La vicenda olimpica di quest’anno, e la competizione sportiva (anche nella sua dimensione politica, tra grandi potenze sportive, politiche, economiche, militari)è stata attraversata dalla clamorosa accusa rivolta all’organizzazione sportiva ed al suo vertice politico russe di una organizzazione da parte dello Stato della pratica del doping per le e gli atleti di vertice e della copertura dell’utilizzo di esso, proprio da parte dello stesso laboratorio antidoping centrale di Mosca; tale accusa è stata avanzata dall’Agenzia Mondiale Antidoping, definita internazionalmente Wada, dall’acronimo anglosassone del nome, la quale, attraverso il rapporto del giurista Richard Mc Laren (nominato quale persona indipendente, avendo esperienza di diritto sportivo quale membro di lunga data del Tribunale Arbitrale dello sport, ha commissionato un’indagine indipendente che ha portato come esito il rapporto, che lo stesso McLaren ha prodotto, traendone la conclusione che le squadre di tutti gli sport olimpici e paralimpici della Federazione Russa dovessero essere escluse dagli eventi olimpici in programma a Rio nell’estate di quest’anno.
Tale accusa, partita da rivelazioni ed inchieste riprese sia dalla televisione tedesca ARD, che dal quotidiano New York Times, aveva già portato ad un primo intervento della Wada, che ha riesaminato le analisi degli atleti durante le ultime competizioni olimpiche, a far data da Pechino 2008 ed aveva portato, nell’autunno del 2015, alla decisione, da parte della Federazione Mondiale di atletica leggera (IAAF il nome internazionale) ad escludere la federazione atletica russa dalle competizioni internazionali a tempo indeterminato.
La proposta non è stata accettata dal Comitato Olimpico Internazionale, il CIO, che ha lasciato aperta alla valutazione delle Federazioni dei singoli sport la decisione su chi ammettere e chi no, in base all’accertamento di casi precisamente individuati di violazione della proibizione di assumere sostanze dopanti, sulla base della decisione di “ valutare se la possibilità di un divieto di partecipazione collettivo possa prevalere sui diritti di giustizia individuale" come si legge nella nota del CIO. La IAAF ha invece confermato il bando all’atletica russa, con due sole eccezioni, su cui torneremo in seguito. Il capo della commissione indipendente della Wada, Richard McLaren, ha affermato che gli atleti russi avrebbero fatto uso massiccio di doping durante le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014, sostenendo che i servizi segreti russi avrebbero avrebbero sostituito i campioni presi durante il test antidoping con altri campioni “puliti”, ottenuti dagli stessi atleti in data anteriore e trattati col sale per camuffare la loro autenticità, mentre in alcuni casi sarebbero addirittura stati sostituiti i campioni dell’atleta sottoposto all’antidoping con quelli di altra persona.
I nomi degli atleti risultati positivi alla successiva verifica non sono stati resi noti ancora, né il rapporto si è soffermato sulle responsabilità dei singoli, ma invece si è dato un taglio al lavoro di esame generalista della vicenda, con una precisa accusa al sistema sportivo e politico di governo dello sport russo. Si è motivata l’esclusione dell’esame delle singole posizioni, da parte di Mc Laren, con il tempo limitato a disposizione per svolgere il lavoro, 57 giorni, un lavoro di analisi prevalente sul rapporto tra i laboratori antidoping presenti in Russia ed il potere dello Stato russo, per cui non si è dato seguito, da parte di Mc Laren, all’approfondimento sulle posizioni degli atleti, che pure era oggetto del mandato ricevuto dalla Wada. Anzi nel rapporto si afferma con chiarezza che non tutti i temi di indagine sono stati svolti, ma solo quelli sui quali era più facile arrivare a delle conclusioni fondate oltre ogni ragionevole dubbio.
Così come, prendendo per assiomatica la poca credibilità del personale russo, che lavora nel settore, il quale sarebbe sottoposto a pressioni politiche, si è agito verso la Federazione Russa, come se fosse un mondo criminale compatto nella promozione e nella copertura dell’uso del doping sportivo, prendendo per buone le accuse di un “pentito”, l’ex direttore del laboratorio di Mosca, reo confesso della preparazione di uno speciale cocktail di sostanze dopanti, e di altre persone che erano nel cd. “sistema” e che hanno lasciato la Russia, adducendo di farlo, come Rodchenkov, per tutelare la propria incolumità.
"Tutti i campioni da noi verificati presentavano sembravano essere stati aperti", ha affermato McLaren presentando i risultati della relazione in una conferenza stampa a Toronto. Ovviamente questa sua metodologia d’indagine ed anche l’affermazione che tutti i campioni “sembravano” essere stati aperti, hanno dato vento nelle ali a chi polemizza con l’inchiesta e la considera più un episodio di guerra fredda politica fatto attraverso la lotta al doping, che una genuina estrinsecazione di tale obbiettivo
Come dicevamo sopra, nell’atletica si è ammessa a partecipare alle Olimpiadi, in deroga al bando generalizzato la lunghista Klishina, che si allena stabilmente negli Usa, per cui è ritenuta estranea ai metodi di allenamento russi, ma che ha accettato di gareggiare solo in rappresentanza della Federazione Russa, e la mezzofondista Juliya Stepanova , la quale Il 26 febbraio 2016 si vide squalificata dalla IAAF per due anni in seguito ad anomalie riscontrate nel suo passaporto biologico. Tutti i suoi risultati a partire dal 3 marzo 2011 furono cancellati. Nel 2014 lei e suo marito Vitaliy Stepanov, un ex impiegato dell'agenzia dell'antidoping russa RUSADA, parteciparono a un documentario di Hajo Seppelt sulla rete televisiva tedesca Das Erste, accusando il sistema sportivo russo di fare largo uso di doping. I due dichiararono che i funzionari russi fornivano sostanze vietate agli atleti in cambio del 5% dei loro guadagni e che falsificavano i test antidoping in complicità con gli ufficiali preposti a tali controlli. Da questa intervista si è messo in piedi tutto il ciclone di inchieste da parte del sistema antidoping mondiale, che tuttora sta squassando lo sport mondiale, ma in una precisa direzione geopolitica. Alla Stepanova, che ha lasciato la Federazione Russa, lanciando contro di essa pesanti accuse, si è permesso di gareggiare come atleta neutrale indipendente. Questa decisione avrebbe permesso alla Stepanova di gareggiare "per il suo eccezionale contributo alla lotta contro il doping nello sport", ma alla fine ella non ha gareggiato, in quanto sosteneva di essere in pericolo ,poiché è stato hackerato il suo account come persona registrata al sistema antidoping, che si chiama ADAMS, a livello intenazionale, e quindi è ora nota anche la sua residenza. Ritiene che i russi la vogliano colpire personalmente.
