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Il Provincicidio e la Legge di Stabilità

Il rischio di perdita di posti di lavoro è diventato certezza. Dal primo gennaio 2015 la Provincia di Genova, con alle spalle una notevole rilevanza storica,  è stata cancellata.

Al suo posto c’è la Città Metropolitana, come previsto dalla legge 56/2014, responsabile del “provincicidio”. Si è dunque portato a compimento una fase fondamentale della ridefinizione dell’assetto periferico dello Stato, rendendolo più rispondente alle necessità di privatizzazioni ed esternalizzazioni.

A livello politico e mediatico il meccanismo perverso funziona così: la riduzione dei trasferimenti agli enti locali abbassa quantità e qualità dei servizi erogati, che si coprono progressivamente di discredito agli occhi dei consumatori, tanto che ad un certo punto l’opinione pubblica si convince della inevitabilità della loro privatizzazione: così passa il messaggio voluto soprattutto da quei gruppi capitalisti che sono alla ricerca di nuove fonti di profitto.

Il “provincicidio”, di cui la Città Metropolitana è figlia legittima, si sviluppa nell’ambito di un programma reazionario più ampio e più generale. Non si tratta solo un mix micidiale di incapacità politica, tam tam mediatici denigratori, e cieca fiducia in false “riforme”, più o meno anticasta.

Rinfreschiamoci la memoria sulle vere origini del provincicidio, con lo scopo di riscoprire il blocco sociale che ha decretato la fine delle province e i rapporti di forza che si sono venuti a determinare negli anni rendendo possibile questo risultato. 

Tralasciamo quindi  gli innumerevoli scoop giornalistici sull’inutilità delle Province e il susseguirsi di proposte normative di riforma costituzionale, per concentrarci sui documenti cardine dell’attuale controriforma.

Una delle prime voci in merito è quella massonica-piduista. Il “Piano di rinascita democratica”, ritrovato nel lontano 1982 in possesso della figlia di Ligio Gelli, prevede infatti, tra le varie altre “riforme” e modifiche costituzionali, un programma da adottare a medio e lungo termine che interessa l’ordinamento del Governo, del Parlamento e degli altri organi istituzionali. Di questo ultimo punto fa parte proprio (testualmente) la “riforma della legge comunale e provinciale per sopprimere le provincie e ridefinire i compiti dei Comuni dettando nuove norme sui controlli finanziari”.

Ma, di pari passo con la nascita dell’Unione Europea, evidentemente si è reso necessario rincarare la dose. La voce questa volta è tra le più potenti, in termini di capacità di esercitare pressione sugli Stati membri. Ed è contenuta nella lettera al Governo italiano del 5 agosto 2011 (al tempo governo Berlusconi) e firmata dal presidente della BCE Jean Claude Trichet e dal suo futuro successore, Mario Draghi.

Tale missiva recita testualmente “C’é l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)”.  E, immediatamente prima, i due banchieri spiegano anche il perché : “Incoraggiamo (…) il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese.”

Il provincicidio è quindi una delle condizioni dettate nientemeno che dall’Eurotower come garanzia dell’affidabilità dell’Italia in quanto Stato membro dell’UE, anche al fine di “assecondare le esigenze delle imprese”.

Non stupisce quindi che un’ulteriore raccomandazione in merito all’attuazione del tanto auspicato provincicidio provenga da Confindustria, e precisamente dal cosiddetto “Patto di Genova” del settembre 2013. Il documento si intitola “Una Legge di Stabilità per l’Occupazione e la Crescita” ed è sottoscritto,da Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil, probabilmente attratte dalla possibilità di costituire una parte attiva al processo di “riforma” governativo.

In questo documento si propone ancora una volta “la revisione del Titolo V  della Costituzione (…). Conseguentemente vanno rivisti i livelli istituzionali creando enti dimensionati ai nuovi compiti e in grado di gestire con efficienza le funzioni attribuite. Questo significa abolire le Province, aumentare la soglia dimensionale dei piccoli Comuni, istituire le Città metropolitane e, coerentemente, ridurre drasticamente il numero dei componenti degli Organi elettivi a tutti i livelli di Governo”.

