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Liberiamoci dalla gabbia dell’Unione Europea

Liberiamoci dalla gabbia dell’Unione Europea, apriamo una prospettiva di lotta e liberazione a partire dal Sud.

di Michele Franco – Rete dei Comunisti

Fin dal suo configurarsi l’Unione Europea si è caratterizzata per un forte contenuto antisociale in ogni aspetto della sua variegata azione. Dai suoi padri costituenti in poi – al di là dell’abusata retorica che pure ha albergato nella sinistra circa un suo presunto profilo sociale e progressivo – la linea di condotta prevalente, in questo autentico processo di centralizzazione e concentrazione capitalistico a scala multinazionale, è stata quella dei poteri forti del capitale e dell’enuclearsi di una moderna borghesia con caratteristiche ed ambizioni continentali e sovranazionali.

Di converso, però, le politiche derivanti dalla costruzione dell’Europolo non sono state lineari ed automatiche in tutta l’area dell’Eurozona ma si sono palesate in forma differenziata, da zona a zona, disegnando una cartografia economica e sociale tutt’altro che omogenea. Questo dato, sostanziato da numerose ricerche anche di parte padronale o degli stessi centri studi dell’Unione Europea, ha – di fatto – squadernato una realtà in via di ulteriore polarizzazione sociale e di crescente divaricazione tra stati membri, classi sociali ed aree geografiche/territoriali.

Recentemente uno studio realizzato per conto della Commissione Ue ha evidenziato il divario economico, in via di accentuazione, tra gli stati membri, provocato dalle misure di vera e propria macelleria sociale richieste dalla Troika almeno dal 2008 in poi. In una analisi della Commissione sugli sviluppi sociali e del lavoro del 2012 viene fatto notare che un eventuale miglioramento della progettazione dei sistemi di welfare degli Stati membri “può aumentare la capacità di resistenza agli shock economici e facilitare l’uscita più veloce dalla crisi”. Il rapporto di ben 496 pagina di analisi ha appurato, tra l’altro, che gli stati membri, con la spesa maggiore a favore del welfare non sono quelli, come potrebbe apparire, con il più alto debito pubblico ma quelli che costituiscono, da sempre, il nocciolo duro dell’Unione.

Lo studio ha riportato che quasi la metà dei Paesi Ue hanno registrato un aumento netto dell’indigenza dal 2008, con una perdita del potere d’acquisto degli stipendi che le famiglie hanno visto progressivamente diminuire di ben due terzi. Per questo una famiglia su cinque in Bulgaria, Cipro, Grecia, Ungheria, Lettonia e Romania ha difficoltà a sbarcare il lunario. Inoltre in Portogallo, Spagna, Italia e nei paesi dei Balcani c’è stata un esplosione di licenziamenti ed un aumento esponenziale della precarietà anche a seguito del recepimento, da parte degli esecutivi governativi, delle direttive dell’Unione.

Una tendenza diversa viene invece registrata nei Paesi nordici, in Germania, Polonia e Francia dove i redditi ed il complesso delle condizioni di vita sono migliorati o rimasti, sostanzialmente, stabili anche a fronte dell’incidere dei fattori di crisi generale.

Non è un mistero che questi paesi sono dotati di sistemi di welfare più avanzati rispetto agli altri e di un mercato di lavoro con regole più attente alla rigidità della forza/lavoro ed in grado di assorbire rapidamente la manodopera o immigrata o quella che fuoriesce dai cicli continui di ristrutturazione e di innovazione dell’apparato economico.

Del resto basta osservare gli indicatori statistici dei paesi del Mediterraneo e quelli dell’Est ed è possibile delineare un filo nero che fa da cornice all’azione dell’Unione Europea la quale sta disarticolando e destrutturando (Grecia in primis..) le economie e gli assetti sociali di questi stati. In questo contesto vanno analizzati tutti gli atti e le normative, provenienti da Bruxelles, i quali hanno imposto tetti di spesa, patti di stabilità e tagli draconiani (a partire dai Fondi Europei) fino all’acquisizione di loghi commerciali di prestigio comprati e/o acquisiti con pochi soldi dentro gli interstizi della crisi.

Non è questa la sede per una disamina particolareggiata della manomissione economica che i tecnocrati di Bruxelles e di Francoforte stanno compiendo, paese per paese, ma un aspetto risulta evidente: è in atto un processo di concentrazione e di rafforzamento del nucleo duro dell’Unione a scapito dei paesi più deboli attraverso il drenaggio di risorse, l’acquisizione di reti aziendali ed industriali e il rafforzamento dell’intero sistema bancario e finanziario dei paesi più forti strutturalmente.

Una dinamica – per alcuni tratti impersonale e, quindi, slegata dai temporali involucri istituzionali derivanti dalle varie ipotesi di governance che si susseguono – la quale è il prodotto naturale del riverbero in Europa dell’inasprirsi della competizione globale interimperialistica tra i diversi blocchi economici e monetari. Una stringente tendenza che costringe anche l’Unione Europea, nel suo complesso, ad una sua ricollocazione conflittuale dentro i nuovi assetti multipolari del capitalismo internazionale.