Il Comitato paralimpico internazionale ha invece accolto la proposta della Wada ed ha deciso di non ammettere la squadra russa alla manifestazione, che inizierà il 7 settembre. Due giorni dopo la fine delle Olimpiadi di Rio, il Tribunale arbitrale dello sport ha confermato la decisione del Comitato Paralimpico internazionale, rigettando il ricorso del Comitato paralimpico russo, il quale quindi è escluso, con tutti i suoi atleti dagli eventi sportivi che inizieranno, sempre a Rio, tra una settimana, e che sono un evento il quale sempre più si va affermando all’attenzione del grande pubblico, in parallelo con la crescita delle conquiste sociali, e dell’attenzione pubblica verso i cd. Diversamente abili, in un movimento che va crescendo in tutti i Paesi del Mondo, anche in quelli con larghe fasce di povertà diffusa. E l’esclusione del movimento paralimpico russo è stata estesa anche, in questi giorni, alle Paralimpiadi invernali di Pyeonchang 2018.
E’ DA DIRE CHE ALLE ULTIME PARALIMPIADI ESTIVE DI LONDRA “12 GLI ATLETI PARALIMPICI RUSSI SONO ARRIVATI SECONDI DIETRO LA CINA NEL MEDAGLIERE GENERALE, PRIMA DEL PAESE OSPITANTE, E CON NETTO VANTAGGIO SUGLI USA, MENTRE LA RUSSIA HA VINTO, CON NETTO DISTACCO SULLA GERMANIA,LA CLASSIFICA DELLE MEDAGLIE NETTAMENTE A SOCHI 2014.
35 i casi di atleti dopati trovati in carico alla Federazione Russa, tra i paralimpici, ma l’esclusione avviene sulla base della precisa accusa di Mc Laren che è l’intero sistema sportivo russo ad utilizzare il doping, in rapporto col Ministero dello Sport russo, ai cui vertici siede il Ministro Mutko, che è anche Presidente della Federazione gioco calcio russa e membro del Comitato Esecutivo della Fifa, la federazione calcistica mondiale. E, tra gli obbiettivi non dichiarati in primo momento, ma presenti a chi promuove l’offensiva antirussa, sembra esserci proprio Mutko, ed in particolare il fatto che egli organizzi i Campionati Mondiali di calcio 2018, che tanto stava a cuore agli Usa organizzare…
Ma facciamo il manzoniano passo indietro per definire il perché l’utilizzo di farmaci che aumentano la prestazione sportiva, o rallentano la fase di stanchezza, o creano stimolazioni ormonali siano il più grave pericolo per la credibilità della pratica sportiva, di vertice e di massa, dello sport moderno.
Per una definizione corretta del fenomeno, utilizziamo il significato che ne dà la Dichiarazione più solenne adottata da autorità politche nella storia dello sport. Parliamo del Codice Europeo di Etica Sportiva, stilato nel 1993 dal Consiglio d’Europa, una dichiarazione d’intenti adottata dai ministri europei responsabili dello sport, quindi anche dalla Russia. Al punto 2 si stabilisce che «il principio fondamentale del Codice è che le considerazioni etiche insite nel “gioco ideale” (fair play) non sono elementi facoltativi, ma qualcosa d’essenziale in ogni attività sportiva, in ogni fase della politica e della gestione del settore sportivo. Queste considerazioni sono applicabili a tutti i livelli di abilità e impegno, dallo sport ricreativo a quello agonistico». E al punto 6 c’è questa definizione: “Fair play significa molto di più che giocare nel rispetto delle regole. Esso incorpora i concetti di amicizia, di rispetto degli altri e di spirito sportivo. Il fair play è un modo di pensare, non solo un modo di comportarsi. Esso comprende la lotta contro l’imbroglio, contro le astuzie al limite della regola, la lotta al doping, alla violenza (sia fisica che verbale), allo sfruttamento, alla disuguaglianza delle opportunità, alla commercializzazione eccessiva e alla corruzione”.
Ma com’è possibile che la sacrosanta lotta al doping alla fine concentri il suo focus tutto sulla Russia, in una sorta di riedizione della risalente polemica contro gli atleti dei Paesi del cd. Socialismo reale, che fino a tutti gli anni Ottanta sembravano essere gli unici a far uso di doping, professionisti di Stato costretti, si diceva, dalle loro dittature del cd. Asse del male, salvo poi scoprire una diffusione del doping enorme e globale, che va dall’ultimo culturista amatoriale alla massima figura del ciclismo pro fino a tutto il primo decennio del 2000, lo statunitense Lance Armstrong? Qui vi è stata nei mesi una prima forzatura da parte del governo americano: Il dipartimento di Giustizia statunitense ha aperto un’inchiesta sul “doping di Stato russo”, dopo la pubblicazione lo scorso novembre di un rapporto dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada) che accusava la Russia di un sistematico ricorso a pratiche chimiche di miglioramento delle prestazioni dei propri atleti.L’inchiesta con cui il New York Times ha scoperchiato il “sistema doping” russo ai Giochi di Sochi 2014 non poteva rimanere senza conseguenze. Se quanto raccontato da Grigory Rodchenkov, direttore del laboratorio antidoping di Sochi 2014, corrisponde al vero, siamo di fronte a una sistematica operazione di manipolazione del risultato sportivo. Detto questo, la volontà del dipartimento di Giustizia Usa di aprire un’indagine sul doping russo appare senza dubbio una mossa politica (raramente i tribunali federali si erano occupati di doping). Un po’ avventata. Innanzitutto esiste un problema di giurisdizione. I giudici statunitensi potrebbero occuparsi solo di quei “dopati” che hanno gareggiato sul suolo Usa o che, come avvenuto per il Fifa-gate, hanno utilizzato banche statunitensi per transazioni illecite. Inoltre, se con la Svizzera le autorità statunitensi avevano instaurato una proficua collaborazione, è inimmaginabile che lo stesso possa accadere con Mosca.Al di là dell’ovvia considerazione che il doping non è una peculiarità russa e che in passato altri paesi hanno adottato simili pratiche, la mossa dei giudici statunitensi rafforza la tesi difensiva di Mosca, che tenta di presentare (soprattutto in funzione interna) il suo “sistema doping” come un complotto americano contro la Russia. Infine, questa mossa va a scavalcare istituzioni sportive internazionali, come la Wada, la IAAF e il CIO, che stavano già occupandosi della questione. La IAAF aveva già sospeso la federazione russa di atletica, mentre il presidente del Cio Bach affermava che «di fronte a un sistema criminale senza precedenti» la sospensione della Russia dai Giochi di Rio, almeno in alcuni sport, era una possibilità concreta.
