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Art.81 e Fiscal Compact: due proposte

Il 17 aprile il Senato ha votato in quarta lettura il disegno di legge di revisione dell’art.81 per introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione, e la votazione avvenuta con una maggioranza superiore ai due terzi, così come già era accaduto alla Camera per la terza lettura, impedisce il ricorso al referendum popolare secondo quanto prescrive l’art.138 Cost. Il nuovo articolo 81 è ormai in Costituzione, anche se ciò non significa rimanere ‘inerti e silenti’ di fronte a questa manomissione voluta dall’UE e attuata dalla maggioranza PD-PdL-Terzo Polo, che sostiene il governo Monti.
L’Associazione per la Democrazia Costituzionale ha nel corso della discussione parlamentare organizzato dibattiti e inviato ripetutamente e-mail a tutti i parlamentari per denunciare la gravità dell’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, chiedendo al Parlamento un atto di rispetto democratico, quello di non votarla con la maggioranza dei due terzi così da consentire la raccolta delle firme per un referendum popolare, secondo quanto prevede l’art.138.
Il Comitato No Debito ha organizzato una raccolta di firme e dei sit-in davanti alla Camera e al Senato per rompere il ‘silenzio stampa’ sulla questione. Solo il manifesto ha alimentato la discussione pubblicando articoli contro la modifica dell’art. 81.
Il Parlamento non ha raccolto questa domanda volta a far svolgere il referendum popolare su una materia così importante come le regole del bilancio dello Stato, cuore del patto fiscale democratico.
Introdurre in Costituzione il pareggio di bilancio significa impedire alle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell’economia per orientare l’uso delle risorse rispettando il vincolo dei beni comuni naturali – l’acqua, il territorio, l’energia, l’aria –, e per attuare i diritti sociali − la salute, l’educazione, l’istruzione, la previdenza.
Ora l’articolo 81 è stato modificato ed è parte integrante della Costituzione aprendo però una contraddizione al suo interno: come si può conciliare il pareggio di bilancio con le disposizioni dell’art.3 (la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale), dell’art. 4 (il diritto al lavoro), dell’art.32 (il diritto alla salute), dell’art.34 (il diritto all’istruzione), dell’art.35 (la tutela del lavoro), dell’art.37 (la tutela della donna lavoratrice e dei minori), dell’art.38 (diritto all’assistenza, alla previdenza e alla sicurezza sociali)? La contraddizione è tra diritti e mercato, e su di essa occorre far leva.
Qui si inserisce la precisa proposta di Gianni Ferrara, avanzata su il manifesto, di raccogliere 50 mila firme, secondo il dettato dell’art.71 Cost., per una proposta di legge di iniziativa popolare per un comma aggiuntivo all’attuale testo dell’art. 81 per vincolare almeno il 50% del bilancio dello Stato all’effettiva fruizione dei diritti sociali e del lavoro prescritti in Costituzione.
L’Associazione per la Democrazia costituzionale ha già avviato un lavoro per un’iniziativa legislativa popolare, aperta a tutte le forze intenzionate a difendere e sviluppare il costituzionalismo democratico e sociale di cui è espressione la nostra Carta costituzionale.

2.
Il 2 marzo è stato siglato a Bruxelles il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento, sulla governance nell’Unione economica e monetaria, noto come Fiscal Compact, chiesto dal presidente della BCE, Mario Draghi, nel suo discorso al Parlamento europeo il 1 dicembre 2011. 
Con il Fiscal Compact si rendono permanenti i piani di austerità che mirano a tagliare salari, stipendi e pensioni, ad annullare la specialità del diritto del lavoro, a privatizzare i beni comuni, e si chiede, all’art. 3, l’introduzione del pareggio di bilancio negli ordinamenti nazionali, preferibilmente a livello costituzionale. Con questo Trattato economico i governi, qualunque siano i loro colori politici, devono nelle politiche di bilancio attuare le decisioni del Consiglio europeo, della Commissione europea e della Banca Centrale Europea: la democrazia viene cancellata, il potere  è nelle mani dei mercati finanziari, delle banche, della tecnocrazia. Inoltre si prescrive l’abbattimento del debito per riportarlo nel limite del 60% del PIL: per l’Italia venti anni  di manovre economiche dell’ordine di 47/48 miliardi l’anno solo per ripagare il debito. Per questo occorre spezzare i vincoli dell’UE.
In Italia la ratifica dei Trattati internazionali, qual è il Fiscal Compact, è di competenza esclusiva del Parlamento tanto che l’art. 75 Cost. non ammette il referendum per le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Ora i Trattati UE vanno cambiando radicalmente le Costituzioni fino al loro sovvertimento, come avviene con il Fiscal Compact che, insieme con la modifica dell’art.81, introduce una ‘costituzione di mercato’ contro il costituzionalismo dei diritti.
Certo importante sarà una campagna d’opinione contro la sua ratifica, ma questa campagna sarà tanto più incisiva se sarà centrata sulla richiesta che anche in Italia si svolga un referendum popolare. Ho ricordato il divieto dell’art. 75, ma i Trattati UE hanno una tale incidenza sugli assetti costituzionali che il Parlamento italiano varò nel 1989 una legge costituzionale per consentire un referendum popolare di indirizzo su una questione fondamentale: l’attribuzione di un potere costituente al Parlamento europeo. A convincere un restio PCI a sostenerla furono in prima fila Ferrara, Bassanini e Rodotà.
Oggi occorre chiedere che il Parlamento, con la stessa rapidità con cui ha approvato la revisione dell’art.81, vari una legge costituzionale per un referendum di indirizzo sul Fiscal Compact. I/le cittadini/e devono decidere sulle scelte europee: se vogliono un’Europa liberista, o un’Europea guidata dai valori del costituzionalismo democratico.

* Forum Diritti Lavoro/ Comitato No Debito

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