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Stathis Kouvelakis: “L’Europa ha dichiarato guerra alla Grecia”

Perché il primo ministro greco Alexis Tsipras ha, alla fine, indetto un referendum?

Anche se Tsipras ha firmato l’ultima lista di proposte greche, le istituzioni europee sono rimaste determinate a sottoporlo a una pura umiliazione, chiedendo che andasse ancora oltre, più di quanto potesse permettersi politicamente: era divenuto chiaro che il suo stesso partito, la sua maggioranza parlamentare e anche una parte crescente della società non erano pronte ad accettare ulteriori concessioni. 

Come abbiamo raggiunto questo punto, dopo cinque mesi di negoziati?

Non ci sono stati negoziati. Questa parola non è adatta a descrivere ciò che è successo. Le istituzioni europee hanno mantenuto la stessa linea dall’inizio, vale a dire quella di imporre un piano di austerità al nuovo governo greco, costringendolo a rimanere entro una cornice identica a quella dei suoi predecessori, e mostrando così che le competizioni elettorali in Europa non possono sortire alcun effetto sulle politiche che ne seguono, a maggior ragione quando esse sono vinte da un partito della sinistra radicale contro l’austerità. Ciò che chiamiamo ‘negoziati’ sono stati semplicemente una trappola mortale – che si è stretta attorno a Tsipras. Il suo errore è stato di non capirlo in tempo. Ha pensato che, se avesse portato la discussione il più in là possibile, gli europei avrebbero alla fine optato per un compromesso, piuttosto che correre il rischio di una rottura. Ma i suoi avversari non hanno concesso nulla, mentre lui ha rinunciato a molto negli ultimi cinque mesi: ha fatto enormi concessioni, l’opinione pubblica si è abituata all’idea che fosse possibile un accordo, e le casse pubbliche sono vuote. 

Tsipras non ha anche compiuto un errore nel pensare di poter ottenere meno austerità rimanendo nell’Eurozona?

Faccio parte della corrente, all’interno di Syriza, che ha sostenuto fin dall’inizio che voler conciliare un rifiuto dell’austerità con la permanenza nell’Eurozona fosse una contraddizione. E quando la BCE ha deciso di tagliare i principali mezzi di finanziamento delle banche greche, a febbraio, abbiamo visto che ciò effettivamente non era possibile. L’arma della valuta è servita a mettere pressione sul governo greco per costringerlo ad abbandonare le politiche anti-austerità. L’episodio più recente di questo ricatto è stato quando l’Eurogruppo, rifiutando di estendere il programma vigente, ha costretto Tsipras a chiudere le banche per tutta la settimana. Lo scopo è chiaramente politico: prendendo ostaggio i greci e creando una situazione di panico, particolarmente tra la classe media e i benestanti, stanno tentando o di costringere il governo a non arrivare a organizzare il referendum, oppure di dettare le condizioni del suo svolgimento, in modo tale da aiutare il “sì”. L’Europa ha dichiarato guerra alla Grecia. 

La società greca sembra molto divisa…

Sì, i due orientamenti adesso si stanno scontrando. Il fronte del “no” si basa su un’intera parte della popolazione che è già subisce molto pesantemente l’austerità, e che percepisce le nuove richieste della Troika come un tentativo di umiliare la Grecia. Ma anche il fronte del “sì”, rafforzato dalla paura provocata dalla chiusura delle banche, sta raccogliendo le forze. Non ci può essere alcun dubbio che questo referendum sia un atto politico molto coraggioso. E’ qualcosa che il calpestamento della politica in corso in tutta Europa ci ha fatto dimenticare: le decisioni politiche importanti sono sempre rischiose. 

Quali sono i possibili scenari per il post-referendum?

Una vittoria del “si” rappresenterebbe una sconfitta decisiva per Tsipras, e lo costringerebbe senza dubbio a indire nuove elezioni. Invece, una vittoria del “no” rafforzerebbe la sua determinazione nell’affrontare le istituzione europee, conferendogli un mandato diverso da quello delle elezioni generali del 25 gennaio: la questione sarebbe ora rompere con l’austerità, a qualunque costo – anche se ciò volesse dire abbandonare la cornice europea. Il discorso che annunciava la convocazione del referendum è stato il primo nel quale la parola “euro” non è mai comparsa. Non è un caso. 

E’ il certificato di morte dell’Europa?

L’intera vicenda della crisi greca segna la fine di una certa idea, o meglio di una certa illusione di Europa. E’ chiaro a tutti infatti il suo carattere anti-democratico, che rispetta solo la legge del più forte, come anche il suo neoliberismo, con il disprezzo manifestato verso qualunque forma di controllo democratico. Tutti hanno potuto vedere che, anche se Syriza cercava solamente una rottura parziale, moderata, pragmatica con le politiche di austerità, senza sfidare i fondamenti della cornice europea, lo scontro è stato ultra-violento. Semplicemente perchè questo governo non aveva intenzione di capitolare sotto i colpi dei diktat neoliberisti. Se anche l’Unione Europea riuscisse a sconfiggere la resistenza greca, in ogni caso essa pagherà, io credo, un prezzo molto pesante per il suo atteggiamento. La Grecia è solo il punto più avanzato della crisi europea: il progetto dell’Unione Europea attrae sempre meno il sostegno dell’opinione pubblica in tutto il continente.


* Stathis Kouvelakis: “Europe has declared war on Greece”

di Miri Davidson, Verso Books

http://www.versobooks.com/blogs/2082-stathis-kouvelakis-europe-has-declared-war-on-greece

(traduzione a cura di Noi Restiamo Torino) 

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