Al contrario di quanto avvenuto nel Fifa-gate, in cui l’intervento della giustizia federale a stelle e strisce è stato fondamentale per scardinare un sistema chiuso che non voleva autoriformarsi, in questa circostanza l’unilateralismo statunitense potrebbe avere come effetto collaterale la delegittimazione delle istituzioni sportive internazionali. Un autogol, se si considera che al momento sono tutte più o meno allineate su posizioni filoccidentali.È curioso ma se c’è una cosa che imbarazza il Cremlino, in questi tempi di rinata guerra fredda e crisi internazionali, è lo scandalo degli atleti dopati.
C’è un fondo politico anche in questa diatriba. La Wada ha pubblicato il suo primo rapporto analizzando l’anno 2013, quando le violazioni furono 1.953 con 115 paesi e 89 specialità sportive coinvolti. Nel 2014 le violazioni sono scese a 1.693, con 109 paesi e 83 discipline coinvolti, ma lo scandalo e l’allarme sono stati, guarda caso, ben maggiori.Prima imputata la Russia, con 148 casi di violazione. Ma poco sotto ci sono l’Italia con 123 e una Nazionale assai più ristretta e di qualità inferiore- si ricordi che abbiamo vissuto, in Italia, le Olimpiadi divisi tra la polemica contro il cd. Doping di Stato russo, che ci ha anche consentito di avere una imbarcazione di canottaggio in più che è andata a medaglia, con i riflessi polemici, soprattutto nella piscina natatoria tra atleti soprattutto Usa ed atlete russa e cinese, il campione olimpico uscente Sun Yang, ampiamente riportati dalla nostra rosea Gazzetta, oltre che sulla vicenda di un ripescaggio nella canoa sprint a seguito della squalifica di una forte imbarcazione bielorussa, da un lato. E dall’altro, con la squadra di beach volley femminile, ed una delle coppie della vela femminile, cambiate in corsa prima dei Giochi, per la positività riscontrata di una delle componenti per ognuna di queste coppie, dall’altro, senza pensare che l’Udienza in trasferta del Tribunale arbitrale dello sport sulla squalifica da comminare o revocare al nostro marciatore, già olimpionico a Pechino, Schwazer, è stato uno dei momenti giudiziario-sportivi più importanti della nostra Olimpiade, perché con la squalifica comminata a Schwazer è sparita l’unica speranza di medaglia in atletica per l’Italia, e la squalifica ha dato vita ad un confronto velenoso tra il maestro antidoping, Donati, consulente di Schwazer, per lui pulitissimo, ed una gloria della nostra marcia del passato, Sandro Damilano, piemontese, ora commissario tecnico della nazionale cinese di marcia, che avrebbe goduto di trattamenti preferenziali per una sua allieva, dopata, ma con addebito lieve rispetto ad un cocktail di farmaci, che poi ha vinto un oro olimpico a Rio, Liu Hong Per non dire dell’India, con 96 casi e uno sport di vertice di secondo piano. O della Francia, con 91 casi (34 gli Usa, 20 la Germania, 43 la Polonia).
Però questa storia imbarazza Putin molto più del Rapporto del magistrato inglese sul caso Litvinenko o dei Panama Papers, operazioni palesemente costruite a tavolino. Sul primo di questi due casi, affidato ad un’inchiesta senza effettiva valenza giudiziaria dal governo britannico, svolta da Sir Robert Owen si procede con una presunzione che Putin, essendo al vertice del servizio segreto russo, non poteva non sapere/decidere l’uccisione della spia russa scappata a Londra: eppure proprio alle conclusioni di quel rapporto si ispira lo stesso Mc Laren, per dimostrare che in Russia non si muove foglia che Putin non voglia… Ed è questa, forse, la presunta verità da criticare, vista la effettiva natura della Russia di oggi.
Comunque con le analisi del sangue non si bara e i risultati di laboratorio, qualunque sia l’intento di chi li promuove, non si possono confutare. Dopo lo “scandalo Meldonium” (la sostanza proibita che ha messo nei guai la tennista Sharapova), Putin attaccò con rara violenza l’operato del ministero dello Sport russo, colpevole di non essere intervenuto per avvertire gli atleti e, comunque, per fermare certe pratiche.
Ma il presidente è rimasto silente poco dopo, quando l’ex capo del laboratorio anti-doping di Russia, Grigoryj Rodchenkov, ha sostenuto che un centinaio di atleti russi alle Olimpiadi invernali di Sochi avrebbe portato ai laboratori campioni di urina prelevati in realtà molti mesi prima per nascondere le tracce del doping. Il tutto con l’aiuto dei servizi segreti. Atleti e allenatori hanno respinto con sdegno le accuse e il vice ministro dello Sport, Juryj Nagornych, ha minacciato una denuncia contro il New York Times. Ma Putin in un primo momento ha taciuto. E la proposta di legge avanzata dal senatore Vadim Tyulpanov, che prevede un anno di prigione e/o un anno di arresti domiciliari per i dirigenti sportivi responsabili di lassismo nei controlli antidoping, pare una risposta politica troppo fragile e tardiva.
L’apertura di un’inchiesta sul “doping di stato russo” da parte del dipartimento di Giustizia, uno dei pochi ministeri realmente connesso alla Casa Bianca, ha mero valore simbolico ma si prefigge tre obiettivi in ordine crescente di importanza. Anzitutto, comunicare che gli Stati Uniti hanno intenzione di proseguire all’interno delle istituzioni sportive internazionali – soprattutto nel calcio ma non soltanto – la loro azione anti-russa e anti-cinese. Quanto accaduto con il Fifa-gate non era un episodio isolato. Quindi ricordare agli europei occidentali, particolarmente attenti alle vicende sportive, che i russi non sono “buoni” e che non possono essere considerati “vittime” nell’attuale contesa geopolitica. Il messaggio è specialmente rivolto a quei paesi, tra cui l’Italia, inclini a porre Russia e Stati Uniti su di un equivalente piano morale. Infine con questa mossa gli apparati federali intendono annunciare al possibile futuro presidente Trump che, a dispetto di qualsiasi sua intenzione, l’attuale atteggiamento ostile nei confronti della Russia è destinato a proseguire. Ne va dell’interesse nazionale statunitense.
