A nostro avviso invece tragedie come questa mettono a nudo, se ce ne fosse bisogno, quanto poco tutelato sia chi lavora, soprattutto nel mondo delle piccole e medie imprese. E quanto sempre di più si vada in questa direzione nel resto del mondo del lavoro, quanto gli “incentivi” all’imprenditoria si trasformino spesso in lassismo e carenza di controlli delle istituzioni preposte, quanto ci sia bisogno, da parte dei lavoratori, di prendere parole e intervenire nel dibattito pubblico, imponendo le nostre priorità…
Ieri il primo step della riforma del mercato del lavoro, i primi due maxi-emendamenti, sono passati al Senato e oggi si voteranno il terzo e il quarto. Anche questi passeranno senza problemi. I temi sono sempre gli stessi, discussi e ridiscussi: articolo 18, ammortizzatori sociali, flessibilità in entrata e uscita. Nel frattempo, a qualche centinaia di chilometri da Palazzo Madama, la tragedia del terremoto porta alla luce storie di esclusi, di lavoratori dimenticati nei distretti industriali della Pianura Padana. Storie di operai italiani e immigrati, morti sotto i capannoni della aziende presso le quali lavoravano.
Sembra banale commentare questo dato e a dir poco scontato non notarlo. Eppure, seppur citato da tutte le testate giornalistiche e in tutti i servizi speciali di questi giorni in TV, ci pare sia stato trattato come del tutto secondario e non considerato sempre nella giusta ottica.
Il terremoto che ha scosso l’Emilia è un terribile trauma per le popolazioni che si troveranno, come abbiamo visto spesso in passato, a lottare per tanto tempo per riacquistare un’esistenza dignitosa, per superare la paura di trovarsi senza un tetto… Ma il dato che in questa circostanza colpisce di più è che la maggior parte delle vittime di questa tragedia erano persone che stavano lavorando, sulle quali sono crollate le strutture degli stabilimenti. Non ci interessa qui sottolineare i casi specifici, ci interessa invece sottolineare due dati: l’obbligo – ormai acclarato da diverse interviste e articoli – da parte dei padroni di recarsi a lavoro, nonostante il pericolo ancora incombente. E, soprattutto, il fatto che capannoni industriali di recente costruzione non abbiano retto ad una scossa sismica pesante, ma non devastante (al punto che molte costruzioni, ben più datate, non hanno riportato danni significativi)…
Lasciamo da parte il primo dato, e concentriamoci un attimo sul secondo. Per quanto infatti ora si cerchi di stornare l’attenzione parlando del suolo della Pianura Padana, che modificherebbe la sua “consistenza” e che quindi avrebbe reagito “in maniera imprevedibile”, non possiamo non chiederci se queste morti si sarebbero potute evitare attraverso controlli più accurati. Chi ha messo su impianti industriali evidentemente fuori norma, eppure certificati e controbollati? Chi ha tirato su in fretta e furia i capannoni? Chi ha costruito in spregio a ogni criterio per la vita delle persone che quei luoghi li vivono? E mentre si spendono chilometri di carta e ore di televisione sulle immagini delle chiese ridotte in rovina, perché non ci si perde altrettanto per accusare i responsabili di queste morti? I responsabili sono gli imprenditori, piccoli, medi o grandi che siano, sono le istituzioni che hanno dato i permessi e tutte le certificazioni tecniche perché le attività potessero impiantarsi e l’agibilità per rientrare a lavorare. E’ troppo dire che chi è responsabile deve pagare? Al contrario: è il minimo per rendere un po’ di giustizia a quelle vite che non torneranno più.
E responsabile è anche il governo Monti che con l’art. 14 del decreto semplificazioni (DL 5/2012) ha previsto la soppressione o la riduzione dei controlli per la sicurezza sul lavoro per le imprese in possesso del certificato di qualità Iso-9001 o simili (certificazioni che non hanno niente a che vedere con la sicurezza sul lavoro e che in più sono rilasciate da aziende private), inserendo poi un vergognoso concetto di “collaborazione amichevole” con i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità, depotenziando in maniera grave e spudorata i controlli per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Ma c’è un’altra cosa che deve farci riflettere. Perché quegli operai erano a lavoro, invece di essere come tanti, in un momento così drammatico, a prendersi cura dei propri cari o a pensare ai propri affari? Anche ad un’inchiesta superficiale risulta che chi era a lavoro era lì perché ricattato dal suo contratto precario, dalla paura di perdere il lavoro o comunque dalla necessità di dover portare a casa lo stipendio. Se il terremoto è una catastrofe naturale, è ben poco naturale il rapporto di sfruttamento di sé e degli altri che spinge le persone a recarsi in ogni caso a lavoro. In molte fabbriche erano comparsi comunicazioni aziendali che sapevano di minacce. I padroni e i padroncini avevano detto che il loro profitto doveva ripartire ad ogni costo. Questi sono i risultati del loro ricatto.
Ma a cosa ci serve sapere cosa è successo? Soprattutto ad evitare quella generica solidarietà, la maggior parte delle volte decisamente ipocrita, in pochi casi sincera e genuina, ma impotente. Volete rendere giustizia a quelle morti? Volete che non siano morti invano? Volete che non accada più? Bene: lasciate stare, anzi, boicottate le raccolte fondi, gli sms a 2€, le lacrime che costano poco. Mobilitatevi per impedire che passi questa riforma del lavoro, che renderà i lavoratori ancora più ricattabili, indifesi, esposti a tutto. Se gli operai avessero avuto contratti a tempo indeterminato e capacità di farsi sentire in fabbrica, avrebbero di certo rifiutato di lavorare, e forse non sarebbero morti. La riforma del lavoro di Monti va a toccare proprio l’articolo 18, quel deterrente che sconsiglia i padroni dal buttare fuori il lavoratore più sindacalizzato o rompiscatole.
Non ve ne frega nulla di questa riforma del lavoro? Bene, anzi male. Però potete interessarvi di come verranno spesi i vostri soldi. Di come sarà fatta la ricostruzione, evitare che si ripetano le risate, gli scandali, le tendopoli-lager de L’Aquila, i fondi da voi gentilmente elargiti dirottati sui conti personali degli imprenditori. Esigete piuttosto ricostruzioni antisismiche al posto delle new town, la galera per chi costruisce con la sabbia, la requisizione delle proprietà sfitte per gli sfollati; reclamate che i fondi per la ricostruzione vengano dal taglio delle spese militari, dalla tassazione delle rendite dei padroni, dalla cancellazione delle parate…
Oggi il problema principale non è come “aiutare l’economia del paese”, ma come farla pagare a chi esercita il proprio ruolo nella società in maniera autoritaria, ormai senza più limiti. Se non ci muoviamo presto, ci saranno ancora lavoratori che non oseranno “restare a casa” dopo un terremoto, ci saranno ancora ingegneri e istituzioni compiacenti nel dare concessioni alle imprese, ci saranno ancora i Governi delle banche e delle industrie, ci saranno ancora morti sul lavoro, come se non bastassero coloro che rientrano tutti i giorni in questa lista, senza bisogno di terremoti…
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