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Kazakistan, il nuovo west economico

Agli occhi di noi occidentali, molto spesso ammalati di eurocentrismo cronico, l’Asia Centrale appare come una misteriosa sconosciuta. Parlo di noi comuni mortali non, certamente, degli investitori capitalistici dei nostri rispettivi paesi che pur facendo finta di essere europei di sigla continuano a portare avanti le proprie politiche economiche nazionali.
E queste politiche vedono nei paesi dell’Asia centrale una fonte di commercio e di enorme sfruttamento, arma speciale nelle mani di chi poi se la giocherà sul proprio territorio nei confronti di “consumatori” e lavoratori.
Abbiamo sentito parlare recentemente del Kazakistan solo nelle sale cinematografiche, grazie al film “Borat”, dove l’attore Sacha Baron Coen a chi lo criticava per aver rappresentato uno stereotipo del popolo kazako rispondeva: “Se non fosse per me la gente non saprebbe neanche dell’esistenza del Kazakistan”. Per certi versi ha ragione, ma non per i capitalisti che hanno sotto osservazione gli sviluppi economici del paese centroasiatico da molto tempo.
Da tempo il sottosuolo Kazako – ricco di  gas, petrolio, carbone, ferro, manganese, cromo,  zinco, titanio, bauxite, oro, argento, fosfati, solfuri, acciaio ecc – attrae i colossi energetici mondiali. Tanto per dare due cifre: l’anno scorso il volume del Prodotto Interno Lordo (PIL) nei prezzi correnti era 186,199,487,000 di dollari.
Rispetto all’anno 2010 l’indice è aumentato per 7.5%.
Nella struttura del Pil la parte di produzione delle merci è del 43,2%, dei servizi il 51,8%.
La produzione delle merci l’anno scorso ha portato al governo 80, 403, 710,000  di dollari, agricoltura, caccia e silvicoltura, pesca, piscicoltura – 9,605 miliardi di dollari, industria – 58 miliardi 442 milioni di dollari, costruzione – 12,356,568,000 di dollari, terziario – 96,530,123,000 di dollari le tasse nette per i prodotti e l’importo – 12,996,823,000 di dollari.
La parte più importante dei redditi del Kazakistan viene percepita dall’esportazione  di petrolio ed altri minerali utili,  nello stesso tempo il corso della  politica economica del Kazakistan è diretta al passaggio dall’aumento di quantità di giacimenti in corso e dai volumi di estrazione , dall’ esportazione di materia prima al prodotto finito  con il valore aggiunto alto.
L’anno 2010 è stato la fase importante nello sviluppo economico del Kazakistan.
È partito un programma industriale nuovo, il compito principale  è lo sviluppo delle produzioni  di materie prime edotte all’esportazione, ed il passaggio graduale alla produzione di alta tecnologia; è stata creata l’Unione Doganale, nei limiti dello quale si aprono le possibilità supplementari di affermazione sui mercati di Russia e Bielorussia per gli investitori che realizzano i progetti nel Kazakistan.
Fin dal disgregamento dell’ U.R.S.S,a gli inizi degli anni 90, il Presidente Nazarbayev (ex Segretario del Partito Comunista Kazako) ha aperto le porte economiche all’occidente, o per essere precisi, in particolar modo alle compagnie dal Caspio alla Cina (la vastità del territorio Kazako ne fà terra di confine con varie nazioni, è grande come mezza Europa e conta 16 milioni di abitanti) che da anni tenevano, come avvoltoi, gli occhi puntati sul tesoro del Kazakistan.
In questa maniera il Kazakistan è diventata terra di conquista, il nuovo west-economico.
Non ne risultano indenni al fascino di questa terra asiatica i nostri interessi nazionali, in primis il colosso energetico ENI.
Pur rappesentando una esigua minoranza di interesse nell’area post-sovietica, l’Italia in questo paese ha la sua bella fetta di torta.
E dal 1992 che opera in questo territorio,  da quando sono partiti i negoziati per il campo petrolifero di Karachaganak.
E dopo la scoperta del grandi riserve di Kashagan (considerata la più grande negli ultimi decenni) ne gestisce lo sviluppo facendo parte del consorzio del North caspian sea production sharing agreement, cui partecipa con il 16,81% insieme  alla compagnia di Stato KazMunaiGas e alle compagnie internazionali Total, Shell e ExxonMobil, ciascuna con una quota del 16,81%, le altre ,ConocoPhillips con l’8,40%, e Inpex con una quota del 7,56%.