E’ vero che i Giochi nel Caucaso, a Sochi, per la presidenza di Putin hanno rappresentato un passaggio importante di rilegittimazione, sia interna, nel rapporto cogli oligarchi, e coll’opinione pubblica, dopo le polemiche sulla sua rielezione, ma ancor più esterna dopo la guerra civile scoppiata in Ucraina, proprio sul nodo di quale rapporto tenere con la Russia, proprio negli stessi giorni delle Olimpiadi di Sochi. Sul punto, si segnala il fascicolo “Grandi giochi nel Caucaso”, il numero di Limes sulle Olimpiadi di Sochi del 2014. Ma di qui a dire che l’interesse del potere politico russo ad una affermazione degli atleti russi abbia portato ad una decisione politica di utilizzare su larga scala le sostanze dopanti c’è tutto lo spazio che passa tra una supposizione e la sua dimostrazione
Il 10 novembre 2015, come doping di Stato si è presentato un vecchio fantasma che sembrava svanito. Invece l'accusa lanciata dalla Wada alla Russia e fa riemergere una vera e propria pratica di cui, dagli Anni Sessanta, furono accusati i Paesi dell'Est, che lo avrebbero fatto assumere ai propri atleti di vertice, usando lo sport con le strabilianti vittorie degli atleti per dimostrare la superiorità del proprio sistema politico e sociale. A parte illazioni ed alcuni casi scoperti, in Romania, ad una verità giudiziaria sui fatti si è giunti solo per quello che riguarda la Ddr il cui sistema fu portato ai massimi livelli, con il cosiddetto "Piano di Stato 14.25". Un'organizzazione ferrea e con il doping vennero alterati i risultati delle Olimpiadi. Gli effetti devastanti sugli atleti I massicci aiuti farmacologici ebbero però gravi effetti sulla vita di decine di uomini e donne che confessarono le devastanti conseguenze fisiche su se stessi o i loro figli. Dopo la caduta del Muro, plurimedagliati del nuoto o di altri sport rivelarono il bilancio vero, quello fatto di tumori, problemi di sterilità, aborti, devastazioni psicologiche. C'è anche chi alla fine cambio sesso: alle ragazzine venivano dati talmente tanti steroridi che alla fine si ritrovarono imprigionate in corpi da uomini. Heidi Krieger, campionessa europea nel lancio del peso a furia di ormoni, divenne Andreas a fine carriera. L'arma segreta del doping Fu Manfred Ewald, maggior dirigente sportivo del Paese, condannato nel 2000 per le sue responsabilità, a ideare negli anni '60 l'organizzazione del sistema tendente a dimostrare la superiorità di una nazione e il trionfo della metodologia germanica. Dall'atletica al nuoto, dalla ginnastica al ciclismo, in piena guerra fredda, la Ddr trionfava in tutte le gare individuali nelle principali manifestazioni, con un bilancio impressionante: 160 medaglie d'oro alle Olimpiadi e 3.500 titoli internazionali tra il 1961 e l'87. In allenamento si faceva largo uso di steroridi e ormoni La platea era vastissima, si parla di oltre 10mila atleti arrivati alle scuole di Sport di Lipsia e Dresda, gli istituti statali dove ci si nutriva di allenamenti ma soprattutto di steroidi e ormoni: "Ci allenavamo sino allo stremo, poi ci imbottivamo di pillole blu", avrebbero confessato poi decine di campioni di fronte a un tribunale incaricato di giudicare gli anni del "doping di Stato". Altro caso si manifestò in Cecoslovacchia A quanto emerso, l'80% degli atleti cechi ai mondiali di atletica leggera '83 a Helsinki avrebbe fatto uso di sostanze dopanti. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Il-doping-di-stato-quelle-pillole-blu-che-resero-gli-atleti-della-Germania-Est-degli-olimpionici-58bbc5ce-7e5a-4fe6-a2ff-d6bd0c0bbe9f.html.
Ma mai lo scandalo del doping ha potuto essere addebitato per via giudiziaria al sistema sportivo dell’URSS, i cui magnifici risultati nello sport di vertici, al di là degli aiuti farmacologici, si basavano senz’altro su una diffusione pianificata della pratica sportiva in tutte le scuole della cd. Patria del socialismo, secondo un piano di azione già iniziato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e che sfruttava anche le differenti attitudini, e culture, presenti nelle centinaia di nazionalità che costituivano quello Stato, con una programmazione statale, basata anche sull’appartenenza ai corpi militari, delle atlete e degli atleti di vertice.
Fletus vocis si sono sollevati, in Romania, per giustificare, anche attraverso il doping, gli straordinari successi della squadra di ginnastica femminile, capitanata da Nadia Comaneci, o nel calcio, nel quale la Steaua Bucarest vinse una delle ultime edizioni della Coppa dei Campioni, ma poi Béla Károlyi, il capo allenatore ginnico rumeno, scopritore di Nadia, chiese asilo politico negli USA e lì divenne, di fatto il primo costruttore della squadra di ginnastica femminile USA, che oggi domina il mondo. Ed in ogni caso a nessuna conclusione provata si è arrivati, per una polemica che è arrivata a lambire le imprese della straordinaria Iolanda Balaș, campionessa dell’alto a Roma 1960, ma più sulla base di una damnatio memoriae del passato socialista, che su dati certi. Così come le autorità sportive e politiche della Germania riunificata sotto l’egida totalmente occidentale si sono guardate bene dal chiedere l’annullamento dei risultati sportivi, e dei record conseguiti dalle persone che gareggiavano sotto la bandiera della DDR, anzi la DDR è stata evocata come modello di pianificazione nella scoperta dei giovani talenti, ad es. nel calcio, la cui organizzazione, da parte del ramificatissimo sistema della Federcalcio tedesca, è stata mutuata nella ripresa di un lavoro di massa dopo le relative sconfitte degli anni dal 1992 al 2000, facendo anche i conti con l’esplosione della multietnicità nella presenza, come nuovi cittadini tedeschi di profughi e migranti dai vari Sud del mondo, e della loro prole, i cui virgulti sportivi oggi, come per Boateng, che ha un fratello ghanese, sono perni della Nationalmanschaft di calcio, e non solo, si pensi ad Holzdeppe, campione mondiale del salto con l’asta 2013.
Ma a questo punto occorre porsi una domanda: ma il mondo dello sport e il Cio possono proprio dichiararsi al di sopra di ogni sospetto? Le accuse contro la Russia sono gravi e fondate ma in questa corsa alla manomissione dei risultati sportivi attraverso l’uso di farmaci Mosca in questi ultimi trent’anni è stata sola o ben accompagnata? Ecco perché pensiamo di fare cosa gradita riproponendo un articolo che abbiamo pubblicato sulla rivista “L’articolo1” quando lo scandalo esplose coinvolgendo solo l’Atletica. A parte l’ampiezza del caso, nei termini generali nulla è sostanzialmente cambiato:
Ha fatto molta sensazione, tempo fa, la proposta della Federazione Britannica di atletica leggera- successivamente fatta propria anche dalla Federazione Europea – di azzerare tutti i record, in modo da ripartire da zero. Ciò in seguito all’ultimo scandalo doping che ha sconvolto quella che una volta veniva chiamata la “regina di tutti gli sport”, e che oggi sembra totalmente priva di ogni credibilità, rubando il posto – in questo poco invidiabile ruolo – al ciclismo.
Prima di affrontare nel dettaglio i fatti, è meglio ricordare che, puntualmente, quando esplode un caso di doping nascono sempre provocazioni che fanno discutere e che poi finiscono tranquillamente nel nulla. Come quando, nel 2006, il Financial Times propose di organizzare Olimpiadi diversificate: una per dopati e un’altra per non dopati. O come – sempre più spesso – qualcuno lancia l’idea di “doping libero”, cioè di una vera e propria liberalizzazione dei farmaci solo per i professionisti e sotto controllo medico (con una contraddizione che la dice lunga sulla possibilità che questa idea possa essere realizzata: se parliamo di liberalizzazione non possiamo in contemporanea prevedere che essa sia sotto controllo…).
Insomma, come sempre, il doping divide e fa discutere, probabilmente perché viene percepito nell’immaginario collettivo come un vero e proprio tradimento del concetto stesso di sport. E il doping, oltre a rappresentare un pericolo per la salute di chi ne fa uso, viene considerato eticamente scorretto. Basta ricordare il concetto base dello sport, il cosiddetto “fair play”.
Azzerare tutti i record – ma vedrete che non se ne farà niente – avrebbe un significato devastante, metterebbe tutti davanti alla realtà: lo sport di oggi è purtroppo dopato in massima parte, e c’è bisogno di tornare indietro. Ma l’atletica non coglierà quest’occasione perché in passato ne ha avuto già la possibilità e l’ha sprecata malamente. Parliamo dei tempi della Guerra Fredda e del cosiddetto “doping di Stato” attuato nei Paesi aderenti al Patto di Varsavia, Germania Est e Unione Sovietica in primo luogo. C’erano le prove, le confessioni, le sentenze dei tribunali. Non se ne fece niente, non un record venne revocato, nessuna medaglia fu ritirata. All’epoca scrivemmo: può un mondo incapace di condannare il passato avere un grande futuro? La risposta sta in quel che è accaduto ai giorni nostri: no, non può. E, guarda caso, si riparte dalle accuse (provate) di “doping di Stato” praticato attualmente in Russia, oggi – almeno ufficialmente – democratica.
E’ giunto allora il momento di prendere in esame l’ultimo scandalo, tirato fuori dalla tv tedesca Ard e dal Sunday Times, che hanno attinto a documentazioni ufficiali (soprattutto provenienti dalla Procura della Repubblica di Bolzano, che ha indagato sulla positività del campione olimpico altoatesino Alex Schwazer). E’ intervenuta la Wada, l’Agenzia mondiale antidoping, che ha nominato una commissione d’inchiesta. Commissione che ha minacciato fuoco e fiamme, provocando soprattutto mediaticamente un vero e proprio terremoto, ma che poi ha molto frenato alla fine, evidentemente intimorita dalle conseguenze pesantissime che il suo lavoro avrebbe provocato.
Queste le conclusioni, comunque agghiaccianti, della Wada, che hanno tra l’altro portato all’espulsione della Russia da tutte le competizioni internazionali (comprese le prossime Olimpiadi di Rio). La commissione d’inchiesta scrive di “una gestione parallela del sistema antidoping, messa in piedi dall’ex presidente della Iaaf (la Federazione Internazionale di atletica; ndr) Lamine Diack, e gestita da una cricca di dirigenti e consulenti della Iaaf che è andata oltre la corruzione sportiva”. In pratica, il vertice della Iaaf è stata accusata di aver coperto (in cambio di mazzette) casi di doping riguardanti soprattutto atleti russi. Sono state provate anche connivenze col mondo politico russo: sicuramente coinvolto il ministro dello sport, Vitaly Mutko. In alcune intercettazioni (ordinate dall’Interpol, che ha emesso anche mandati di cattura internazionali) è emerso un ruolo non marginale persino di Vladimir Putin.
Sul più bello, però, la Wada si è fermata: ha “salvato” l’attuale presidente della Iaaf, Sebastian Coe (per sette anni vicepresidente di Lamine Diack…) e soprattutto ha considerato “non attendibili” gli oltre 1200 casi anomali riscontrati nei passaporti biologici degli atleti (il passaporto biologico riporta i dati ematici di ogni singolo atleta, in caso di variazioni sospette si interviene con un’indagine e si arriva alla squalifica). Secondo la Wada all’epoca dei fatti il metodo di rilevamento non era ancora scientificamente validato. Inutile dire che centinaia di atleti e moltissime federazioni (tra le più implicate c’era il Kenya, terra dove nascono i migliori mezzofondisti e fondisti del mondo) hanno tirato un lungo sospiro di sollievo. Insomma, un vero e proprio colpo di spugna, con uno scandalo che è stato circoscritto alla sola Russia e a un gruppo di dirigenti disonesti, senza intaccare il resto dell’ambiente. L’epilogo della vicenda ricorda molto da vicino quanto avvenuto tra gli anni ‘70 e ‘90, e che ha visto protagonisti Paesi comunisti (la Germania Est), ma anche Paesi ufficialmente democratici, come la Germania Ovest (questo era il modo all’epoca di differenziare le due Germanie, divise dal Muro di Berlino), nonché la nostra cara Italia.
I processi si sono regolarmente conclusi col pieno riconoscimento che gli atleti furono vittime del cosiddetto “doping di Stato”, il risarcimento danni ha avuto – pur nella sua esiguità – un valore fortemente simbolico. In uno dei procedimenti, conclusosi nel dicembre del 2006, 167 ex atleti hanno ricevuto la somma di 9.250 euro a testa.
Avevano citato in giudizio l’industria farmaceutica Jenapharm – oggi inglobata nella Schering – che era stato il vero e proprio laboratorio del doping di Stato, producendo tra l’altro l’Oral-Turinabol, steroide anabolizzante che aveva esclusivamente finalità di potenziamento muscolare. Tra gli ex atleti si sono registrate un’infinità di malattie riconducibili all’uso dei farmaci: problemi cardiaci, cisti ovariche, cancro ai testicoli e al seno, depressione, disturbi alimentari, infertilità. Dalle testimonianze è emerso che gli atleti erano inconsapevoli o non avevano possibilità di scelta.
Detto che, pur non potendo mettere in pratica un vero e proprio doping di Stato, anche nei Paesi della cosiddetta Europa liberal-democratica fu condotto un piano di doping generalizzato (a cura delle Federazioni sportive se non del Comitato Olimpico nazionale, come è successo in Italia), va analizzato quanto avvenne in Germania dopo la riunificazione.
Lo racconta in modo mirabile Barrie Houlihan, nel suo Morire per vincere: “Alla fine del 1990, in seguito ad una serie di rivelazioni molto pubblicizzate e dannose a proposito dei casi di doping nell’ex Germania orientale, ma anche nella Germania occidentale, venne costituita una commissione indipendente per il doping, sostenuta dal governo e dal comitato olimpico nazionale. Se la commissione scoprì le prove di una prassi estesa di doping nell’ex DDR e prove di una prassi meno estesa ma non meno importante nella Repubblica federale, le sue conclusioni furono messe a tacere.
Non illudiamoci che da noi le cose siano andate in modo diverso. Anzi – per dirla come venne intitolato un dossier curato dai parlamentari dei Verdi – l’Italia diventò una sorta di “Paese dell’Est” per quanto riguarda lo sport. Doping di Stato a tutti gli effetti, considerato che i migliori atleti a livello nazionale vennero “trattati” con eritropoietina ed altre sostanze vietate dall’equipe guidata dal professor Conconi. Presso l’Università di Ferrara (di cui Conconi divenne in seguito Rettore!) con i contributi del Coni (ente pubblico): più doping di Stato di così… Il prof. Conconi fu processato per frode sportiva a Ferrara (non era possibile contestargli il reato di doping perché una legge apposita ancora non esisteva, in Italia fu introdotta solo nel 2000). L’accusa era quella di aver somministrato sostanze vietate ad atleti italiani di vertice, col risultato di falsare i risultati di Giri d’Italia, Tour de France e Olimpiadi invernali (nel settore dello sci di fondo, con particolare riferimento ai Giochi del 1994 a Lillehammer). Nell’elenco degli atleti “trattati” troviamo il fior fiore dello sport italiano: da Marco Pantani a Francesco Moser, da Manuela Di Centa a Maurizio Damilano.
Il prof. Conconi e i suoi collaboratori se la cavarono con la formula della prescrizione, per cui non hanno mai pagato le colpe che pure erano state ampiamente dimostrate. Stessa sorte per gli atleti: la Procura antidoping del Coni, ricevuti gli atti, archiviò il caso perché anche dal punto di vista sportivo i reati erano ormai prescritti. Nel suo provvedimento d’archiviazione però la Procura antidoping del Coni raccomandò la massima attenzione: molti atleti – scriveva l’allora procuratore Verde, ex vicepresidente del Csm – hanno fatto carriera a livello tecnico e dirigenziale anche in campo internazionale. Bisognava vigilare sui loro comportamenti. La risposta che arrivò dall’autorità sportiva fu emblematica: a un anno da quel provvedimento d’archiviazione, una delle atlete presenti nell’elenco (Manuela Di Centa) fu nominata vicepresidente vicario del Coni dall’allora presidente Giovanni Petrucci. Decadde poco tempo dopo, perché nel frattempo divenne parlamentare (fu eletta con Forza Italia). Questo la dice lunga su come sia il mondo sportivo sia quello politico si comportano nei confronti di chi ha infranto le regole: dimenticano in fretta i peccati, sfruttano al massimo la popolarità dei protagonisti.
Ai giorni nostri un’altra rivelazione ha fatto clamore: stavolta ad essere coinvolta è stata la Cina. Una ex mezzofondista di enorme valore, Wang Junxia (fu campionessa olimpica ed è tutt’ora primatista mondiale dei 10.000 metri), ha scritto: “Vent’anni fa mi sono dopata, tutte noi allenate da Ma Junren siamo state costrette a farlo”. Uno dei problemi è che la cinese scrisse questa lettera nel 1995, e solo adesso il mondo ne è venuto a conoscenza. Il secondo è che, finalmente, a distanza di tanti anni, emerge la verità “ufficiale” (quella “ufficiosa” la conoscevamo tutti, ma non ne avevamo le prove) sugli incredibili risultati ottenuti da quella che veniva definita “l’armata di Ma Junren”. Una serie di mezzofondiste cinesi, nate dal nulla, che improvvisamente cominciarono a dominare ogni competizione, abbattendo tutti i record. Il suo profeta, chiacchieratissimo, se la cavò con una battuta che fece epoca: “Il nostro doping? Tanto allenamento e sangue di tartaruga”.
Tornando al tema iniziale: sarebbe giusto cancellare i record dell’atletica? Sono essi credibili o meno? Possiamo rispondervi solo in un modo: oggi sono ancora primati del mondo, perché nessuno è mai riuscito a far meglio, molti risultati ottenuti da atleti dell’Est Europa che hanno riconosciuto le loro colpe, così come resiste il record di Wang Junxia e – nella velocità femminile – sono imbattuti i tempi ottenuti nel 1988 dalla statunitense Florence Griffith, mai trovata positiva, che si ritirò all’improvviso proprio nell’88, quando vennero istituiti i controlli a sorpresa, e che morì per una misteriosa malattia (crisi epilettica? infarto?) quando aveva solo 38 anni.
A questo punto c’è un attimo bisogno di andare oltre, per dare uno sguardo a quanto è capitato nella società. L’esempio delle sport di vertice è stato devastante. Oggi nel mondo sono tantissimi i ragazzi, nonché gli atleti non professionisti di ogni età, che ricorrono a sostanze dopanti per migliorare il loro fisico (soprattutto i frequentatori di palestre). Il traffico delle sostanze dopanti è enorme e muove cifre elevatissime. Oggi tutto è il mano alla criminalità organizzata, a livello nazionale e internazionale. Sono gli stessi narcotrafficanti a vendere prodotti dopanti: la massa che ne fa uso è smisurata e gli affari sono giganteschi. Lo sport ha dato un pessimo esempio anche agli altri ambienti, ed ormai il doping comincia a diffondersi anche fuori dall’ambito sportivo. Oggi (per scelta volontaria) c’è un enorme uso di stimolanti tra i professori e gli studenti, mentre (a causa di chi approfitta della gente particolarmente bisognosa) c’è un grande abuso di farmaci vietati tra le ragazze costrette a prostituirsi e tra gli extracomunitari impiegati nella raccolta dei pomodori e in genere nei lavori più faticosi.