Una proposta di rottura e di mobilitazione

Da alcuni mesi le compagne e i compagni della Rete dei Comunisti stanno avanzando (http://www.retedeicomunisti.org/images/stories/Documento_Conferenza_RdC.pdf) una proposta politica di fase che intende rimettere al centro dell’iniziativa di tutte le soggettività e le forze del conflitto una strategia di trasformazione sociale radicale.

Una proposta – una vera e propria idea/forza – che muove da un dato oggettivo: il permanere dei fattori di crisi e il palesarsi di una deficit di egemonia della borghesia che disegna una situazione nuova, inedita in molti tratti e con discrete possibilità di affermazione per le istanze di lotta e di conflitto radicali che maturano, seppur contraddittoriamente, nella società.

Una trasformazione che non può definirsi attraverso ipotesi riformistiche del sistema capitalistico e liberale ma che può emergere solo da una proposta culturale e politica di autentica rottura del quadro comunitario ed economico vigente.

Infatti un approccio riformistico o compatibilizzato riprodurrebbe, obbligatoriamente, tutti i guasti che hanno negativamente segnato il corso politico della sinistra in questi anni non solo in Italia ma in tutto il continente.

Credere, come hanno fatto in tanti, di poter salvaguardare gli interessi dei ceti popolari senza mettere in discussione i caratteri fondanti e l’azione concreta antipopolare dell’Unione Europea si è rivelata una tragedia e, nel contempo, una nefasta utopia che ha depotenziato e svilito importanti cicli di mobilitazione e di lotta che pure si sono espressi nel periodo che sta alle nostre spalle. Dovrebbe far riflettere e costituire un campanello d’allarme l’esplosione razzista e differenzialista in corso in diversi paesi dell’Europa dove i fattori di crisi si sono incruditi e dove la sinistra ha mostrato tutti i suoi limiti teorici e politici nel connettersi con la nuova situazione determinatasi.

In tal senso la nostra proposta non vuole essere un mero espediente politicista o tatticista ma intende intrecciarsi ed essere parte integrante delle espressioni del conflitto e delle lotte che, particolarmente, nei paesi Pigs ed in quelli della fascia mediterranea dell’Africa, si esprimono contro l’insieme delle misure e dei provvedimenti della Troika, del Fondo Monetario Internazionale e delle filiere del capitalismo internazionale.

Siamo consapevoli che ogni paese, anche dell’area euro mediterranea, ha specificità proprie e tradizioni storiche e sociali diverse, sappiamo bene che gli auspicabili processi di unità e di ricomposizione non saranno lineari o automatici e che le stesse dinamiche del conflitto potranno manifestarsi in forme spurie e contraddittorie rispetto anche alla recente storia del movimento operaio. Del resto l’avvenuta mondializzazione capitalistica e i relativi processi di ristrutturazione hanno scompaginato la composizione di classe disegnando scenari complessi e profondamente diversi anche dal recente passato.

In questa contesto la parola d’ordine della Rottura dell’Unione Europea e l’avvio della costruzione dell’ALBA/Euromediterranea possono costituire utili sollecitazioni programmatiche al coagularsi di un ampio schieramento di lotta che punti, esplicitamente, alla messa in discussione della gabbia dell’UE e di tutti i dispositivi normativi ed economici che stanno frantumando ed impoverendo le nostre società.

Di questo discuterà, il prossimo 21 aprile a Roma, la Conferenza Nazionale della Rete dei Comunisti con l’intento non solo di approfondire la discussione tra i militanti dell’organizzazione ma anche con quello di costruire il più ampio retroterra teorico e culturale ad una battaglia che può positivamente segnare il prossimo periodo.

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1 Commento


  • Renato Sellitto

    Sono più che convinto dell’inevitabilita dei processi di globalizzazione, molto oltre le questioni economiche tra qualche secolo la stessa nozione degli stati nazione sara superata cpomunque si configurerà in maniera inedita, le stesse nazionalità difficilmente soprravviveranno .Lavorare sin d’ora per riaggregare popoli e nazioni su una impostazione che salvaguari le conquiste di civiltà rispetto alla barbarie cui l’attuale assetto imperiale europeo può farci precipitare. Più che mai compito dei comunisti in questo secolo, volgendo ancora più che nel passato l’occhio sul mondo è quello di lavorare alla costruzione di processi di classe che si manifestano in maniera inedita, in particolare nell’occidente capitalista considerando la scomposizione che l’attuale stadio dei processi produttivi ha prodotto.Penso anche che occorre una particolare attenzione a cimentarsi con una politica di alleanze che aiuti questi processi evitando i tradizionali e rituali settarismi che ci portano fuori dalla storia In questo quadro condivido ampiamente l’articolo con l’augurio che la conferenza prevista il 21 aprile segni un punto di svolta alto sul quale costruire uyna solida linea di confronto e di azione.

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