Uno degli studenti, stamattina, ha sollevato nell’aula magna un cartello con su scritto “L’invecchiamento del corpo docente manderà in cancrena l’Accademia”. Comprendiamo la sua fretta nel salire la vetta, ma da comunisti siamo abituati ad ascoltare cosa una persona ha da insegnarci, e ad invocare la carta di identità solo quando gli inciampi diventano maggiori delle informazioni ricevute.
L’Accademia non migliora solo perché un trentenne – magari molto preparato, chessò, come la figlia del duo Deaglio-Fornero – sale in cattedra. E’ accaduto anche a Michel Martone, ora vice della stessa Fornero, senza che l’accademia ne abbia tratto alcun giovamento.
A noi sembra necessario indagare sulla “funzione strutturale” dell’università, sul suo ruolo negli ultimi 40 anni. E discuterne senza paraocchi. Dal “6 politico”, per esempio, sono arrivati solo disastri per la capacità della compagneria di ascendere alle vette del sapere. Mentre i figli di papà – intelligenti o scafessi che fossero – si trovavano spalancate davanti tutte le opportunità.
La sapiente provocazione di cdb ci aiuta a riflettere. Marxianamente, sulle classi e la Cultura.
Conviviamo con gli ossimori da così tanto tempo che non siamo più in grado di avvertirli. «Tutto a posto e niente in ordine», diceva quello. Appunto, a cominciare da ciò che si è sistemato nella nostra testa.
Abbiamo cominciato con “guerra umanitaria”, ora abbiamo l'”austerità espansiva” e pure il “lavoro libero”. L’offensiva del capitalismo si dispiega nella sussunzione reale del linguaggio e nella sua manipolazione a proprio piacimento. Il linguaggio è mio e lo gestisco io.
Tutto passa, senza inciampi. Figurarsi se qualcuno si accorge di “università privata”. Mica è “ghiaccio bollente”, non esibisce immediatamente l’accostamento di due termini confliggenti. Chissà se qualche reazione provocheranno “carcere privato” o “esercito privato”. Di “polizie private” ce ne sono tante! Qual è il problema?
Il problema è lo Stato, o lo stato dei Padroni, se si preferisce. Ma con lo Stato delle Multinazionali, la perdita è secca, anche nei confronti del “comitato d’affari della borghesia”. Già, perché la borghesia mandava i suoi figli nelle università nazionali, e le manteneva decenti, selezionando all’occorrenza qualche talento proveniente dalle classi subalterne. Ora, la borghesia delle multinazionali manda i figli a cercare l’eccellenza in giro per il mondo. La liberalizzazione dell’Università significa la sua appropriazione privata, per mettere le mani su ciò che ha ancora valore, e mandare il resto alla malora, in concorrenza con la LUMSA – Libera Università Maria Ss. Assunta – CEPU e le università telematiche.
Certamente, quindi, togliere valore legale al titolo di studio rappresenta il compimento del lungo processo di privatizzazione e di estromissione dello Stato. Il misfatto è compiuto. Si è cominciato con il riconoscere l’autonomia finanziaria degli atenei, si è proseguito passando al 3+2, facilitando studi ed esami, inventandosi titoli di corsi all’americana (perversioni sessuali nelle formiche, o giù di lì), facendo pagare tasse irrisorie, moltiplicando le sedi universitarie – raddoppiate in un decennio: da 45 a 83. Università come le provincie -, finendo con il confezionare lauree su misura e alla portata di tutti, con il plauso dei beoti sessantottini (ho sempre preferito il settantasette). Dimenticavo gli oltre cinquanta corsi di laurea in scienze della comunicazionesorti in pochi anni qua e là per il paese. Giocherellare con le parole e con le immagini, in tempo di crisi, è risultato imbarazzante.
A questo punto il gioco è fatto. Nessun ente o istituzione può certificare la comparabilità di lauree prese nei diversi atenei, e quindi la loro rispondenza a caratteristiche minimali. Nessuna garanzia per chi ha studiato, comunque non da parte dello Stato.
Lo disse uno, generalmente acuto: “il diritto è il riconoscimento del fatto”. Appunto, se lavorano a una legislazione che toglie il riconoscimento legale del titolo di studio, vuol dire che tale titolo non ha più valore. Ormai.
Di chi le responsabilità, e come se ne uscirà? Parliamone. Una cosa è certa: l’Università è pubblica o non è.
cdb
dal blog di Odradek – www.odradek.itl
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