E’ da Berlino 1936 che vi è la nascita delle “Olimpiadi politiche”, cioè dell’utilizzazione delle vittorie sportive, non solo olimpiche, come fonte di legittimazione di una sistema politico e di affermazione di esso rispetto agli altri, così come sempre presente è oggi, nel movimento sportivo, e nel tifo che lo circonda, una deviazione nazionalistica del tifo per i propri beniamini. E citiamo un caso da noi ascoltato in diretta:
alle 17:58, 21/8/2016 la commentatrice Rai della ginnastica ritmica poiché era in testa la Spagna fino ad allora, auspica che comunque sia in testa una nazione dell'Europa dell'Ovest, non dell'Est! Questa è una "competente" allenatrice di ritmica, non è il commentatore Rai, comunque, dopo la Russia, ottime esibizioni delle italiane sulla Danza del fauno, in una registrazione eseguita da Von Karajan, poi Ucraina, e Bielorussia, prima quindi la Russia, poi la Spagna, indi Italia, quarta Bielorussia. Ed ora la Bulgaria, dalle alterne prove. Lo sport e la cultura se ne infischiano delle rivalità pregiudiziali. Ed a conferma di cio': bella prova Bulgaria dopo l'errore del Giappone, classifica finale dunque, alla faccia della commentatrice "tecnica" : prima Russia, seconda Bulgaria, terza Spagna, quarta Italia, quinta Bielorussia; secondo me, dietro la retorica insopportabile dell'Unione Europea, i venti di guerra fredda sconvolgono ancora le menti e danno alibi ideologico a proprie incapacità, che assurdo dire ciò da parte di una commentatrice tecnica.
Dalla Russia vengono spesi per la lotta contro il doping da 500 a 1000 milioni di rubli all'anno, secondo Gazeta. Ru con ricerche, commissionate dallo stesso Ministero dello sport russo, nell’autunno 2015,in appalti vinti dal laboratorio di Mosca ( quello il cui accreditamento è stato sospeso, da parte della Wada) sull’uso di gonadotropina corionica – un farmaco ormone che è isolato dalle urine di donne in gravidanza ed è ampiamente usato per la prevenzione e il trattamento dell'infertilità, stimola l'ovulazione nelle femmine e la spermatogenesi nei maschi. Tuttavia, gli atleti lo usano per migliorare le loro prestazioni fisiche. Ad esempio, culturisti e sollevatori di pesi lo usano come un agente anabolizzante per un incremento di massa muscolare.
Un altro contratto è stato dedicata allo sviluppo di metodi per la determinazione della eritropoiesi stimolatore prossima generazione EPO-Fc nel sangue. L’ eritropoiesi è anche un farmaco ormonale, che aumenta il numero di globuli rossi e di emoglobina attiva biosintesi nelle cellule. Questi farmaci sono prescritti per i neonati prematuri e le persone che soffrono di malattie croniche come l'epatite. E nello sport è spesso usato come parte della preparazione per migliorare la resistenza del corpo, col nome Epovitanom. Epovitanom è utilizzata nuotatori, biathleti e atleti, tanto più per trovare questo farmaco nel sangue è estremamente difficile.
Secondo i documenti, il lavoro doveva essere effettuato entro tre mesi dalla data di un contratto di stato, vale a dire a ottobre di quest'anno. I metodi dovevano essere sviluppati in conformità con la norma internazionale ISO 17025 – è uno standard di gestione della qualità per i laboratori e le organizzazioni di test- "La tecnica sviluppata utilizzando approcci analitici moderni deve avere una elevata sensibilità, oltre ad essere selettiva e specifica" – Secondo i risultati del lavoro svolto a Mosca Antidoping Centro deve fornire non meno di una pubblicazione inclusa nel russo Science Citation Index (RISC).
Il Ministero dello Sport ha confermato che l'inchiesta era stata ordinata, nell’autunno 2015 notando che l'agenzia è un ente autorizzato per la lotta al doping in Russia, assieme all’altro Ente, la RUSADA, che è la componente russa della WADA
Tuttavia, tutto questo non ha salvato la squadra russa dallo scandalo scoppiato alla vigilia dei Giochi Olimpici di Rio: la WADA afferma è stato durante la spesa di milioni di dollari di iniezioni finanziarie nella lotta contro il doping in Russia che il sistema statale è stato creato in parallelo, permettendo test antidoping sostitutivi atleti russi.
Secondo il blogger russo Wasserman:
“la World Anti-Doping Agency, che è stata istituita nel 1999, dopo i numerosi scandali per doping nel ciclismo di vertice, nell’ ambito del Comitato Olimpico Internazionale, ma ben presto ha raggiunto l'indipendenza de facto; molti esperti la ritengono lo strumento del mondo anglosassone per prendere il controllo del movimento sportivo, tanto più in una fase in cui il popolo britannico ha detto ADDIO all’Unione Europea
Infatti, lo stesso Presidente del Cio, di fronte alle accuse di Mc Laren, ma anche alla sua indisponibilità a mostrargli le prove raccolte nella sua interezza, presenta lo scandalo come fondamento per l'inevitabile – subito dopo i Giochi Olimpici – revisione di tutto il sistema globale di anti-doping, tra cui una completa riorganizzazione della WADA. Dopo tutto, i valorosi combattenti sono riusciti a rompere i principi fondamentali della giustizia, cioè, mettere a repentaglio non solo lo sport, ma anche l'intera civiltà europea.
In un primo momento, era ancora possibile credere che in effetti l’inchiesta ha rivelato una cospirazione al più alto livello contro l'onore sportivo. Ma poi è arrivata la relazione della commissione indipendente guidata da McLaren, dove ancora una volta non c’ è un fatto che può resistere anche il controllo più indulgente sulle regole giuridiche comuni.
Tutto si basa sulla storia di Rodchenkov, l'ex capo del laboratorio antidoping di Mosca, sospeso dal servizio per aver tentato di nascondere le tracce di uso di farmaci vietati in atleti russi. Per non parlare del fatto che sua sorella ha ricevuto una sospensione condizionale della pena per il traffico di doping. Lei è stata condannata, ma senza responsabilità penali, avendo ricevuto un attestato di disturbo mentale – che è, nel quadro delle stesse tradizioni giuridiche paneuropee, elemento che difficilmente può rendere un testimone attendibile (non per niente che la sua storia, un paio di settimane dopo la pubblicazione, e’ stata rimossa dal rapporto).
