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“La TAV italiana: un DNA sbagliato”

L’alta velocità non è figlia nostra ma di decisioni nazionali, però è un’opera strategica, se ci sono le condizioni per terminarla e le regole sono rispettate lo si faccia presto, altrimenti si spieghi perché siamo ancora fermi”, aveva dichiarato due giorni fa il sindaco di Firenze Dario Nardella.

Idra prova a spiegare. 

La TAV, caro sindaco, è ferma perché la sua storia italiana, forse il suo stesso DNA, è intrisa di qualità e lussi che il nostro Paese non può più permettersi: progetti scadenti o incompleti, forniture taroccate, smaltimenti illeciti, lievitazioni di costi pubblici fuori controllo.

Sono dati riportati nelle sentenze e nelle inchieste, dalle relazioni di Ferdinando Imposimatosulla Roma-Napoli (anni ’90) alle ultime investigazioni della Direzione Distrettuale Antimafia in riva d’Arno.

E non è forse un caso che la Commissione europea, nella “Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione” pubblicata a febbraio 2014, nel capitolo dedicato all’Italia scriva fra le altre cose, citando come fonte il saggio di Ivan Cicconi “Il libro nero dell’Alta Velocità”: “In Italia il settore delle infrastrutture è a quanto pare quello in cui la corruzione degli appalti pubblici risulta più diffusa; dato che le risorse in gioco sono cospicue, il rischio di corruzione e infiltrazioni criminali è particolarmente elevato. Anche il rischio di collusione è peraltro elevato dal momento che solo pochi prestatori sono in grado di fornire le opere, le forniture e i servizi interessati. Secondo studi empirici, in Italia la corruzione risulta particolarmente lucrativa nella fase successiva all’aggiudicazione, soprattutto in sede di controlli della qualità o di completamento dei contratti di opere/forniture/servizi (…).Nel solo caso delle grandi opere pubbliche la corruzione (comprese le perdite indirette) è stimata a ben il 40% del valore totale dell’appalto (…).Secondo gli studi, l’alta velocità in Italia è costata 47,3 milioni di euro al chilometro nel tratto Roma-Napoli, 74 milioni di euro tra Torino e Novara, 79,5 milioni di euro tra Novara e Milano e 96,4 milioni di euro tra Bologna e Firenze, contro gli appena 10,2 milioni di euro al chilometro della Parigi-Lione, i 9,8 milioni di euro della Madrid-Siviglia e i 9,3 milioni di euro della Tokyo-Osaka. In totale il costo medio dell’alta velocità in Italia è stimato a 61 milioni di euro al chilometro!”.

Se è vero dunque che “l’alta velocità non è figlia nostra ma di decisioni nazionali” (Dario Nardella, la Repubblica, 7.8.’14), che “della Tav non mi interessa nulla” (Enrico Rossi, la Repubblica, 7.8.’14), forse anche perché si è visto in Mugello “il bene comune ambiente stritolato nuovamente nelle mani di interessi di pochi” (Enrico Rossi, La Nazione, 16.7.’14); se è vero che il presidente della Regione Toscana, dopo le recentissime rivelazioni de la Repubblica, afferma ‘Leggo di ulteriori ritardi ai lavori per il sottoattraversamento di Firenze dell’alta velocità ferroviaria”, e la fonte di quelle notizie è una piccola associazione ecologista,Idra… ebbene allora vuol dire che i tempi sono maturi per riconsiderare dalle radici (contrattuali, erariali, trasportistiche, ambientali, sociali e – come ipotizza la DDA di Firenze –criminali) il progetto di sottoattraversamento della città.

L’arresto di un componente della Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale del Ministero dell’Ambiente e la conseguente sospensione dell’intero piano di utilizzo delle terre da scavo per i tunnel e la stazione TAV a Firenze paiono dimostrare, se leggiamo con attenzione le nuove prescrizioni fissate dal Ministero, che non ci troviamo al cospetto di una mela marcia in un sistema sano: i nuovi requisiti imposti dal Ministero allo smaltimento delle terre rivelano in filigrana l’inefficacia e l’irresponsabilità dell’intero impianto normativo in vigore. E’ esattamente quello che l’associazione Idra ha iniziato a sottoporre due anni fa all’attenzione del Parlamento e della Commissione europea col sostegno della presidente della Commissione Antimafia comunitaria, Sonia Alfano.

E’ l’ora di staccare questa spina. A Firenze come in Val di Susa, ad Arquata Scrivia come a Trento, a Venezia, a Trieste, a Napoli e a Bari! A Firenze è giunto il momento di cominciare a discutere piuttosto, in maniera questa positiva e costruttiva, ad esempio di come rammendare quella nuova oscena periferia creata dove c’era il parco degli ex Macelli (e adesso da anni campeggia una distesa anonima di cemento e macchinari oggi inoperosi, destinati ad arrugginirsi come la povera Monna Lisa), e farla tornare a vivere come un angolo gentile e respirabile della città.

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