Capita che queste ultime parole riassumano esattamente il senso del suddetto piduista “Piano di rinascita democratica”, il quale questa volta però riceve consensi anche dalla “Trimurti”  (così il Piano definiva CGIL, CISL e UIL).

E così si chiude il cerchio.

Essendo la Provincia di Genova una delle prime ad essere commissariata, da anni i cittadini non votano i loro rappresentanti. Con l’istituzione della Città Metropolitana questo diritto  non avverrà più esercitato. 

Con la Legge Delrio (L. 56/2014) infatti l’organo politico, il Consiglio Metropolitano, è “di secondo livello”, ed è costituito dal Sindaco di Genova Marco Doria e da 18 consiglieri che si sono praticamente autonominati tra una platea di sindaci e consiglieri dei 67 Comuni della Provincia. Le modalità di votazione si sono svolte in modo che la campagna elettorale, se c’è stata, si è svolta dietro le quinte di un palcoscenico al quale i cittadini, che pure sono i fruitori dei servizi che restano in capo alla Città Metropolitana,  non hanno mai avuto accesso.

Non c’è stato un confronto di programmi politici, non c’è stato un dibattito pubblico degno di nota, non c’è stato nulla che faccia lontanamente pensare ad una reale guida politica dell’Ente. Il Consiglio è il risultato di un listone trasversale nel quale la spartizione dei seggi farebbe invidia al manuale Cencelli. L’organo è quindi costituito da amministratori non retribuiti e poco motivati, in cui appaiono casi di incompatibilità di cariche, tanto palesi quanto ignorati.

Amministratori per amministrare cosa? La pianificazione territoriale? I servizi a rete su ambiti territoriali ottimali (trasporto pubblico, servizio idrico integrato, rifiuti, viabilità)? Funzioni rilevanti quali l’edilizia scolastica, l’ambiente, ecc…? Sembra proprio che non sarà così.

A causa dei tagli alle spese, dei trasferimenti coatti di fondi allo Stato, alla drastica diminuzione del personale,  la Città Metropolitana, spacciata come “grande opportunità di rinnovamento”,  darà a questi amministratori solo la possibilità di adottare provvedimenti per tagliare i servizi e licenziare i lavoratori. Poiché difficilmente riusciranno a fare altro, dovrebbero coerentemente  restituire il mandato.

La struttura politico/economica della Città Metropolitana è troppo debole per far fronte alle lentezze e alle inadempienze della Regione Liguria, la quale dal 2008 non paga un euro per le funzioni che aveva delegato alle ex Province. Alcune stime parlano di quasi 10 ML di euro.

E in questi giorni a tempo scaduto, dopo aver avuto almeno tre anni di tempo, la Regione emana una indecente proposta normativa che stanzia appena 1 ML di euro e prevede di riassorbire alcune funzioni e poche decine di lavoratori, parte dei quali (quelli che operavano nei centri di formazione pubblici) indirizzate ad un Agenzia. Un primo passo della privatizzazione della formazione professionale.

L’opposizione a tali provvedimenti dura ormai da più di tre anni. In prima linea l’Unione Sindacale di Base  con l’appoggio di un numero sempre maggiore di lavoratori.

CGIL-CISL-UIL hanno fatto il possibile per adempiere al loro ruolo istituzionale di regolatori del  possibile conflitto, con iniziative estemporanee o babbo morto. E proprio in questa logica hanno sostenuto le iniziative di metà dicembre.

Ross@ – Genova sostiene le mobilitazioni dei lavoratori della ex Provincia e si impegna a diffondere i volantini che i lavoratori stessi stanno preparando per la cittadinanza, al fine di  riuscire a rompere il muro di omertà che circonda questa vicenda e a far conoscere quali e quanti servizi rilevantissimi per i cittadini rischiano di andare perduti. Servizi che spesso riguardano fasce deboli come giovani, disoccupati, studenti, disabili, anziani, e la sicurezza del territorio e dell’ambiente.

 

Ross@ – Genova giudica in modo estremamente negativo il falso clima di rassicurazione sul futuro dei lavoratori. Clima che rischia di fare precipitare nel dimenticatoio lavoratori che stanno lottando perché, dati alla mano, il loro posto di lavoro, e non solo il loro, è davvero a rischio.

 

 

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