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Una minestra riscaldata? Landini e la proposta di “coalizione sociale”

A corrente alternata il leader della FIOM prende posizione prima in un verso e poi in un altro. Un atteggiamento che riscontriamo non solo in questi giorni ma che costituisce, da tempo, una particolarità del metodo di comportamento politico di Landini.

Nelle settimane scorse ha iniziato una (cauta) polemica con la Camusso. In altre occasioni esprime un accordo con la segretaria della CGIL. Anche verso Renzi, il buon Muarizio Landini ha avuto alterne posizioni: dagli incontri più o meno cordiali al principio della sua presidenza del consiglio fino allo scontro diretto. In tale quadro, per meglio inquadrare la situazione, va anche ricordato che Renzi, da uomo politico furbo e navigato, non ha un atteggiamento netto di rottura con Landini come lo ha, ad esempio, con Bersani o D’Alema ai quali fa una guerra senza prigionieri.
Adesso siamo alla vigilia della manifestazione sul Jobs Act del 28 marzo ed all’esordio di una proposta di “coalizione sociale” della quale si tengono oscuri i fini reali, forse perché non ce ne sono o perché si aspetta il momento giusto per fare una qualche scelta di carattere più preciso e puntuale.
E inutile dire che questo comportamento non ci convince perché ripropone modalità già viste nelle vicende politiche della sinistra italiana dove, storicamente, gli aspetti tattici cannibalizzano la prospettiva strategica, deprimono il protagonismo sociale ed inibiscono l’enuclearsi di una tendenza politica alternativa incardinata ad una impostazione programmatica realmente autonoma.
Proporre, infatti, una “Alleanza Sociale” genericamente detta ha, in prima battuta, il sapore di una minestra riscaldata e di una mera operazione ipertatticista e politicista la quale mortificherebbe, con effetti di disgregazione ancora più pesanti, ogni anelito di volontà di lotta e di possibile ripresa del conflitto politico e sociale.
Quanti sono stati i tentativi di mettere assieme i pezzi della sinistra politica e sociale di questo paese naufragati miseramente? L’elenco è lungo e qui ce lo risparmiamo anche se è utile tenerli a mente.
Ma non è questo il punto debole della proposta avanzata da Landini la quale rimanendo nell’ambiguità della “alleanza” senza enunciare le finalità effettive di questa dimostra una debolezza del suo pensiero ed una possibile imprevedibilità che non convince affatto.
Una proposta siffatta sottintende due possibili sbocchi, il primo più sindacale ed interno alla CGIL, è quello di creare una condizione politica che gli permetta di superare la segretaria di Susanna Camusso e di candidarsi lui stesso a dirigere l’organizzazione.
L’altro sbocco è più prettamente politico elettorale dove l’alleanza/coalizione che viene proposta è un passaggio propedeutico alla definizione di liste elettorali ed alla costruzione di un nuovo soggetto politico di sinistra, che si candida a rappresentare l’opposizione nel paese. Quando la Camusso dice che non si può più fare i “furbi” allude esattamente a questa possibilità che è, oggettivamente, contenuta nella proposta di Landini.
Ma, secondo noi, la debolezza del pensiero di Landini è causata dal dato politico di questa operazione che resta un guscio vuoto e che continua ad avere svariate tattiche senza indicare con chiarezza una strategia politica e/o sindacale chiara e trasparente.
La situazione politica, sociale ed istituzionale è tale per cui le ambiguità, le mezze posizioni, l’attesa del momento “buono” dimostrano che quel pensiero e quella attitudine politica che abbiamo conosciuto e che oggi viene riproposta da Landini non ha autonomia progettuale ma è subalterna alle vicende contingenti che si alternano con un segno sempre diverso in quanto è la situazione oggettiva del capitale e della società, in cui tutti siamo immersi, ad essere indeterminata.
E’ questo anche il punto debole che ha condotto tutte le formazioni di sinistra a passare da una sconfitta ad un’altra. Un lungo calvario teso sempre ad attendere l’occasione per riprendere fiato salvo poi trovarsi di nuovo impantanati in un tatticismo ormai palesemente deleterio in cui l’egemonia e i contenuti politici moderati hanno sempre prevalso.
L’ultimo esempio è quello della lista Tsipras che sembrava fosse una svolta, per il PRC in particolare, ma che nonostante gli esiti soddisfacenti sul versante puramente della raccolta dei voti non ha impedito di ritrovarsi, già dal giorno dopo le elezioni, a fare i conti con tattiche partitiche, con la scomparsa di fatto della lista nazionale e con il rinchiudersi delle diverse forze nei loro “particulari” locali e tematici.
Questo “pensiero debole” si sta manifestando anche nel passaggio delle prossime elezioni regionali (dal Veneto alla Campania) che stanno producendo ulteriori sconquassi nelle organizzazioni della sinistra in quanto la forza di attrazione del PD è tale che arriva a scomporre anche gli assetti interni di ciò che residua dei partiti della sinistra utilizzando la “chimera” dei seggi nei consigli regionali e il fascino del micropotere a scala territoriale.
E’ questo il punto a cui tali forze – e Landini come esponente più in vista – devono politicamente rispondere per uscire, se lo vogliono ovviamente, dalle ambiguità dentro cui la sinistra tricolore si è crogiolata negli ultimi anni.
Il punto di partenza dirimente non può che essere il ruolo dell’Unione Europea e di come le forze di classe debbano giudicare questa nuova dimensione statuale continentale in formazione.
Ancora si pensa che l’UE sia riformabile dopo le vicende della Grecia e dopo che i ricatti fatti dai poteri comunitari hanno costretto il governo Greco quantomeno a fare marcia indietro rispetto al suo stesso programma elettorale?
Non stiamo qui parlando delle scelte di Siryza e del governo Tsipras ma del giudizio da dare su una entità che sta facendo della guerra di classe e di quella guerreggiata l’atto costituente di un nuovo soggetto imperialista che rivolge le sue spire all’esterno dell’Unione ed all’interno verso i settori popolari della società.
L’altra questione sulla quale le ambiguità vanno definitivamente superate è la discussione e le scelte verso la CGIL. Su tale punto non c’è bisogno di scomodare le categorie teoriche del movimento operaio ma basta fare un onesto bilancio degli ultimi anni e dei disastri prodotti nel corpo vivo della composizione di classe.
Che la CGIL sia ormai divenuta un apparato integrato nelle compatibilità delle stato è un dato vero ed oggettivo. I comportamenti di Renzi, il quale, nell’interpretare correttamente le esigenze di accelerazione politica dei settori più avveduti del capitalismo italiano e multinazionale, irride a questa organizzazione dimostra che l’azione della CGIL è inefficace e non colpisce affatto la volontà di padroni e governo di fare piazza pulita di qualsiasi elemento di difesa politica e materiale della classe.
Rispetto a tale scenario – anche per chi in questi anni ha alimentato qualche forma di opposizione in CGIL – si tratta di rompere gli indugi e di rafforzare la battaglia per costruire un forte ed autorevole sindacato indipendente e di classe.
Infatti per molti compagni la CGIL sembra rimanere l’ambito privilegiato dove mettere in campo, di volta in volta, le proprie alchimie politiche e, spesso, politiciste. Per ancora troppi attivisti sembra non arrivare mai il tempo di considerare prioritaria la necessità dell’indipendenza organizzata del mondo dello sfruttamento così come oggi si presenta nelle sue innumerevoli forme sia nei posti di lavoro e sia nei territori.
Landini e la sua proposta di “coalizione sociale” – pur riconoscendo l’esigenza di un corso politico di tipo nuovo – preferiscono far balenare ipotesi politico sociali indeterminate che hanno il difetto di razzolare nel solito ambiente della sinistra politica e sociale più o meno istituzionale.
Un ambito che ormai ha rescisso i propri rapporti con i settori di classe più in difficoltà divenendo così completamente sterile non solo verso ipotesi “rivoluzionarie” ma anche verso una progettualità coerentemente democratica.
Non siamo abituati a fare i “de profundis” in anticipo ma certo è che, se le riflessioni qui rappresentate sono vere, le prospettive della “alleanza sociale” proposta sono molto scarse nelle loro possibilità di realizzazione e  di concreta possibilità di produrre un avanzamento unitario.
Particolarmente, poi, se, come tanti compagni aspirano legittimamente, si vuole, per davvero, costruire un argine all’offensiva borghese a tutto campo non solo in Italia ma nell’intero spazio europeo.

Rete dei Comunisti 

da www.retedeicomunisti.org

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