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La sconfitta del TAV in Val Susa

Io sono un ex giocatore di poker semiprofessionista. So cosa vuol dire dover puntare nel piatto gli ultimi spiccioli per cercare di contrastare l’ineluttabile, quando stai perdendo e sai che perderai. E come ogni giocatore di poker un po’ bravino, so immediatamente fare un calcolo di probabilità per capire quando – inevitabilmente – perderò. E’ un istinto: chi ha provato, e non per finta ma sul serio, sa cosa vuol dire.

Davanti a quello che è successo in questi giorni in ValSusa, non ho potuto fare a meno di usare questo mio istinto, ed ho capito come e perché i signori del TAV hanno perso, e perderanno, inevitabilmente.

Nella notte del 13 novembre, scortata da milleduecento uomini armati in divisa a disposizione su tre turni, la ditta Ltf (Lione-Torino-Ferroviaria) ha piazzato tre trivelle all’autoporto di Susa per realizzare alcuni carotaggi: si tratta di alcuni dei  lavori non fatti grazie alla mobilitazione del movimento No Tav nel 2010. Le trivelle – a Susa – dovrebbero funzionare circa tre giorni, e poi andarsene.

Nel frattempo, la Valsusa è letteralmente esplosa: la polizia ha bloccato subito la statale 24 e l’autostrada A32. Una militarizzazione imponente per proteggere tre trivellazioni dove dovrebbero fare quella che chiamano la “Stazione internazionale”. Nel frattempo, la Valle è tagliata a metà: tutti i camion passano in mezzo alle case, nelle frazioni, su strade strette. Poi scattano le manifestazioni, imponenti, e i blocchi dei NOTAV: dopo le 22.30 dello stessa lunghissima prima giornata, l’autostrada viene bloccata con barricate, in entrambe le direzioni, dai manifestanti. Il giorno seguente – durante il grande sciopero generale che ha interessato l’Italia – la bandiera NOTAV sventola insieme a quelle dei lavoratori e degli studenti. Che brutto giorno, hanno scelto, per iniziare a trivellare.

Le trivelle, assolutamente trascurabli, come ognuno avrà già capito, dato che il problema è diventato molto più grande di loro e dei pochi tecnici che ci lavorano, funzionano protette da barriere mobili in calcetruzzo e da centinaia di poliziotti armati e dai blindati.  Due chilometri di blindati schierati a proteggerle: per fare poche trivellazioni, i fautori del TAV devono schierare 1000 uomini, chiudere autostrada e statali e scegliersi il posto per loro più difendibile di tutta la Valle, cioè l’autoporto.

E’ chiara – da parte loro – la volontà disperata di buttare qualche spicciolo nel piatto, in vista dell’incontro al vertice fra Monti e Hollande sulla questione del TAV che si terrà ai primi di dicembre. Dopo che la Corte dei Conti francese ha nettamente stigmatizzato l’opera, l’architetto Virano ed i boiardi intorno a lui cercano di aver qualcosa da mostrare ai francesi, invece del bluff di un progetto in alto mare, che si trascina penosamente fra revisioni, cambiamenti e ridimensionamenti da due decenni.

Ma non è per questo che ho avuto, netta, la sensazione di chi perderà e chi vincerà in questa partita. Da ingegnere, ho stimato che il costo di questa operazione di “carotaggio” (secondo me, tra l’altro, tecnicamente inutile) è valutabile – tenendo conto dell’enorme spiegamento di polizia e di mezzi, dei danni inferti e subiti, delle strade e autostrade chiuse, insomma “tutto compreso” – in circa otto-dieci volte il costo di una operazione fatta in normali condizioni.

Pensiamo pure che si tratti di “condizioni eccezionali” (anche se sono condizioni che si ripetono da oltre due decenni e non mi pare che il movimento NOTAV abbia alcuna intenzione di mollare, così come mi pare che la paura da parte degli “altri” stia crescendo man mano che aumentano gli schieramenti di forze di sicurezza), ma cosa succederebbe se DAVVERO costoro dovessero aprire un cantiere reale, esteso per chilometri, con vere opere, non a Chiomonte in un’area ristretta oppure protetti dall’autoporto di Susa, ma nella vera bassa-media Valle?

Io non oso immaginare il livello di militarizzazione che sarebbe necessario, le difficoltà, gli incidenti dovuti – si badi – soltanto al dover lavorare circondati letteralmente da un fortino con militari con i fucili spianati. Mnetre un intero popolo pacificamente lo tiene sotto assedio. Militari, esatto, perché la polizia non basterebbe più: dovrebbero mandare l’esercito. E in forze.

Per quanto tempo, signori del TAV, riuscirete a giocare questa partita, in queste condizioni? Ci avrete pensato.

La mia idea è che le vostre stime dei costi vadano quintuplicate, e i tempi di esecuzione raddoppiati, perlomeno, anche se si ragiona del tutto in teoria, perché non ce la farete mai. Mai: perché la vostra quindicina di miliardi di euro diverrebbe facilmente una cinquantina, una settantina, o magari un centinaio. La ValSusa non è una anonima valle nella quale scavare un tunnel: la ValSusa non vi vuole, e in vent’anni ha fatto nascere e sviluppato un qualcosa che mai si era visto, come forza, determinazione, volontà di non mollare, popolarità (nel senso di movimento di popolo).

E allora, inevitabilmente, a meno di non trasformare una parte rilavante di una provincia italiana in un fortino militare, dovrete mollare.

Questo, al di là di tutte le ragioni di tipo ambientale, di traffico merci e passeggeri, di risorse, di tutte le mille incongruenze di un progetto talmente assurdo che noi – tecnici della Comunità Montana della ValSusa e Val Sangone – non sappiamo più come ripeterlo in una lingua che voi possiate capire. L’italiano, le decine di rapporti tecnici e di valuazioni, evidentemente non servono.

Abbiamo allora fatto uscire un altro articolo su una rivista scientifica internazionale, in inglese, ovviamente:

L.Giunti, L.Mercalli, A.Poggio, M. Ponti, A. Tartaglia, S.Ulgiati, M. Zucchetti, “ECONOMIC, ENVIRONMENTAL AND ENERGY ASSESSMENT   OF THE TURIN-LYON HIGH-SPEED RAIL”, International Journal of Ecosystems and Ecology Sciences (IJEES) Vol. 2 (4): 361-368 (2012) . ISSN:2224-4980.

L’articolo l’ho caricato qui, se percaso volete leggervelo, non si sa mai: https://docs.google.com/open?id=0B4zoX5HeBQpgSlhqUDVoazYzaTA

La rivista è indicizzata sui maggiori siti di riviste scientifiche, quali ad esempio Copernicus: http://journals.indexcopernicus.com/passport.php?id=6721
La sostanza dell’articolo riprende in breve i risultati più importanti dei tanti rapporti e studi pubblicati come Commissione Tecnica della Comunità Montana. Manzonianamente: quest’opera non s’ha da fare, per ragioni economiche, d’impatto ambientale, di traffico, energetiche,e molto altro ancora. E’ superata, un relitto tecnologico, altro che ”progresso”. L’articolo cerca d spiegarlo ad un pubblico internazionale.

Ma non è questo, ora, quelo che conta e che dovrebbe essere evidente a chiunque stia giocando al gioco “Costruiamo il TAV in ValSusa”: non potrete reggere a lungo con le poche scartine che avete in mano, e senza fiches, e senza credito, mentre la posta vi raddoppia sotto gli occhi ogni poco.

Avete perso. Perderete. Converrebbe, come facevo io nelle serate storte, buttare le carte, alzarsi, salutare tutti con un inchino, e sparire.

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