Il meccanismo della repressione è semplice: il governo fa le leggi, la polizia arresta i trasgressori, la magistratura li giudica e li condanna.
Questo però implica un limite che la repressione italiana non è più disposta a tollerare: il fatto che chi non accetta l’attuale stato di cose e si batte per cambiarlo, finchè non commette precisi reati, non può essere “tolto di mezzo”.
Ma a leggere l’ordinanza di custodia cautelare per Nunzio D’Erme (rinchiuso ora nel carcere di Regina Coeli) si legge che a Nunzio viene contestato un reato «in ragione della sua figura carismatica e per il suo ruolo di leadership». Quindi dopo aver “rispolverato” le leggi speciali antiterrorismo per i No Tav e il “Codice Rocco” che da dopo Genova 2001 è stato usato per tutte le manifestazioni di piazza condannando a decine anni di carcere compagne/i con l’accusa di “devastazione e saccheggio” ora si arriva agli “arresti preventivi”.
Del resto il Codice Rocco (che è giusto ricordare è stato varato durante il fascismo) fornisce tuttora alle questure un comodo strumento chiamato sorveglianza speciale. Si tratta di una serie di forti restrizioni alla libertà personale atte a punire una persona e a rendere le sue azioni molto più controllabili. Il fine è il mantenimento dell’ordine pubblico e della pubblica moralità, due concetti estremamente soggettivi e aleatori: qualora il questore ritenga che qualcuno costituisca un problema politico o sociale, è autorizzato ad appioppargli la sorveglianza speciale.
Quello che sta succedendo deve non solo obbligare i movimenti a limitarsi alla conoscenza degli strumenti e delle tecniche repressive messe in campo dagli apparati statali ma deve andare oltre, cercando le strade per contrastare i processi repressivi, il loro continuo aggiornamento e affinamento.
La sfera del giuridico non esprime solo tecnica ma uno degli aspetti più profondi del politico: la continua ridefinizione dei confini del lecito e dell’illecito, della legittimità e dell’illegittimità, quella sorta di pendolo che è la legalità. La sfera del giuridico è un terreno di conflitto dove però ad essere attrezzata è solo una delle parti. L’altra, i movimenti, chi lotta, il più delle volte recita il ruolo passivo di chi prende colpi senza sapere bene cosa fare, oppure attestandosi su una linea di condotta che non va oltre la resistenza, la capacità di incassare.
Tenere botta è importante ma l’avversario si mette in difficoltà schivando i suoi colpi e si stende sferrando i propri. Dinamismo, movimento, velocità, riflessi, contro staticità. Non ci si può esimere dal costruire un intervento politico sulla giuridicità. La scorsa estate, come Osservatorio sulla Repressione, contribuimmo ad aprire una discussione attorno ad una proposta definita “amnistia sociale”, in un tentativo di definire un orizzonte prima ancora che una soluzione concreta: elaborare una strategia che individuasse il nodo centrale dello scontro che veniva costituendosi, ovvero l’attacco alla legittimità stessa di un dissenso fattivo, alla possibilità che dei movimenti potessero esistere e mettersi di traverso, inceppando un sistema sempre più oligarchico. Diventare il volano di un fronte da allargare per scardinare le ultradecennali stratificazioni dell’emergenza. Nel frattempo quel dibattito si è arenato mentre le dinamiche repressive oltre ad essersi inasprite hanno allargato il loro fronte in Val Susa come a Roma e i movimenti si sono trovati in grosse difficoltà, senza strumenti, senza aver mai intaccato di un millimetro le strategie repressive che mirano ad isolarli e sconfiggerli.
Forse è il caso di ripensarci e lanciare una campagna per la libertà di movimento, il diritto di resistenza e l’abrogazione del Codice Rocco e le leggi speciali.
* Osservatorio sulla Repressione
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