L’editoriale di Dario Di Vico oggi sul Corriere della sera ci costringe ad usare parole nette. Abbiamo ascoltato ieri una lunga serie di discorsi (Monti, Napolitano, Bersani, Fini, Casini) su un problema ormai evidente: se tutti i “poteri forti”, da Cernobbio o da Bruxelles, dicono che “dopo Monti, ancora Monti”, c’è il fondato rischio che venga allo scoperto quella che – su questo giornale – abbiamo definito fin dall’inizio un’invasione. Che ha espropriato di fatto tutti i meccanismi della rappresentanza politica per cancellare – con la “riforma” del mercato del lavoro – anche quelli della rappresentanza sindacale (senza articolo 18 e senza contratti nazionali resta ben poco da “rappresentare”).
E quindi le elezioni di marzo-aprile che si fanno a fare? Il “programma di governo” è già stabilito: la continuazione dell’”agenda Monti”. Qualsiasi nuovo esecutivo non dovrà far altro che applicare ciò che viene ordinato da fuori. E un Monti per un attimo disattento lo ha anche ammesso: “ormai le cose che contano si decidono a Bruxelles”.
Dunque si voterà per le “amministrative”, non per le “politiche”. Come se l’Italia fosse ormai una regione, in cui il bilancio e le voci di spesa sono controllate a livello più alto. Problema: questo livello più alto non è un organo democraticamente eletto e tantomeno democraticamente revocabile. È e comanda obbedendo a input o poteri incontrollati. Non proprio l’ideale di Tocqueville, ammettetelo.
Di tanta “inutilità” gli elettori potrebbero accorgersene presto, nonostante gli strepiti da campagna elettorale tra un “centrosinistra” mobilitato a impedire un “ritorno di Berlusconi” e un centrodestra avotatao a “sbarrare la strada ai comunisti”. Finita la festa, chiunque vada a palazzo Chigi troverà un dossier con le disposizioni da applicare.
Il problema lo hanno creato i troppi (dagli imprenditori a Fini e Casini) che hanno tirato le conseguenze logiche: votiamo, ma diamo poi l’incarico a Monti. Quindi, contrordine giornali! Bisogna dire che le elezioni servono, che siamo un paese “normale”, dove si decide in modo democratico il leader (e il “programma”?), come nei paesi vicini. Il povero Bersani, chiudendo la festa del Pd, ha ringraziato giurando che “decideranno i cittadini, non la banche”. Sapendo benissimo che sarà il contrario, ma ritrovando una ragione di “mobilitazione” per il proprio elettorato potenziale. E qui arriva Di Vico…
Decideranno gli elettori
Dario Di Vico
Si è aperto in questi giorni in contemporanea al meeting di Cernobbio un confuso dibattito sull’eventualità di ricorrere a un governo Monti bis dopo le elezioni. L’ipotesi ha fatto leva anche sull’apprezzamento dell’operato dell’esecutivo espresso dagli imprenditori presenti al convegno. Detto che la nostra Costituzione non assegna ancora alle riunioni delle grandi élite italiane il potere di indicare il capo di un governo per di più post elettorale, sostenere oggi il Monti bis è un errore. Nell’immediato non ci aiuta nel cammino di risanamento/riforma intrapreso e soprattutto introduce un elemento di ambiguità nel rapporto tra istituzioni e Paese reale. Non è un caso del resto, come ha ricordato ieri lo stesso Mario Monti, che l’Italia sia l’unico Paese tra i 27 della Ue amministrato da un esecutivo di tecnocrati mentre tutti gli altri sono guidati da governi espressione di una reale competizione elettorale.
Redazione. Se non sapessimo che Di Vico (ex Movimento Studentesco…) è tra quanti ha sostenuto con più vigore la necessità di un governo “tecnico” potremmo addirittura commuoverci: c’è gente sensibile alla qualità della democrazia in questo paese! In realtà avverte lui stesso, “è un errore” sostenere “oggi il Monti bis”. Mette in pericolo le “riforme” ancora da fare da qui alle elezioni e soprattutto scopre il gioco della continuità con troppo anticipo, svuotando di senso le elezioni.
