Menu

Gli anelli deboli della catena

Considerazioni per non condannare i comunisti ad un ruolo residuale dentro la crisi capitalistica in Italia e in Europa.

Le convulsioni che si stanno manifestando attorno alla fine del governo Monti sono prodotte dalla crisi terminale del blocco sociale berlusconiano che ha segnato gli anni che hanno seguito la scesa in campo dal 1994 del cavaliere. Quella anomala coalizione fatta da ceti politici sconfitti da tangentopoli, settori popolari orfani della DC e del PSI, piccola impresa e benevola accondiscendenza di una parte della imprenditoria confindustriale, è arrivata al capolinea ed è in attesa solo della ratifica elettorale e del tracollo del grande capo.

Definire la natura di “forza debole” di quello che fu catalogato impropriamente come nuovo fascismo, è importante in quanto ci permette di capire quanto siano stati superati dalla realtà i parametri usati a sinistra negli ultimi venti anni.

1) Il fattore che ha portato a questo risultato è stato il processo di costruzione della Unione Europea che, tramite il proprio rappresentante Mario Monti e usando la crisi finanziaria, declinata nel nostro continente come crisi del debito sovrano, sta ristrutturando in modo unitario la dimensione economica, sociale, istituzionale dei paesi europei; inclusa la ridefinizione di una classe dirigente non specificamente “nazionale” ma costituitasi nella nuova dimensione continentale di cui, appunto, sia Monti che Draghi fanno parte a pieno titolo.

Questa dinamica traspare chiaramente dentro la prossima scadenza elettorale e definisce i ruoli delle forze politiche in campo. L’asse vincente è sicuramente quello che ha tenuto uniti fino alla fine Napolitano – espressione migliorista del peggiore PCI – e Monti. Attorno a questo asse si vanno definendo i diversi ruoli politici. Il più evidente è quello svolto dal PD che con le primarie e con l’alleanza di Vendola ha mostrato essere ancora una forza politica e sociale di rilievo. Questa ipotesi è stata spesso data per spacciata, anche a sinistra, sottovalutando il fatto che il PD è rimasto di fatto l’unico partito a dimensione nazionale e con l’intenzione di rappresentare in modo unitario i cosiddetti “interessi generali”.

Al successo politico colto da Bersani non corrisponde però una base sociale solida, infatti quella base sociale di classe che in qualche modo ha sempre sostenuto la sinistra nel nostro paese è stata indebolita, frammentata e privata di una propria identità grazie all’azione svolta dagli eredi del Partito Comunista. Si rende perciò necessaria una alleanza con il centro, che si intende coagulare attorno a Monti, per superare le difficoltà destabilizzanti poste dalla legge elettorale detta “porcellum” partorita da Calderoli della Lega Nord. Certo il cosiddetto centro, nel nostro anomalo paese, durante la seconda repubblica non ha sortito mai grandi risultati elettorali strattonato da un bipolarismo stretto tra quelli che in entrambi gli schieramenti venivano indicati come “comunisti” e “fascisti” Ma ora, con la crisi di Berlusconi, i transfughi di quel partito a cominciare da Fini ed i vari Montezemolo confindustriali, possono sperare di modificare i risultati elettorali con la benedizione di Monti e delle èlite europee.

2) La partita che sta giocando Berlusconi è quasi ai limiti dell’impossibile, ma è costretto ad accettare la sfida visto che la posta in gioco non è politica ma “privata” ed è legata alle proprie imprese, al proprio impero finanziario e della propria libertà personale, vista la guerra intrapresa con le procure di tutta Italia. Quello che traspare chiaramente dietro la carica messa nella propria nuova candidatura non è il tentativo di tornare al ’94, cosa chiara e impossibile anche a Berlusconi, ma quella di tentare il pareggio, ovvero di determinare una nuova situazione di stallo istituzionale dove possa di nuovo avere un potere contrattuale per poter salvare “capra e cavoli”.

3) Se Grillo, fino ad ora, rappresenta per una grande fetta del paese quella rivolta etico-morale con il suo fare da Savonarola, va detto che già sta incontrando le sue difficoltà nel passare dalla protesta del “Vaffa” ad una ipotesi di opposizione istituzionale organizzata. La precarietà data dall’ampiamente sovrastimato strumento della rete e la indeterminatezza dei suoi attivisti e candidati – i quali come tutta la società civile è molto sensibile alle sirene del potere e dei conseguenti benefici materiali – lo sta esponendo all’accusa di essere un “marxista-leninista” vista la pretesa di un supposto centralismo democratico dove tutti devono rappresentare la linea scelta dal “partito”. E’ un processo che va seguito e compreso a fondo, ma la strada scelta appare indubbiamente un vicolo cieco.

4) In questo contesto è molto più complicato fare valutazioni su quell’insieme di forze di sinistra e giustizialiste che si stanno mescolando (cambiare si può, arancioni etc.) ma che fino ad oggi non sono riuscite a trovare la giusta alchimia per raggiungere un equilibrio stabile, almeno fino alla prossima scadenza elettorale. A essi facciamo i nostri migliori auguri, riteniamo però importante cominciare a capire già da adesso come muoverci nelle condizioni che emergeranno dalle prossime elezioni. Anche facendo l’analisi di tutti gli scenari possibili, quello che emerge è che dalla nuova condizione politico istituzionale due esigenze, due spazi, due prospettive non troveranno risposta.

a) La prima è quella della rappresentanza dei settori sociali travolti dalla crisi che nei prossimi anni – come conferma la Bce – non mollerà la propria presa. Forse le banche riusciranno a non fallire con i soldi prestati dagli Stati o le imprese ritroveranno momenti di crescita economica con l’abbattimento verticale del costo del lavoro consentito dalle misure approvate dal governo, ma quello che è certo è che tutto questo verrà pagato pesantemente dalle classi subalterne. Allo stato attuale non esiste una forza che si candidi a rappresentare in modo totalmente indipendente questa condizione sociale tendenzialmente maggioritaria nella nostra come nelle società della sponda euromediterranea dell’Europa, quella che viene definita come l’area dei Pigs.

b) L’altra è quella dell’abbandono ormai evidente di ogni progetto di riorganizzazione dei comunisti che parta dalla necessità di definire rapporto e ruolo in funzione dei settori dei classe reali che vivono nel nostro paese, una volta si darebbe detto il ruolo delle avanguardie di classe e dei comunisti nella “rivoluzione in occidente”.

Queste sono le questioni che ormai si intravvedono nell’orizzonte dei prossimi mesi e su queste la Rete dei Comunisti intende lavorare e rapportarsi in modo unitario con chi si riconosce in tale necessità. Una prima questione sulla quale intendiamo avviare il confronto leale e a tutto campo è la proposta di programma minimo per il cambiamento che abbiamo avanzato in queste settimane – l’Alba euromediterranea come fuoriuscita dal vicolo cieco del capitalismo; la seconda è l’approfondimento del confronto sulla funzione e le modalità di organizzazione dei comunisti dentro una crisi sistemica che sta colpendo in modo particolare l’Unione Europea nei suoi “anelli deboli”.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *