Capita, il sabato sera, che ci si dimentichi di spegnere la televisione alla fine del telegiornale. E capita dunque di ritrovarsi ad un certo punto davanti al cicaleccio semiserio tra Fabio Fazio e Massimo Gramellini. Un duetto il più delle volte insopportabile per chiunque si trovi ad affrontare una vita aspra e complicata, perché è predominante – in quell’ammiccare reciproco tra i due conduttori – l’impressione che ci parlino del mondo come se l’unico punto di vista plausibile, accettabile, ammissibile, fosse il loro. Cioè quello di una fetta alquanto ristretta di “borghesia delle professioni”, quella che ha raggiunto il successo e un più che discreto benessere.
Ma capita anche che la realtà sociale si faccia spazio e “buchi”, non tanto lo schermo, quanto il velo di buonsenso perbenista steso su ogni problema rilevante, in genere strizzato a questioncella morale.
E’ capitato ieri sera, quando Gramellini, riferendo delle dimissioni dal lavoro di un professionista semi-anziano (un 55enne), viste dal punto di osservazione del suo dirigente 34enne, ha scoperto che viviamo tutti in un sistema di fatto inumano (non ha usato questa parola, certo). Quell’uomo, infatti, si era dimesso non si sa bene per quale ragione contingente, ma perché da lungo tempo trovava intollerabile essere “diretto” da uno che poteva essere suo figlio. Non ci è stato detto, ma è lecito supporlo, se il dimissionario ritenesse di non esser poi meno bravo del suo giovane “capo”; o anche se quest’ultimo non sia il massimo quanto a relazioni umane con un “sottoposto” più in là con gli anni; o se l’azienda, in qualche misura, abbia esercitato sul dimissionario una pressione costante, stimolando “competitività” tra colleghi, fino a creare il punto di rottura.
Comunque sia, in Gramellini è suonato un campanello d’allarme. Dove andremo a finire se dei bravi professionisti della mia età vengono costretti a licenziarsi, e quindi a finire rapidamente sul lastrico, scendendo in poche settimane decine di gradini nella scala sociale? E’ chiaro, ha spiegato al pubblico, che “dobbiamo cambiare il sistema”, oggi “tarato sulle energie di un giovane” e dare quindi una chance di occupabilità anche agli ultra-cinquantenni; che, da buon vicedirettore de La Stampa, certo “non possiamo mandare in pensione e pagargliela, augurando loro che vivano cent’anni”.
Sorvoliamo sui luoghi comuni della contrapposizione giovani-anziani, sullo scarto compensativo tra “più energie” e “più esperienza”, che pure hanno una loro validità universale. Il punto centrale dell’argomentare gramelliniano è stato “o cambiamo sistema oppure si arriva all’eliminazione fisica degli anziani”. Dimostrino o no “vent’anni di meno”, come spera Fazio di se stesso.
Non posso che essere soddisfatto dell’approdo di Gramellini. E’ da qualche anno che, analizzando le “riforme strutturali” che dominano l’agenda di tutti i governi europei, sotto la spinta della Troika o anche autonomamente, sempre più gente arriva a scoprire che la logica di quelle “riforme” è soltanto una: “dovete morire prima”, “non sappiamo che farcene di tutta questa gente, di qualunque età, che pretende di campare senza che ci sia una necessità – per il capitale – di metterli al lavoro” (vedi anche https://contropiano.org/video/item/29971-il-piano-inclinato-degli-imperialismi-f-piccioni).
In verità, non è la prima volta che Gramellini arriva a questa conclusione. Ma stavolta ha avvertito il brivido nella sua propria schiena. In fondo, in qualsiasi redazione giornalistica mainstream la proprietà “spinge” per un ricambio generazionale, giocando sulla contraddizione palese tra l’eccesso di benefit e livelli contrattuali dei “vecchi” giornalisti più o meno famosi e la fame di giovani aspiranti redattori, disposti a tutto pur di “entrare”. La maggior parte dei candidati resta fuori la porta, condannato a una precarietà a cottimo pagata nulla (5 o 10 euro a pezzo non ripagano neanche il costo delle telefonate fatte per stendere un articolo con qualche informazione non copi-incollata da internet). Ma qualcuno entra, investe il suo tempo e le sue energie per stare fisicamente in redazione e occupare posti, anche da caporedattore, magari sfruttando il deserto delle redazioni d’estate. Mentre i più anziani, gli “arrivati”, coltivano giustamente anche altri interessi, le relazioni familiari, ecc.
Il “sistema da cambiare”, per un vicedirettore de La Stampa, non può che essere quello delle “regole”, legislative e/o contrattuali, non certo il modo di produzione con tutti i suoi annessi. Così, invece di rivolgere la sua attenzione critica verso la proprietà – casualmente la famiglia Agnelli, che ha delegato tutto ad un certo Sergio Marchionne) – occhieggia a impossibili modifiche legislative favorevoli ai lavoratori più anziani.
Il campanello d’allarme è scattato tardi, mi sento di poter dire. Anche la “borghesia delle professioni”, che nel suo insieme sta ancora plaudendo all’austerità espasiva, al pareggio di bilancio, al jobs act, all’innalzamento dell’età pensionabile e quant’altro arriva – di orrendo – dai think tank della Troika, si sta accorgendo che il baratro è ora vicino ai suoi piedi.
Ma non può far altro che elevare un gridolino indignato verso un “sistema” che si appresta a farli fuori nel fiore degli anni. Come un operaio qualsiasi…
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