Bersani ha aperto la campagna elettorale sparando contro Grillo e il suo movimento.
L’attacco e gli argomenti usati sono interessanti, perché mettono in evidenza quali siano i nemici individuati dall’establishment politico e du quale terreno si vorrebbe condurre la battaglia.
Per dei “partiti” che si preparano a confermare il programma e lo schieramento che tiene in piedi il “governo tecnico” sono nemici in senso stretto tutti quelli che si pongono fuori da quel programma e dalle alleanze relative. Indipendentemente da cosa si sostiene e dalla propria collocazione politico-ideale. Bersani è partito contro Grillo per il semplice motivo che il comico è per ora – nei sondaggi – l’outsider più pericoloso. Anche solo a livello di legge elettorale, infatti, rischia di far fallire l’obiettivo per cui la legge viene ridisegnata. Un esempio? Si sa che il Pd vuole un “premio di maggioranza” del 15% al partito che prende più voti, immaginando di poter esser quel partito che poi farebbe da pilone centrale della futura maggioranza a sostegno di un Monti 2 o un Passera 1. Bene. I sondaggi dicono che il primo partito, se non cambia il trend, potrebbe addirittura essere il Movimento 5 stelle. In quel caso tutti i giochi parlamentari sulla base di una legge elettorale così fatta diventano semplicemente impossibili,
Era dunque previsto che contro gli outsider in generale partisse l’offensiva; e contro il più “votabile” in primo luogo. Non ci stupiremmo se da qui a marzo arrivasse anche qualche colpo basso sui terreni friabili su cui Grillo ha costruito il proprio castello di consenso labile (finanziamenti strani, amministratori grillini corrotti, ecc). Ma anche per chiunque altro si presenterà in alternativa al programma e allo schieramento “totalitario” (Pd,Pdl, Udc) ci sarà lo stesso trattamento, ovviamente proporzionale al livello dei consensi potenziali raggiungibili. Per tutti gli “zero virgola” basterà il silenzio.
Interessanti anche gli argomenti: “fascisti” (con un collasso semantico che riunisce tutti i “populismi” sotto questa definizione) e “venite qui a dircelo, fuori dal web”.
Nel primo caso, Bersani usa la categoria di demonizzazione più forte per chi si ritiene “di sinistra”. La usa a pen di segugio, certo, ma intenzionalmente: sa che di fronte al “pericolo fascista” la sua base storica si immobilizza e accetta qualsiasi politica, anche la più dolorosa e suicida. Avremo dunque una stagione in cui verrà definito “potenzialmente fascista” chiunque si opponga alle politiche della troika e al governo che le traduce in italiano. Mentre del governo faranno tranquillamente parte fascisti veri, ex democristiani ed ex comunisti.
La “singolarità” dell’accusa è stata immediatamente colta da Grillo, che del resto nella sua propaganda si rivolge in primo luogo alla base sociale di quel che un tempo era “la sinistra” e con argomenti molto simili (“liste pulite”, via i corrotti, ecc). Ma anche lui sa che non potrà reggere a lungo una contrapposizione frontale con tutto lo schieramento mainstream, che gli punterebbe addosso tutti i cannoni mediatici. E quindi ha avuto una reazione decisamente “educata” rispetto ai suoi standard.
Ancora più interessante il Bersani in versione “coatta” del “venite qui a dircelo, invece di stare nascosti nel web”.
La politica fatta nell’universo virtuale, lo abbiamo detto spesso anche noi, ha grandi limiti. Può costruire consensi numericamente rilevantissimi in poco tempo, ma anche smarrirli in modo altrettanto rapido. L’assenza di relazione “fisica” tra le persone, di partecipazione diretta in piazza e sui luoghi di lavoro, di confronto-scontro tra le idee e le proposte per come si manifestano nella testa della gente, mina alla base la solidità di qualsiasi “consenso”. Alla prova della realtà fisica comune molti movimenti nati nel virtuale sono evaporati come neve all’equatore (ricordate il “movimento viola”?).
Bersani e i suoi consigliori naturalmente lo sanno e “sfidano” sul terreno sociale concreto un comico che in piazza ci va quasi solo per fare spettacoli a pagamento. Ma è chiaramente su questo terreno – la condizione sociale e di classe reale – che si gioca la partita del consenso o dell’opposizione alle politiche della troika. Scrivere e mandare messaggi in rete ha una funzione utile come supporto di un’azione politico-sindacale reale, ma non potrà mai essere realmente “sostitutiva” dell’organizzazione concreta (purtroppo lenta, laboriosa, faticosa) delle persone in carne e ossa. Unire i fan e farsi dare ragione (e magari un voto su una scheda elettorale) è sicuramente più facile, ma meno duraturo.
Si è aperta la campagna elettorale, dunque. E come prevedibile “il programma di governo” è già scomparso dal terreno del confronto. Non è un caso. Ne vedremo delle belle.
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