C’è menzione di graffi sospetti su diversi contenitori contenenti i campioni di urina per l’esame anti doping degli atleti russi – ma non c'è alcun tentativo di verificare la presenza degli stessi con gli altri graffi sul contenuto interno delle provette, delle quali la ditta svizzera che le ha prodotte, la Berlinger Special AG, contesta, invece, che esse siano apribili e richiudibili, così come, nel rapporto Mc Laren, sarebbe stato fatto dagli agenti dei servizi segreti russi. In breve, se un avvocato esperto McLaren ha presentato la sua relazione così, non c'è da stupirsi : ha cercato di non fare formulazioni giuridicamente rilevanti, per non essere egli citato in giudizio per diffamazione e / o minare la reputazione aziendale di chi ha prodotto le provette. Con tutto il rispetto, pensiamo: non si tratta solo di noi, ma nel moderno ordine mondiale. Il nostro paese e il nostro popolo per molti gravi motivi di civiltà è un contrappeso naturale per chiunque voglia assumere il dominio del mondo. Ognuno di loro è alla fine costretto a gettare contro tutti noi le loro risorse, perché vincere può generosamente compensare eventuali perdite, e la perdita inevitabilmente trasformarsi in una perdita di capacità esistente. Questa non sarà la sua ultima battaglia”
Come si vede, espunta dal tema della costruzione del socialismo, non presente nel dibattito politico prevalente della Federazione russa di oggi, la questione diventa quella di una contrapposizione geopolitica ed il tentativo di criminalizzare un intero movimento sportivo assume inquietanti coloriture di scontro globale, come un processo ad un intero Paese, che comunque si percepisce come una delle potenze di questa fase del disordine mondiale da cercare di raddrizzare.
Tornando alla società produttrice delle provette:
La Berlinger Special AG ha messo in dubbio l’obiettività del rapporto della WADA, in cui si accusa la Russia di manomissione dei campioni degli atleti che hanno partecipato alle olimpiadi invernali di Sochi. Nella dichiarazione della società si evidenzia che aprire i contenitori dei test antidoping è impossibile senza lasciare danni evidenti. Ciò è confermato dai test che svolti dalla stessa compagnia e da istituti indipendenti svizzeri. La compagnia sconosce i metodi utilizzati dagli esperti che hanno redatto il rapporto. La Berlinger Special AG ha sottolineato che i contenitori da essa prodotti hanno un massimo grado di protezione e sono usate in tutto il mondo.
Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20160719/3159913/doping-wada-berlinger.html.
Credo che queste affermazioni, i risultati di questi test, l’ascolto del personale russo presente nel Centro antidoping russo, che è stato istituito nel 1976 per la preparazione e lo svolgimento delle Olimpiadi estive del 1980 a Mosca, è necessario onde arrivare a decisione eque, correttamente provate.
E vediamo cosa ha dichiarato il Ministro Mutko:
Il Ministero dello Sport, che supervisiona l'intero combattimento russo contro il doping. Nel frattempo, nel 2015, quando ha iniziato a divampare lo scandalo doping che circonda gli atleti russi, il ministro dello sport ha detto all'agenzia "Interfax" che lo sport russo è il sistema più moderno di controlli antidoping, che ha speso un sacco di soldi.
"Sarebbe ingenuo e ridicolo credere che stiamo investendo miliardi di rubli nella lotta contro il doping, per coprire ora qualche atleta che ci porterà una medaglia in più. Questo è stupido. Siamo stati in tutti i documenti strategici hanno deciso che abbiamo bisogno di uno sport pulito, non una vittoria a tutti i costi, "- ha detto poi, notando che la Russia ha speso più di 1 miliardo di rubli annui per la creazione del centro anti-doping e continua a spendere di più per il suo contenuto. Per questi motivi, sosteniamo le iniziative contrarie all’esclusione della Russia in toto dalle Paralimpiadi: non è un gesto di condivisione, questo, ma un gesto che divide lo sport, e ciò che metaforicamente può rappresentare, l’unità nella diversità del genere umano. Ne daremo conto prossimamente.
E, pensando che i più grandi scandali di doping degli ultimi venti anni hanno riguardato campioni soprattutto del ciclismo occidentale, dallo spagnolo Contador, al potentissimo Usa Armstrong, cui sono state revocate tutte le vittorie al Tour de France, ci viene di concludere con considerazioni più generali.
Sembra, volendo per un attimo spostare l’attenzione dalla vicenda sportiva al “segno dei tempi” che contiene, sembra per davvero che nel mondo contemporaneo Infine l'essere si offre solamente come oggetto di manipolazione, ovvero nella luce della Volontà di potenza, che a Heidegger pare il culmine della metafisica, ed il momento in cui essa si risolve nella tecnica, in questo caso soprattutto farmaceutica, non usata per curare, ma per forzare ed alterare i limiti umani.
Nietzsche viene letto da Heidegger come colui che conclude la metafisica, mettendone a nudo l'essenza nichilistica. Anche sul piano della società la tecnica costituisce l'ultimo atto della metafisica, quando oramai il mondo, nella sua totalità, si identifica con ciò che può essere conosciuto, dominato ed utilizzato. Tale destino è nichilistico, ovvero si apre un'epoca dove “dell'essere non ne è più niente” (come notoriamente afferma Heidegger): si è dimenticato non solo il senso dell'essere, ma persino che tale senso è andato perduto; l'umanità occidentale ha dimenticato non solo la risposta, ma anche la domanda. Il dominio sull'ente si rivela come fine a se stesso, sprovvisto di un orizzonte o un senso più ampio entro cui essere iscritto. Nella successiva Lettera sull'umanesimo (1947) Heidegger lega l'affermarsi della tecnica a quello del dominio del soggetto, il cui senso recondito è la volontà di controllo totale sull'ente.
In Severino queste istanze si legano strettamente al tema della tecnica. Nel recente saggio sulla tecnica Emanuele Severino scrive:
«La storia dell'Occidente è il progressivo impadronirsi delle cose, cioè il progressivo approfittare della loro disponibilità assoluta e della loro infinita oscillazione tra l'essere e il niente… in esso resta pertanto celebrato il trionfo della metafisica”
Ecco è forse questa volontà di potenza, sganciata persino dalla materialità dei corpi umani e femminini, oltre che dal doveroso rispetto delle regole sportive, la vera, inquietante tematica, che unisce un fenomeno modernissimo, come il doping ad inquietanti “assoluti” nichilistici, che possono essere revocati in dubbio solo da una corretta, materialistica critica del tempo presente, tesa non alla lotta tra Nazioni capitalistiche, ma alla coesione possibile di una umanità differenziata, che non produca il Nulla all’esito delle sue contese.
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