La determinata mobilitazione degli studenti e delle studentesse della biblioteca di discipline umanistiche (non una biblioteca qualsiasi, ma punto di ritrovo e aggregazione per tanti e tante) contro l’installazione di tornelli per permettere l’accesso alla struttura solo ai titolari del badge universitario, ha ampiamente fatto discutere l’opinione pubblica. In particolare dopo l’ingresso della celere che ha caricato e pestato a freddo gli studenti dentro la biblioteca ed i susseguenti scontri avvenuti nell’antistante via Zamboni, tra i media mainstream e sui social network è impazzata la polemica: tornello sì, tornello no.
Prima di entrare nel merito, è bene fare chiarezza: perché quei tornelli sono stati installati? E perché molti studenti e studentesse che frequentano il 36 di via Zamboni hanno fin da subito dichiarato la loro contrarietà a quel sistema di selezione e controllo dando vita, di fatto, ad un’assemblea semi-permanente all’interno della biblioteca stessa?
Andiamo con ordine: le istituzioni universitarie interpellate, inizialmente, si erano espresse in modo chiaro: i tornelli servono per ragioni di sicurezza. Una biblioteca che rimane aperta fino a mezzanotte e che sorge a pochi metri da piazza Verdi, luogo in cui la microcriminalità legata al consumo e all’abuso di sostanze stupefacenti è un fatto ormai conclamato, ha bisogno di “fare selezione” al suo ingresso. Peccato però che, durante uno dei (a dire il vero pochi) tavoli di confronto avuti con gli studenti, la prorettrice ed il responsabile delle biblioteche d’ateneo abbiano chiaramente smentito questa prima motivazione, dicendo che la sicurezza non c’entrava nulla, ma che i famigerati tornelli erano stati installati per migliorare il funzionamento della biblioteca ed in particolare del prestito universitario.
Dunque qual è il reale motivo per installare dei tornelli in una biblioteca pubblica che dovrebbe, teoricamente essere fruibile ed accessibile a chiunque?
Probabilmente, né l’uno, né l’altro. Se vogliamo capire il perché siano stati installati quei tornelli bisogna capire: 1) la specificità della biblioteca di via Zamboni 36, da sempre spazio non solo di studio ma di ritrovo, confronto e dialogo libero per tutti gli studenti e le studentesse che lo attraversano; 2) il processo di privatizzazione e classificazione delle università italiane, nel quale l’Unibo deve stare ai primi posti e, per starci, deve darsi determinati standard.
Vanno lette in quest’ottica molte delle scelte intraprese dall’Unibo negli ultimi anni. Ad esempio il forte investimento nella formazione di altissima qualità (è il caso dell’esclusiva Bologna Business School, dove una retta può arrivare a costare quasi 30 mila euro), il marcato accento posto alla retorica dell’autoimprenditorialità con giornate e corsi dedicati (dagli StartUp Day, alle collaborazioni con l’Opificio Golinelli ed altre aziende di alta formazione), sono solo alcuni esempi della forte “collaborazione” e compenetrazione di interessi che spesso attraversa Unibo ed aziende private in cerca di competenze qualificate ma ben inquadrate e a “prezzi competitivi”. I privati fanno investimenti strutturali per l’università (i 90 mila euro con cui sono stati pagati i tornelli pare vengano proprio da privati) e l’Alma Mater consegna loro neo-laureati pronti ad essere immessi nel tritacarne del moderno mondo del lavoro: precariato, sfruttamento, lavoro sottopagato o gratuito, in attesa della "ricompensa" di un lavoro vero, ovviamente previo assoggettamento alla "mission" aziendale e all'accettazione del individualismo estremo e dell'ordoliberismo come uniche vie da seguire.
Ci si chiederà: "ma questo che c'entra con l'installazione dei tornelli?"
Ed eccoci arrivati dunque alla questione fondamentale: in un mondo della formazione e dell’università sempre più aziendalizzato e privatizzato, sempre più finalizzato alla mera formazione di manodopera e non di sapere critico, un meccanismo di selezione ed irregimentazione quale l’installazione di barriere selettive, assume una certa importanza, anche simbolica: abituare studenti e studentesse, ancora prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, ad essere inquadrati e disciplinati, ad avere obbedienza, ordine ed efficienza come standard qualificanti del loro agire. Soprattutto serve a rendere ogni studente e studentessa un atomo individualizzato, un piccolo ingranaggio in formazione di una macchina ben oliata che mira a distruggere, nella coscienza di ognuno, ogni possibile forma di pensiero critico e di solidarietà tra simili.
Non centra nulla quindi il degrado di via Zamboni (che pure in questo provesso dovrà essere "ripulita"), lo spaccio, o la difesa di un certo "decoro", tanto decantato dai giornali in questi giorni. I tornelli non erano a protezione degli studenti buoni contro quelli cattivi, o dalle insidie di una "problematica" piazza Verdi. I tornelli erano a protezione di un modello di università esclusiva e sempre più escludente verso una certa fascia di popolazione.
In conclusione, non stiamo parlando solo di quei tornelli imposti dall’università agli studenti e alle studentesse di quella biblioteca: stiamo parlando di modi contrapposti ed inconciliabili di vedere il mondo, di intendere il sapere e la formazione, di concepire il valore del lavoro, delle capacità e delle conoscenze individuali di ognuno di noi.
Se non si capisce questo, non si può prendere posizione, rischiando, come disse già qualcuno prima di noi, di confondere il fronte con la barricata, e finire per diventare la barricata stessa.
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Claudio Crupi
Tempo fa c'erano i "tornelli umani" che organizzavano ronde proletarie contro il degrado, che allora era lo spaccio di droga pesante e il fascismo militante al servizio dello Stato. Oggi il contesto territoriale è completamente ignorato, peggio usato in maniera impropria per garantire una sopravvivenza di un opposizione generica e fintamente idealista, in quanto le idee sono scarse. Questo per dire che che siamo fuori luogo fisicamente e intellettualmente, discutiamo su argomenti che sono fuori da qualsiasi progetto culturale di miglioramento del vivere quotidiano e che invece di unire le persone le costringono a contrapporsi su falsi e insignificanti problemi elevati a questioni fondamentali. Perchè non siamo in grado di rendere piazza Verdi un luogo sereno e vivibile per tutti? Sempre colpa degli altri? Come si combatte il degrado culturale imposto dal sistema?