Con l’avvicinarsi del 1 ottobre, giorno scelto per la consultazione referendaria sull’indipendenza della Catalogna, si vanno concretizzando violentemente le minacce del governo Rajoy nei confronti del composito movimento indipendentista.
In nome del “diritto” – evidentemente quello di neutralizzare la democrazia nel caso si manifesti in maniera contraria agli interessi del “mondo di sopra” – ieri sono scattate le manette per diversi membri e funzionari della Generalitat. E’ solo l’ultimo episodio dopo il sequestro di materiale pro-referendum, l’invio di un’ordine di comparizione in tribunale per 712 sindaci accusati di favorire una consultazione illegale, l’ordine di bloccare in ogni formato, cartaceo o digitale, la propaganda referendaria, il commissariamento dei conti del governo regionale catalano e l’invio a Barcellona di 10mila tra agenti di polizia e militari.
La “democrazia spagnola” di mostra per quello che è sempre stata: diretta erede dello stato franchista, dal quale non si è mai smarcata realmente, mantenendo il suo impianto nazionalista e autoritario e i suoi apparati repressivi e ideologici. Il passaggio dalla dittatura alla monarchia parlamentare fu gestito dal regime fascista per garantire il dominio dell’oligarchia sotto altre forme dettate dalla necessità di integrare il paese nella Nato e nella Comunità Economica Europea.
Quella stessa Unione Europea che oggi volta le spalle alle richieste di libertà e di democrazia del popolo catalano, concedendo mano libera alla repressione di Madrid. Quel diritto all’autodeterminazione che l’Ue ha strumentalmente sponsorizzato quando si trattava di togliere di mezzo paesi non conformi da sfasciare e assorbire – il caso dell’ex Jugoslavia è eclatante – non sembra valere per Bruxelles all’interno dei propri confini. Al polo imperialista europeo non interessano né la democrazia né la libertà, soprattutto quando non sono in linea con i propri interessi strategici e se mettono a rischio la stabilità interna come nel caso della Catalogna. Una contraddizione non indifferente per quegli spezzoni liberali del movimento indipendentista catalano che si appellano proprio a Bruxelles ritenendo Ue una alternativa democratica all’autoritarismo spagnolo.
Nel momento in cui gli viene impedito di esprimersi democraticamente sul proprio futuro non possiamo che schierarci a fianco del popolo catalano. All’interno del fronte indipendentista esistono componenti molto diverse per orientamento politico e ideologico; non potrebbe essere altrimenti visto che siamo di fronte a un vasto movimento popolare e non dell’espressione delle rivendicazioni di un solo partito o di una sola classe sociale. Ma è impossibile negare l’importanza che la lotta per l’emancipazione e la liberazione sociale, condotta da consistenti e radicati settori politici e sociali di sinistra e di classe, sta avendo nella concretizzazione del Referendum del 1 ottobre e in generale nel processo indipendentista.
Nell’attuale contesto continentale, la rivendicazione d’indipendenza del popolo catalano si pone in oggettiva rottura non solo con le classi dirigenti e l’oligarchia spagnola ma anche con la stessa Unione Europea. Un processo di rottura politica e sociale in Catalogna rafforza oggi le ipotesi di opposizione e rottura dei popoli europei nei confronti dei propri governi e della gabbia dell’Unione Europea, il che non può lasciarci indifferenti.
Nei prossimi giorni parteciperemo a diversi momenti di dibattito e di mobilitazione in solidarietà con la lotta del popolo catalano e il 1 ottobre saremo a Barcellona a fianco dei compagni e delle organizzazioni di classe che animano il movimento per l’emancipazione sociale e nazionale della Catalogna.
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