manifatturiera,di cui 188 in Val Vibrata.
Nelle città di Giulianova e Roseto degli Abruzzi sono state chiuse 103 imprese, 54 nella sola Martinsicuro, 34 a Tortoreto. Questo processo ha investito in pieno la classe operaia, causando la perdita di ben settemila posti di lavoro in circa quattro anni, determinando uno scenario di autentico dramma sociale. Secondo i dati della Fillea-Cgil, nel settore legno si denuncia una perdita del 40% della forza lavoro dal 2008 ad oggi, la chiusura di importanti fabbriche e la seria difficoltà delle restanti, per un comparto produttivo che dà lavoro ormai solamente a 870 operai circa, mentre le ore di Cig sono aumentate del 295%. Il decremento dei lavoratori occupati nel settore dell’edilizia raggiunge una percentuale del 30%, sempre in rapporto ai dati del 2008, con 1770 posti di lavoro perduti, mentre nel settore manufatti in cemento si registra una perdita occupazionale del 17% rispetto a tre anni fa. I dati forniti dalla Filctem per il settore tessile-abbigliamento sono drammatici per la nostra provincia: dei 12.000 occupati al 2008 non ne restano che 9400 circa, il che significa quasi tremila posti di lavoro bruciati, a cui vanno aggiunti 3.500 lavoratori in mobilità, e 6.400 in cassa integrazione. Agli ammortizzatori sociali si fa ampiamente ricorso anche nel settore metalmeccanico, con 1400 lavoratori in stato di mobilità, cassa integrazione e cassa straordinaria. In provincia di Chieti, nel comprensorio Chieti-Ortona-Guardiagrele il tasso di disoccupazione tocca il 18%, e nell’intera provincia sono 14.000 i disoccupati iscritti al collocamento,2.500 invece quelli iscritti alla mobilità. Nel settore metalmeccanico sono quasi tremila (2800) i posti di lavoro a rischio, mentre si segue con preoccupazione la vertenza per la Sixty di Chieti Scalo, che ha annunciato esuberi tra i 200 e 250 operai su un totale di 440 lavoratori impiegati. La situazione è ormai insostenibile non solo a Teramo, ma in tutta la regione e per gli operai e le loro famiglie tutto questo ha un significato preciso: angoscia, povertà, disperazione. Nell’immediato, occorre una convocazione di tutte le parti sociali per lo sviluppo di un piano industriale concreto, ma questo ovviamente non basta. Il compito dei comunisti è innanzitutto capire cosa accade, maturare una comprensione di classe, organica e dialettica, partendo dalla realtà della lotta tra le classi e non dai desideri individuali che generano astrattismo e spontaneismo. Il Partito Comunista, diretto dall’avanguardia della classe operaia, non segue gli avvenimenti, li precede. Non si accoda al movimento operaio, lo dirige. Seguendo gli insegnamenti leninisti e gramsciani, esso lotta per la trasformazione rivoluzionaria della società, educando ed elevando la coscienza di classe delle masse, ed allo stesso tempo combatte per rivendicazioni immediate, per il miglioramento anche parziale delle condizioni generali di vita delle classi deboli.
L’unità è lo strumento fondamentale per perseguire tali obbiettivi: se analizziamo con attenzione, è evidente infatti che l’opera di divisione aperta al nostro interno, frutto di opportunismi, revisionismi, ma anche della scomposizione fisica della produzione e dei lavoratori (divisi persino da innumerevoli categorie contrattuali) produce per riflesso una dilaniante frammentazione partitica e sindacale, che politicamente deve essere superata attraverso patti d’unità d’azione, cercando di coinvolgere tutte le forze a noi non ostili. Dobbiamo essere in grado dunque di utilizzare tutti coloro che possono essere utili, per obiettivi a breve, medio e lungo termine. Nei luoghi di produzione, un grande aiuto può venire impegnandoci nella costruzione di comitati unitari, o meglio di coordinamenti, in cui l’influenza dei comunisti sia decisiva a contrastare le rivalità tra varie sigle, gli immobilismi e le rovinose fughe in avanti che la divisione comporta,che spesso limitano la potenzialità della lotta.
La lunga onda di restaurazione, cominciata tanti anni fa, tappa dopo tappa è arrivata al suo traguardo e diffonde oggi il suo nero veleno di morte su tutta la società: distrugge le nazioni, i popoli, il lavoro, la nostra stessa vita quotidiana. La ferma risposta arriverà per mano della classe operaia organizzata, che già ora resiste in ogni nostra provincia e regione e che con dignità e fierezza afferma : “ Questa volta no, non passeranno “.
* PdCI, federazione di Teramo, membro del Comitato Centrale
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