Vorrei dire la mia sul recente “accordo” con l’Unione Europea firmato dal leader greco Tsipras.
Premetto che non ho le competenze tecniche di natura economica, che sarebbero necessarie per entrare nel merito dei punti dell’accordo.
Né ritengo sia giusto ergersi a giudici spietati delle scelte di Tsipras, pretendendo di insegnare a lui cosa avrebbe dovuto fare, in primis senza averne (ripeto) le competenze tecniche e in seconda trovandosi in una situazione politico/esistenziale ben diversa da quella in cui è venuto a trovarsi Tsipras e con lui il suo governo e il suo partito.
Fatte queste due premesse credo però che non sia vietato né ingiusto esprimere alcune valutazioni di natura squisitamente politica su quello che è successo nelle scorse settimane. Spero di evitare gli eccessi opposti ma speculari della saccenteria fatta di critiche demolitorie e della aprioristica difesa di ufficio, basata sulla rimozione dei problemi che “l’intesa” raggiunta lascia irrisolti.
Non penso, infatti, sia giusto dare addosso ai compagni greci e in primo luogo a Tsipras in un momento così difficile, anzi drammatico, della loro vicenda politica e ancora di più per il futuro del loro paese.
Ma credo che sarebbe altrettanto sbagliato tacere o nascondere le perplessità che alcune loro scelte hanno ingenerato nell’opinione pubblica non solo greca ma dell’intera Europa, che pure li seguiva con simpatia e interesse.
Ritengo anzi che vedere le cose nella loro realtà sia un dovere per poter studiare le strategie migliori ed uscire il meglio possibile dalla situazione che si è data. Non solo per la Grecia, ma anche per quelli che potrebbero rivelarsi scenari futuri anche per altri paesi, a cominciare dall’Italia.
In questa ottica voglio svolgere alcune semplici considerazioni, di natura (ripeto) squisitamente politica; evitando quelle di natura economica, per le quali non ho competenze.
Prima considerazione
Quando Syriza e Tsipras hanno vinto le elezioni all’inizio di quest’anno hanno alimentato grandi speranze, non solo nel popolo greco (che sarebbe già abbastanza), ma anche in una diffusa sinistra internazionale, in primis in quella italiana.
In cosa consistevano queste speranze? Essenzialmente nel fatto di riuscire a mettere in discussione (non su aspetti marginali e superficiali ma su elementi fondamentali ed essenziali) le politiche (soprattutto economiche) che si stanno realizzando in Europa oramai da almeno due decenni
L’accordo raggiunto oramai due settimane fa corrisponde almeno in parte a queste attese? Non mi pare che la risposta a questa domanda possa essere positiva (non c’è bisogno, credo, di essere un esperto di economia per poter dare questa valutazione).
Di qui deriva quella che a me pare una naturale e legittima delusione, di fronte alla quale Tsipras e Syriza non possono cavarsela dicendo semplicemente: ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma gli avversari erano troppo potenti; non potevamo fare di più; l’alternativa era uscire dall’euro, con conseguenze ancora più disastrose per il nostro paese.
Syriza e Tsipras dovrebbero spiegare cosa si aspettavano quando hanno scritto il loro programma elettorale e su questo hanno vinto le elezioni. Immagino dessero per scontato che la trattativa con la Troika non sarebbe stata semplice, anzi che avrebbe incontrato le resistenze che hanno poi ha effettivamente incontrato. Perciò penso dovrebbero spiegare come si immaginavano di vincere (almeno in parte) quelle resistenze.
Seconda considerazione.
Dalla trattativa è emerso con tutta evidenza che Tispras non aveva un piano B. Il suo ministro dell’economia, Varoufakis, gliene aveva prospettato uno, discutibile quanto si voglia (non sono capace di dire se fosse efficace o meno), ma era un piano. Tsipras con tutta evidenza (e per sua stessa ammissione) non aveva nessun piano B.
Ora questo (a me pare) spiega (almeno in parte) le difficoltà in cui si è venuto a trovare Tsipras nel corso della trattativa. Quando in un qualsiasi confronto (anche in una semplice partita a carta) io ho una sola scelta possibile, il mio avversario si trova in una posizione estremamente vantaggiosa. Devo fatalmente sottostare alle sue condizioni.
Questo anche quando i rapporti di forza tra me e il mio contendente sono abbastanza equilibrati. Figuriamoci quando questi rapporti mi sono estremamente sfavorevoli già in partenza.
Terza considerazione.
Alla luce del risultato finale della trattativa non si capisce (perlomeno io non lo capisco) quale senso abbia avuto l’indizione del referendum. Questo chiedeva un “sì” o un “no” al piano proposto dalla Troika. Tsipras e il suo partito, Syriza, nella sua interezza si sono schierati nettamente a favore del No. La grandissima maggioranza del popolo greco ha votato No.
Questo cosa vuol dire, fino a prova contraria? Che io (Tsipras) mi opporrò nella nuova trattativa alle richieste iniziali della troika, forte del mandato popolare, e cercherò un’intesa più avanzata di quella che mi era stata proposta/imposta nella fase pre-referendum?
Ora cosa succede dopo il referendum? Che la Troika (a detta di tutti i commentatori: tutti bugiardi e venduti?) ripropone sostanzialmente le sue richieste iniziali (di prima del referendum), anzi alcune sono ancora più dure, e Tsipras firma l’accordo.
Che cosa gli ha fatto cambiare idea? Quale risultato emerso nella trattativa ha giustificato la firma che prima del referendum egli (non un altro) si era rifiutato di apporre? Per me resta francamente un mistero. Non è normale rimanerne quantomeno disorientati?
Quarta considerazione.
Dopo la firma dell’accordo, Varoufakis si è dimesso da ministro e almeno una metà di Syriza si è opposta all’intesa raggiunta. L’accordo nel Parlamento greco è passato solo grazie ai voti dei partiti contro i quali Syriza e Tsipras avevano vinto le elezioni pochi mesi fa al termine di una feroce campagna elettorale; quegli stessi partiti che avevano votato “sì” al referendum indetto da Tsipras.
Francamente non mi sembra questo un grande risultato politico per un leader e per un partito che si era presentato alle elezioni come un’alternativa radicale ai partiti che fino ad allora e negli ultimi decenni avevano governato la Grecia.
E mi fermo qui con le mie considerazioni personali. Chiudo citando la recente intervista di Galbraith a “il manifesto”.
Galbraith, che non è certo un bolscevico e manco un comunista ammalato di infantilismo estremista, dice sostanzialmente che la sinistra europea, a questo punto, deve seriamente prendere in considerazione l’ipotesi dell’uscita dall’euro, nel caso arrivasse al governo (cosa a breve possibile in Spagna).
Altrimenti sarà messa nelle condizioni di non poter realizzare il suo programma di governo; il rischio (quasi certezza) sarà quello di venire a trovarsi nello stesso culo di sacco in cui si è trovata la Grecia in queste settimane.
Forse l’esperienza greca nella sua drammaticità una cosa ce l’ha insegnata: l’ipotesi di riuscire a cambiare questa Europa dal di dentro, modificandone le politiche economiche ed istituzionali dall’interno, si è dimostrata quantomeno infondata.
Ora o ci si rassegna a dover sottostare ai diktat della Troika (come ha dovuto fare Tsipras) oppure occorre pensare a una via di uscita alternativa, il meno dolorosa e traumatica possibile per i popoli che saranno costretti a prenderla in considerazione.
venerdì 24 luglio 2015
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