In questi giorni, attorno al caso “balneare” di Punta Canna, si è discusso molto a proposito e sproposito di fascismo.
Nel frangente è emerso chiaramente un dato: nell’epoca della comunicazione a 140 caratteri si sono smarrite la gran parte delle coordinate interpretative che erano state tracciate al riguardo dell’analisi di questo fenomeno che ha avuto una fondamentale importanza nella storia d’Italia e d’Europa.
Come accade ormai su quasi tutti i temi di carattere storico – politico si viaggia a spanne e appare sempre più difficile leggere o ascoltare interpretazioni in grado di definire correttamente i fatti, per come accaddero e la loro influenza sul complesso della realtà politico–sociale non soltanto dell’epoca.
E’ il caso allora di riprendere in mano testi soltanto apparentemente datati ma in realtà ancora provvisti al loro interno di un’espressione di capacità d’analisi che ci porta anche verificare l’attualità, soprattutto dal punto di vista del ritardo di lettura proprio sul piano culturale dell’identità del nostro Paese.
Mi riferisco, in questo caso, all’intreccio tra Gramsci e Gobetti proprio sul terreno dell’analisi del fenomeno fascista.
Riprendo allora un articolo scritto da Paolo Spriano per l’Unità (19 giugno 1971) dove si riferisce proprio dell’interpretazione gobettiana della storia d’Italia.
Gobetti comprese appieno le ragioni di un’antitesi di fondo, tra un’Italia moderna, lavoratrice, capace di un salto rivoluzionario, e l’Italia dei cortigiani, dei servi, dei privilegiati, dei trasformisti, della classe agraria e della plutocrazia.
A quel punto il giovane intellettuale torinese collega il fenomeno fascista (in quel momento emergente) al Risorgimento e al post–Risorgimento, nella convinzione che non vi fossero differenze sostanziali tra la dittatura giolittiana e quella imposta da Mussolini alla fine del 1924.
E’ a questo punto che Gobetti tira le somme con la sua più importante (e celebre) affermazione riguardante il fascismo come “autobiografia della nazione” quale esito di uno sviluppo economico e politico diverso da quello degli altri paesi europei come prodotto di una morale collettiva corrotta, del carattere di un Paese di “cortigiani”.
Gramsci, evolvendo la sua analisi soprattutto nel periodo del carcere, individua il fascismo come “fenomeno politico di massa” riconoscendone la presenza come ideologia.
Fa notare Asor Rosa nel suo capitolo: “Il fascismo. Il regime 1926–1943” nella Storia d’Italia dall’unità a oggi, volume X della Storia d’Italia edita da Einaudi nel 1975 come, pur sottolineando la diversità, esistesse un fondo comune antigiolittiano e antiriformista tra Gramsci, Gobetti, Togliatti, Terracini, Tasca che portava al “principio dell’inversione e rovesciamento di quella logica che aveva dominato la storia della cultura italiana dal 1900 al primo dopoguerra“ dalla quale il fascismo era sorto.
Da quell’analisi sortirono, alla fine, due punti sui quali dovrebbe ancora adesso essere appuntata l’attenzione nel momento in cui ci si trova di fronte a fenomeni come quelli di cui si è discusso in questi giorni:
1) La comune tensione tra Gramsci e Gobetti nell’individuare la necessità di una “rivoluzione intellettuale e morale”;
2) La definizione togliattiana di “regime reazionario di massa” (Lezioni sul fascismo: a cura di Ernesto Ragionieri, Editori Riuniti 1970, volume nel quale sono stati raccolti i testi delle lezioni tenute a Mosca nel 1935 alla scuola di partito per gli esuli italiani).
Orbene, in conclusione, se si riprendono queste due affermazioni “regime reazionario di massa” e necessità di una “rivoluzione intellettuale e morale” completiamo un quadro di analisi che ci consente ancora oggi di supportare il rifiuto totale di quel regime senza neppure scendere negli orrendi dettagli della sua opera non certo delimitabile a un presunto errore nel coinvolgere l’Italia nella tragedia del secondo conflitto mondiale.
