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Catalogna: il nervo scoperto della Ue e delle (ex) sinistre

Stamane ho ascoltato con estremo interesse un’intervista al ministro degli esteri del governo autonomo #catalano, Raül Romeva, che ha rafforzato in me la convinzione che il movimento indipendentista catalano stia mettendo a nudo, a suo modo, le gravi incongruenze della costruzione europea.

Innanzitutto il ministro Catalano ha sostenuto che la loro rivendicazione principale nei confronti di Madrid non è mai stata quella di staccarsi dalla Spagna ma, piuttosto, quella di ottenere una maggiore democrazia nei rapporti tra autonomia catalana e stato centrale e che, se si è arrivati al punto di indire un referendum per l’indipendenza come atto politico estremo, ciò è da ascrivere totalmente all’atteggiamento autoritario ed ipercentralista avuto, fin qui, dalla stato centrale e dal governo di Rajoi.

Inoltre, Romeva ha contestato duramente il presunto carattere incostituzionale del referendum dichiarato tale da una corte costituzionale che, a suo dire, ha fornito un’interpretazione della costituzione spagnola totalmente appiattita sul parere dell’esecutivo centrale spagnolo e sulle sue volontà.

Infine, ha spiegato che se, da un lato la UE si relaziona direttamente con le regioni per finanziare progetti di sviluppo dei territori, dall’altro, lo stato centrale spagnolo ne ostacola in tutti i modi l’attuazione.

A quelle del ministro catalano Romeva, ad integrazione, aggiungerei le seguenti osservazioni.

La UE si regge sugli attuali stati nazionali che continuano ad esistere ma che hanno ceduto un pezzo enorme della propria sovranità alla UE stessa la quale sta imponendo ai medesimi di eseguire le draconiane politiche di austerity e di applicare i mortali vincoli di bilancio, senza alcun margine reale di trattativa. Sicchè, l’attuale deriva autoritaria, assai evidente, di recente, in Francia, Spagna e Italia, pare non essere altro che la diretta conseguenza di questo quadro di relazioni complicato e contraddittorio, in cui le popolazioni, però, non sembrano più disposte a subire, come un tempo, le folli e suicide politiche imposte dalla UE ma alle quali si risponde con lo stato di polizia e con la repressione. Un’Europa, sempre più sorda e lontana dalla vita delle persone, ha affidato, dunque, agli stati nazionali compiti di mera esecuzione delle proprie direttive e di repressione poliziesca del malcontento popolare che si sta esprimendo, da alcuni anni in modi diversi, per ultimo, quello catalano.

In questo senso non andrebbe mai dimenticato che si tratta della stessa Europa che ha consegnato, un dì, l’Ucraina ad un manipolo di nazisti che, come primo atto di riconoscenza, ha dato fuoco alla camera del lavoro di Odessa bruciando vivi i lavoratori che vi erano dentro.

Dunque, le tanto decantate autonomie regionali, che andavano tanto in voga da noi non molto tempo fa e che dovevano portare più democrazia, più sussidiarietà e relazione produttiva con i territori, sono state schiacciate da questo ruolo totalmente subalterno degli stati nazionali al combinato disposto delle direttive della UE e dell’appartenenza dei suoi paesi alla NATO.

Appare sempre più evidente come queste due condizioni impediscano qualsiasi possibilità di sviluppo di aree politiche, economiche e di scambio libere ed indipendenti quale unica via di uscita da una crisi che viene usata dalle classi dirigenti europee e nazionale esclusivamente come clava contro il welfare ed i diritti dei lavoratori oltre che per privatizzare anche l’aria che che respiriamo.

Ciò ha evidenti conseguenze sia direttamente osservabili sia sul piano dello sviluppo locale (come succede in Italia nel caso del TAV e del TAP) che su quello dei sistemi di relazioni interregionali ed internazionali.

E’ in questo quadro che si sviluppano e crescono, negli ultimi anni, le tradizionali rivendicazioni del movimento indipendenza catalano caratterizzato da una fortissima componente identitaria per storia, lingua e cultura ma anche da una spiccata connotazione socialista. Quel movimento chiede, da tempo, maggiore democrazia ed indipendenza ma ormai, ritiene queste istanze inconciliabili con il tallone di ferro imposto da UE, Stato centrale spagnolo e NATO

Se i governi dell’area mediterranea avessero davvero interesse a trovare una via d’uscita dalla crisi, dovrebbero guardare con interesse e favore a tutto ciò che va in direzione di uno sviluppo di un’area di scambi mediterranea libera, pacifica ed indipendente, al di là ed al di fuori della prospettiva suicida di continuare a stare dentro un’Europa ormai totalmente a rimorchio della Germania e degli stati centrali, ingabbiata com’è dai rigidi vincoli che impediscono tanto agli stati quanto alle regioni di promuovere qualsiasi politica economica o anche solo di immaginare uno straccio di futuro.

La questione catalana interroga, dunque, ciò che resta delle sinistre europee e nostrane riguardo l’Europa, le politiche economiche, la sovranità e la democrazia stessa.

Mi sembrano questioni fondamentali su cui riflettere ma vedo che molti, proprio a sinistra, quando si parla UE, stati nazionali, democrazia economica e diritto all’autodeterminazione, la buttano in caciara in nome di un europeismo di principi che agita ossessivamente ed immancabilmente lo spauracchio di una quarta guerra mondiale e/o di una nuova guerra balcanica (a proposito, in quel caso l’Europa a marchio NATO bombardava). Oppure invocando un internazionalismo astratto che, in assenza, di terze o quarte internazionali, probabilmente si manifesterà in un iperspazio visibile solo a loro.

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