Gli interessi economici in campo  vedono in  Kashagan  un progetto colossale, una torta che i giganti energetici di mezzo mondo, con l’Italia in prima fila, si sono spartiti.
Le divisioni delle varie aziende capitalistiche vedono qualche intoppo nel progetto (dai costi iniziali di circa 60 miliardi di dollari esplosi a quasi 200 alla ridefinizione delle quote per ciascun operatore voluta su pressione kazaka) e ,naturalmente vede anche a livello politico chi gode della spartizione gettare un occhio di riguardo alle relazioni con il presidente a vita Nazarbayev.
La fila di chi bussa alla porta del palazzo di Astana è lunga.
Persino il Premier Mario Monti nel suo recente viaggio asiatico ha fatto scalo («tecnico, ma anche politico», secondo del parole del presidente del Consiglio) in Asia centrale vedendosi con il premo ministro kazako Karim Masimov si è precipitato a dichiarare:
«Una tappa significativa dal punto di vista economico, soprattutto da quello delle risorse energetiche in un Paese che dobbiamo seguire con sempre maggiore attenzione», ha detto il Professore lasciando pochi dubbi sul perché il Kazakistan vada trattato coi guanti di velluto , naturalmente chiudendo un occhio sulle recenti sommosse nell’Ovest del Paese, con decine di morti e feriti a seguito degli scontri tra polizia e scioperanti del settore petrolifero.
Un occhio che pare si sia chiuso anche dell’ intransigente Gran Bretagna visto che nel 2014 le truppe angloamericane in uscita dall’Afghanistan, a fine mandato ,devono infatti trasportare ingenti quantità di materiale bellico di ogni genere passando attraverso i 4.600 chilometri di ferrovia che va da Mazar i Sharif a Calais (Operazione nuova Dunkerque).
Nazarbayev ha invitato recentemente David Cameron a fare un salto ad Astana per discutere i dettagli, Downing Street ha però glissato, preferendo evitare incontri imbarazzanti.
Ma fra qualche mese c’è comunque da scommettere che anche a Londra possa tirare un’aria diversa.
Naturalmente bisognerà in ogni caso fare i conti con il più grosso partner commerciale del Kazakistan, la Russia che insieme al Kazakistan fa parte dell’organizzazione  SCO,  come abbiamo visto nella scorsa analisi sulle tratte commerciali dell’ IRAN.
La SCO (Shanghai Cooperation Organisation) assume sempre più maggiore rilevanza, trasformandosi in una sorta di alleanza non solo politica ma anche militare, come dimostrano le svariate esercitazioni congiunte andate in scena dal 2003 e quelle bilaterali tra Russia e Cina, organizzate per la prima volta nella storia di questi paesi due anni più tardi. In particolare, Mosca e Pechino, nonostante una lunga storia di rapporti travagliati, hanno fatto registrare un certo riavvicinamento, promuovendo l’SCO come una risposta alla NATO e alle mire espansionistiche occidentali nel continente asiatico, e che vede l’Iran come osservatore interessato, basta vedere anche il potere che stà esercitando la Russia verso il probabile intervento ONU in Siria, storica alleata dell’IRAN nella regione.
E sempre richiamando la scorsa analisi e da integrare la partecipazione del Kazakistan all’ ECO(Organizzazione per la Cooperazione Economica) formata da: Stato islamico di Afghanistan, Azerbaijan Repubblica, Islamic Republic of Iran, Repubblica del Kazakistan, Kirghizistan, Repubblica Islamica del Pakistan, Repubblica di Tagikistan, Repubblica di Turchia, Turkmenistan e la Repubblica di Uzbekistan, che come raggruppamento regionale promuove gli scambi all’interno della regione e del resto del mondo basata sul principio del libero scambio per rispondere alle sfide della globalizzazione.
E in questo enorme scacchiere ,economico-politico, che la Russia in collaborazione con l’altro Gigante Asiatico, la Cina, si gioca la “Partita” per il controllo  della regione.

* Rete dei Comunisti Bologna

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