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Fuori dall’Eurozona, fuori dal capitalismo


Sicuramente occorre dare atto, non formalisticamente, alla nostra organizzazione di essersi voluta esporre sul piano politico mentre in Italia si sta consumando un importante passaggio della crisi dentro una dinamica internazionale ed europea che registra l’accentuarsi dei fattori complessivi della competizione globale e mentre registriamo i diversificati diktat dell’Unione Europea e la messa a punto di provvedimenti economici e finanziari i quali intervengono, pesantemente, in Italia e negli altri paesi.

Ancora una volta – quindi – la Rete dei Comunisti ha provato ad interpretare quella funzione di intellettuale collettivo, che costituisce uno dei suoi tratti costitutivi rispettando quel metodo e quella funzione che – crediamo – stiamo affermando, da anni, sul versante teorico, politico e pratico.
Una modalità metodologica – questa – la quale è finalizzata alla qualità dell’analisi a fronte della complessità delle sfide e delle questioni che l’attuale tornante della crisi e delle sue variegate ricadute antisociali pone a quanti, a vario titolo, sono impegnati nelle mobilitazioni e nel conflitto politico, sociale e sindacale.
Anche stavolta, quindi, sfidando le varie vestali di una presunta ed immutabile ortodossia abbiamo provato a misurarci – nei movimenti sociali ed oltre – con temi e problematiche le quali afferiscono, quotidianamente, alla vita reale dei lavoratori, dei precari e dell’insieme dei ceti popolari. Inoltre abbiamo inteso, questo nostro contributo, come

Prioritario resta il conflitto e la sua organizzazione

E’ evidente, ma è utile ribadirlo, che la proposta, o meglio, l’idea/forza che, come RdC, abbiamo avanzato se non è supportata, veramente, da un poderoso ciclo di lotte, ancora tutto da delineare, rischia di restare un orpello incartapecorito ed inservibile per qualsiasi intrapresa politica di massa.

Per cui l’asse fondamentale del nostro impegno, e su questo punto vogliamo tranquillizzare i tanti compagni che hanno espresso qualche mal di pancia nei confronti della nostra presa di posizione, resta la funzione che da comunisti svolgiamo nelle dinamiche del conflitto, nei posti di lavoro, nei territori e nell’intera società.

Un compito che tentiamo di sostanziarlo con l’assunzione piena di un carattere espansivo e di qualità il cui obiettivo resta, particolarmente in questa fase, la prioritaria sollecitazione verso la centralità della sedimentazione organizzata e dell’accumulo di forze che, di volta in volta, si mettono in movimento sotto l’incalzare della crisi.

In tal senso – e non è questo un passaggio automatico o scontato anche tra gli attivisti politici e sindacali – vanno interpretate e declinate tutte le riflessioni, le proposte e le spinte che aiutano i movimenti a connettersi tra loro superando, dialetticamente, le variegate derive al localismo, al corporativismo, alla micidiale contrapposizione tra proletari e alla perversa logica del meno peggio che, pericolosamente, si sta incuneando nel senso comune dei lavoratori e dei ceti sociali subalterni.

Questa preoccupazione è tanto più vera quando impattiamo, sul terreno politico, sociale e sindacale, con il palesarsi del corso della crisi, con i dispositivi monetari e finanziari transnazionali e con una caratteristica della governance capitalistica che verticalizza autoritariamente le funzioni di comando a Francoforte, a Berlino e a Bruxelles.

Una nuova dimensione politica – conseguenza dell’accelerazione dell’azione generale dell’Unione Europea – che sta liberando spazi politici che, a fronte dell’inanità politica di una sinistra continentale sempre più supina alla centralità del mercato, vengono occupati da forze e tendenze di destra, populiste, razziste e reazionarie.

Occorre, dunque, se vogliamo continuare a svolgere una funzione dinamica e non accontentarci di esercitare un mero esercizio propagandistico e testimoniale, che svilirebbe ulteriormente il ruolo dei comunisti nel XXI secolo, iniziare a superare la logica nazionalista ed eurocentrica facendo tesoro, seppur criticamente, delle esperienze che si stanno manifestando in altre parti del mondo.

Da comunisti, da soggettività organizzata, fondata su una concezione riqualificata dell’internazionalismo, lavoriamo al coordinamento dell’azione con i movimenti sociali degli altri paesi e soprattutto con i paesi Pigs i quali – oggettivamente – hanno elementi di comunanza e di sintonia, in tema di composizione di classe, di diritti e di ordinamenti vigenti, molto simili tra loro.

Ma, mentre faticosamente svolgiamo questa attività, diventa straordinariamente utile anche il confronto con i movimenti sociali e le forze intellettuali che in questi trenta anni hanno condotto e vinto la battaglia contro il pagamento del debito nei paesi dell’America Latina.

In diversi di questi paesi, la ripresa dello sviluppo economico interno e il significativo cambiamento politico dai dogmi e dai provvedimenti liberisti, ha coinciso proprio con la mobilitazione dei movimenti sociali e poi con la decisione di alcuni governi (alcuni molto diversi tra loro) di non pagare il debito e di sganciarsi dal sistema incardinato sul cambio fisso con il dollaro.

Tale novità politica deve essere assunta anche qui nel ventre molle dell’Unione Europa riuscendo a coniugarla ed intrecciarla con le nostre peculiarità sociali e con le attuali definizioni degli assetti del dominio capitalistico continentali.

Pensare, però, come ritengono alcuni compagni, che il terreno della tattica e della sua articolazione, degli strumenti di intervento nella società e della comprensione delle modificazioni avvenute a seguito dei poderosi processi di ristrutturazione, debba essere espunto da ogni nostra discussione significa, a nostro parere, condannarsi ad una azione inefficace ai fini delle nostre ragioni sociali immediate e storiche.

Oggi la fuoriuscita dalla gabbia dell’Unione Monetaria Europea marcia di pari passo con la fuoriuscita/superamento dal capitalismo che sta trascinando l’umanità e l’insieme delle forme di vita nell’abisso.

Tale orizzonte strategico resta l’alfa e l’omega della nostra prospettiva strategica.

Questa innegabile necessità, però, se non trova, nel suo esplicitarsi, sentieri politici ed organizzativi percorribili, se non trova spazi reali di sperimentazione sociale e di massa corre il concreto rischio di diventare un’araba fenice e non, invece, un terreno di discussione, di lotta e di organizzazione praticabile da subito.

* Rete dei Comunisti

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