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Tra i lacrimogeni di Piazza Syntagma sfuma l’illusione della soluzione europeista

“Non avevo altra scelta” è stato il leit motiv dell’intervento del premier in parlamento, “siamo solo una parentesi, la lotta continua”. Ma non sono d’accordo con lui i sindacati dei dipendenti pubblici e dei trasporti, l’associazione delle farmacie, i militanti del sindacato comunista Pame e varie organizzazioni della sinistra radicale e antagonista che ieri hanno animato il primo sciopero ‘generale’ contro il governo eletto all’indomani del voto del 25 gennaio. Un voto che – ribadito e rafforzato dalla vittoria schiacciante dei ‘no’ all’austerità nel referendum del 5 luglio – avrebbe dovuto portare una liberazione dal giogo della troika, dai diktat della eurocrazia, dagli appetiti delle oligarchie interne e internazionali.
E invece il governo ‘riformista’ si è rivelato incapace di mantenere le sue promesse, e dopo neanche sei mesi ha chinato la testa di fronte alle esose, umilianti richieste dei creditori. Pur di non esplorare l’ignoto facendo appello al popolo, organizzando il paese ad affrontare sacrifici utili a rialzare la testa e riconquistare indipendenza e dignità, il primo governo antiausterity della Grecia ha di fatto ripercorso gli stessi passi degli odiati Samaras e Venizelos. La gabbia dell’europeismo ideologico, l’incapacità di immaginare e costruire qualcosa di diverso all’obbedienza nei confronti dei trattati, dei vincoli, dei ricatti dell’Unione Europea ha condotto Tsipras e i suoi sulla via della capitolazione, regalando al già martirizzato popolo greco altre lacrime e altro sangue alla fine di una trattativa improbabile nel corso della quale il quarantenne e ambizioso primo ministro ha visto spuntare tutte le sue armi. Al suo europeismo utopico la controparte ha risposto con la durezza, l’intransigenza e la violenza dell’Europa reale. Al suo ingenuo riformismo gli apparati coercitivi del blocco continentale hanno risposto imponendo privatizzazioni, licenziamenti, aumento delle tasse e dell’età pensionabile. La trasformazione della Grecia in un protettorato.
Hai voglia a dire che ‘la lotta continua’. Oggi il popolo greco, le classi popolari, gli attivisti reduci da anni di scioperi generali, manifestazioni, occupazioni, campagne elettorali e scontri con la polizia sono più stanchi, più disillusi, più scettici sulla possibilità che le loro aspirazioni ad una vita migliore e al cambiamento possano in qualche modo prendere forma. La possibilità che bastasse vincere un’elezione e portare al governo un leader in grado di cantargliene quattro agli odiati creditori ottenendo concessioni semplicemente in virtù della legittimazione popolare ha rappresentato una grande quanto fugace illusione. L’illusione che ci fosse una via all’interno della compatibilità dettata dalla rigida struttura dell’Unione Europea e dell’Eurozona, degli interessi della grande Germania e delle sue competitrici alla guida del progetto di integrazione continentale. Un’illusione a diffondere la quale anni di propaganda europeista della leadership di Syriza hanno contribuito assai e che le altre forze politiche europee che si candidano al cambiamento – in primo luogo Podemos in Spagna e lo Sinn Fein in Irlanda – farebbero bene a chiudere in soffitta per adottare un piano B meno compatibilista e più spregiudicato. 

La frattura tra l’illusione e il popolo che l’ha vissuta, alimentata, incarnata si è manifestata ieri sera in una Piazza Syntagma spettrale, dove sono tornate le molotov degli incappucciati e i gas lacrimogeni dei reparti antisommossa. Con tanto di cariche accennate dai reparti motorizzati della Polizia, i famigerati Delta. Un’ora di scontri violenti, che hanno per un po’ tolto la scena a qualche migliaio di manifestanti dei sindacati, di Antarsya, delle sezioni ribelli di Syriza che nel corso della giornata avevano occupato ministeri e sedi del partito, diffuso volantini nei mercati, tappezzato le città di manifesti.
Mentre a qualche centinaia di metri, in Piazza Omonia, si scioglieva la manifestazione convocata dal sindacato comunista Pame che ha tuonato contro l’Ue, l’Euro e la Nato, a Syntagma la polizia fermava una cinquantina di manifestanti tra quelli che lanciavano pietre, petardi e bottiglie incendiarie contro i cordoni degli agenti bardati per l’occasione e sotto lo sguardo voyeuristicamente attento di decine di cameraman e fotografi arrivati da ogni dove. Stamattina la magistratura ha trasformato il fermo in arresto per 25 di loro.
“Siamo come tutti gli altri” pare abbia detto a qualche giornalista uno sconsolato e mortificato attivista di Syriza che protestava davanti al Parlamento al cui interno andava in scena una replica tradotta in farsa di quanto già vissuto dal paese negli ultimi cinque anni. I lacrimogeni “europeisti” non sono meno velenosi di quelli a cui ci si era ormai abituati.
Certo, hanno notato molti commentatori, i numeri della protesta di ieri contro un governo allargato all’odiata destra espressione dell’oligarchia e dei suoi privilegi non possono essere paragonati con le piazze stracolme degli anni scorsi. In piazza Syntagma, dice la polizia, c’erano dodicimila persone, quindi conoscendo i problemi delle forze dell’ordine con l’aritmetica forse il doppio. Il che non è poca cosa, vista la situazione.
Per ora a prevalere, nella base sociale della sinistra, dei sindacati, delle organizzazioni popolari, è lo scioccante ritorno alla realtà. Ci vorrà tempo prima che le residue illusioni nella possibilità che Tsipras faccia il miracolo scompaiano e che il disorientamento si trasformi in rabbia, prima che il peggioramento ulteriore delle condizioni di vita porti ad una nuova esplosione. Che, se e quando ci sarà, non è detto che si lascerà rappresentare dalla sinistra radicale, bruciata dal fallimento di un’ipotesi di cambiamento troppo gracile per reggere nella sfida contro una vera e propria macchina da guerra. Il compito di evitare che il fallimento abbia conseguenze ancora più tragiche spetta oggi alle forze ancora sane di Syriza, oltre che a quelle delle altre organizzazioni comuniste e della sinistra antagonista che non hanno mai creduto nella possibilità che l’alleanza tra sinistra riformista e radicale potesse rappresentare una possibilità di svolta. Ora dovranno trovare un’altra strada, e subito.

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