Di quanto poi ci sarebbe bisogno oggi di una “rivoluzione intellettuale e morale” appare quasi pleonastico discutere.
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Vincitore Locarno
Avete notato come sui social network sia già iniziata a girare la storia che se si dovesse etichettare il fascismo come “liberticida” allora anche il comunismo debba essere giudicato tale e come tale bandito dalla nostra società ?
In realtà la questione ora viene sollevata in special modo per eliminare qualsiasi residuo ideale comunista.
De Marco
« Articolo XII. E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. »
Questo articolo si trova nelle « Disposizioni transitorie e finali » della nostra Costituzione. Rappresentano, se si vuole, le pre-suppossizioni degli articoli cardini della Costituzione stessa, cioè democrazia ugualitaria, diritto al lavoro e alla solidarietà sociale, e diritti sociali e individuali fondamentali. Perciò, il fascismo non è solo liberticide è anche totalitario perché nega questi diritti fondamentali affermando principi supremazzisti, esclusivisti e anti-scientifici.
In virtù di questo articolo Casa Pound rappresenta una gravissima e intollerabile violazione in atto e in principio della Costituzione. Come pure le narrazioni esclusiviste, in genere sopratutto quelle filosemite nietzschiane che hanno caratterizzato il fascismo italiano moderno. (vedi l’ebrea italiana Margherita Sarfatti, finanziere e amante di Mussolini)
Il fascismo è una regressione esclusivista. Nega l’uguaglianza umana e la sovranità del popolo composto da cittadini, non da semplici soggetti. La critica definitiva dell’esclusivismo senza la quale non può esistere né democrazia né scienza fu stabilità in modo definitiva da Karl Marx, nella sua « Questione ebrea » parte del libro la « Sagra famiglia ». In effetti le critiche di tanti pitre contro il « giovane Marx » miravano sopratutto ad occultare questo suo contributo fondamentale che va aggiunto al suo contributo sotto forma di legge del valore marxista.
La regressione fascista filosemite nietzschiana concerna anche l’ideologia iniziale del liberalismo capitalista, ad esempio quella contenuta nel « On Liberty » di John Stuart Mill. Questa regressione ha una causa precisa : Il capitalismo occidentale essendo nuovamente confrontato alla sua contraddizione principale, cioè sovra-produzione e sotto-consumo, cerca di risolvere questa contraddizione mettendo in atto una regressione etico-politica e socio-economica verso una società esclusivista fondata sul sfruttamento brutale dell’Uomo sull’Uomo. Questo ritorno totalitario serve a sancire il ritorno ideologico, se non al diritto divino contro i « diritti delle genti » – Vico – almeno alla Deferenze to Authority – Samuel Huntington et al. – con il suo nuovo Indice – più la « buona scuola » (!) – e il suo nuovo controllo dei flussi di comunicazioni, preventive wars, irrazionale razzismo anti-musulmano con la palestinizzazione dei popoli occidentali, Patriot Act and all. L’alternativa sarebbe la spartizione del lavoro socialmente disponibile tra tutte/i le cittadine/i idonei al lavoro, dunque la spartizione più spinta della « sovrappiù sociale » nel rispetto della riproduzione dinamica del sistema socio-economico.
Oggi in Italia, come d’altronde in tutti i paesi occidentali, esiste una grottesca sovra-rappresentanza politica, economica, finanziere, culturale ecc. con la sua falsa rappresentanza – narrazioni contro scienza – dei filosemiti nietzschiani. Questo succede in violazione frontale della Costituzione, della democrazia e della Legge dei Grandi Numeri. Non si esce della crisi attuale e dai suoi ritorni totalitari senza risolvere questo problema chiave con il ritorno alla nostra Costituzione repubblicana di origine, quella nata, non per niente, dalla Resistenza.
Paolo De Marco
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