Una parte di coloro che sostengono l’idea del Monti bis è animata dalla sincera volontà di segnare la continuità, di rassicurare Bruxelles, Berlino e i mercati che il cammino avviato dal governo tecnico non sarà interrotto. Ma la sacrosanta esigenza di rispettare le compatibilità europee e di imporci all’attenzione come un Paese coerente, giustamente sostenuta su questo giornale da Sergio Romano e Francesco Giavazzi, non vale il rischio di aprire una frattura nella tradizione democratica italiana. «Non posso credere che un Paese non sia in grado di esprimere un leader politico capace di governarlo» ha commentato Monti. E se fosse il contrario sarebbe grave, perché segnalerebbe non solo l’anomalia del sistema politico ma l’incapacità di una più larga comunità nazionale di selezionare la classe dirigente e prendersi cura dei propri problemi. Se da anni ci battiamo per abolire il Porcellum non possiamo poi pensare di adottare un modello di rappresentanza in cui il voto diventa un mero sondaggio di popolarità, tanto già si sa chi siederà nella stanza dei bottoni.
Red. “Il rischio di aprire una frattura nella tradizione democratica del paese”?! Avesse detto “consolidare” sarebbe stato onesto, ma così… La “frattura” c’è stata a novembre: ora o la si elimina o la si “costituzionalizza”. Ma la prima ipotesi è vista con terrore soprattutto dai Di Vico, che ovviamente si appellano preventivamente al giudizio terribile che “i mercati” darebbero su un paese in grado di decidere da solo su come affrontare la crisi. Sia chiaro: non stiamo affatto sottovalutando la terribile pressione che dovrebbe subire qualsiasi paese che “scarti” dal percorso prefissato dalla troika (Fmi, Bce, Ue). Ma il problema di “trovare un leader” in grado di “governare il paese” (una tautologia, parlando di lezioni) ha senso solo se rapportato a un “programma” da cui non si potrà deflettere. Il salto logico ci sembra evidente: si cerca un “leader obbediente”, ma al tempo stesso capace di fingere in modo credibile di essere l’espressione di una volontà popolare.
Decideranno gli elettori – che, non va dimenticato, hanno votato tutti i provvedimenti di Monti – di non fare scherzi e non cedere alla demagogia di promettere in campagna elettorale quello che una volta al governo non potranno mai mantenere. Esigiamo da loro che riformino la legge elettorale e approvino le norme anticorruzione. Spingiamoli pure ad organizzare al proprio interno competizioni primarie per la scelta dei candidati. Facciamo tutto questo con la giusta tensione civile ma giuriamoci anche di rispettare l’esito delle urne quale esso sia. Il governo tecnico è stata un’eccezione, speriamo felice, ma deve rimanere tale, non può diventare la regola.
Red. La menzogna è allucinante. Quando mai gli elettori hanno votato tutti i provvedimenti di Monti? L’hanno fatto i “nominati” dei vari partiti che lo sostengono, ma proprio perché “nominati” tutto sono tranne che “rappresentanti degli elettori”. Singolare che Di Vico, che pure dice – oggi – di disprezzare il “porcellum”, non se ne sia dato per inteso. Il resto del periodo è semplicemente un avvertimento ai “contendenti”: dopo il voto, visto che sappiamo tutti quel che verrà fatto, evitiamo di “delegittimare” la controparte, come avvenuto per il ventennio berlusconiano. Preoccupazione quasi eccessiva, visto che soltanto Idv e Lega sono per il momento – per il momento – fuori dai giochi.
I tecnici vengono chiamati alla guida nei momenti di massima emergenza, sono come dei medici dotati di grande competenza e serietà. Un Paese però non può consumare tutti i suoi giorni in ospedale, ha bisogno di ricominciare a pensare a lungo termine. Tutto ciò nel linguaggio delle democrazie moderne prevede che gli schieramenti si affrontino con programmi e ricette alternative tra loro, che i cittadini esprimano la loro preferenza e i vincitori siano chiamati a governare. Sarebbe singolare che, mentre esaltiamo le più moderne forme di partecipazione che la tecnologia ci ha regalato, alla fine congelassimo quella su cui è fondato il nostro patto di civiltà.
Nota della redazione: Lo stallo logico in cui Di Vico viene cacciato dalla sua stessa retorica è quasi patetico. “Gli schieramenti si affrontino con programmi e ricette alternative tra loro” ma si impegnino a proseguire l’”agenda Monti”. Delle due l’una, caro Di Vico. E “l’alternatività” delle soluzioni è l’ultima cosa che i tuoi datori di lavoro si augurano. Vincerebbero certamente quelli che propongono un’altra cosa rispetto a tagli e tasse. Chiunque esso sia, purtroppo…
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