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Riformisti pre – elettorali

L’attenzione del mondo politico sembra tutta rivolta verso la nuova (ennesima) legge elettorale, ma questi sono anche i giorni della manovra finanziaria.

La legge di bilancio, arrivata in Consiglio dei ministri, consiste in circa 20 miliardi di cui 15,7 usati per impedire l’aumento dell’IVA dal primo gennaio prossimo: dieci miliardi saranno assicurati dalla crescita del deficit.

Una manovra al ribasso ben oltre le dichiarazioni del governo tutte improntate all’ottimismo pre – elettorale.

Una manovra che si situa in una situazione di indicatori economici che collocano l’Italia alla coda dell’UE, per un Paese sempre più in difficoltà sul terreno cruciale della struttura industriale.

Un editorialista di un grande quotidiano, ad esempio, ritorna sul tema spinoso della siderurgia ricordando come l’UE ponga all’Italia il tetto dei 6 milioni di tonnellate di produzione annua soltanto per lo stabilimento di Taranto, mentre l’Italia importa dalla Cina e dall’Iran circa 20 milioni di tonnellate annue di prodotto.

In questa situazione la siderurgia italiana, dopo il disastro delle privatizzazioni, è abbandonata agli stranieri e i nuovi acquirenti di Arcelor – Mittal (indiani) hanno disdetto unilateralmente gli accordi economici sulla riassunzione di 9.000 dipendenti su 14.000 attualmente impiegati, con il profilarsi quindi di circa 5.000 cosiddetti “esuberi”.

Soltanto per fare un esempio tra i tanti che si potrebbero evidenziare, non dimenticando però economia sommersa, evasione fiscale (111 miliardi nel 2016), corruzione, criminalità organizzata in espansione proprio sul piano del riciclaggio attraverso investimenti economici in diversi settori di interesse pubblico.

Tornando alla manovra restano da sottolineare due elementi, misconosciuti e comunque che si cercherà di tenere nascosti in campagna elettorale e che ci indicano come le cifre sbandierate siano tutte perlomeno “sub judice” se non valutabili direttamente come fasulle:

1) La questione che s’intende sottolineare oggi riguarda l’evidente sottovalutazione che, per ragioni di pura propaganda, il governo italiano sta esercitando rispetto alla prossima fase conclusiva del Q.E. (Quantitative Easing) L’exit strategy coinvolgerà la Bce – dove il Qe dovrebbe finire l’anno prossimo – e poi la Bank of England, la Bank of Japan, e in misura minore la Riksbank svedese e la Swiss National Bank. In tutto, le banche centrali deterranno alla fine di quest’anno buoni e obbligazioni per 15mila miliardi di dollari, dei quali 9mila in governament bond, in media un quinto del debito pubblico dei Paesi interessati. Anzi, in diversi casi ancora di più, tanto da avvicinarsi al limite del 33% del debito pubblico scritto nello statuto sia della Bce sia della Fed (per evitare che una banca centrale finanzi direttamente un Paese). Come si muoverà l’Italia di fronte all’emergenza che sarà posta dalla necessità di smaltire questa enorme massa di denaro?

2) Pendono anche altre due spade di Damocle oltre a quella della chiusura del Q.E, rappresentate dalle due tranche di clausola di salvaguardia IVA ancora in sospeso da 11,4 miliardi nel 2019 e da 19,2 miliardi nel 2020. Immaginatevi il peso dell’esercizio effettivo di queste clausole (per adesso si tratta di cambiali in scadenza soltanto rinviate) sull’intera economia.

Insomma, una situazione che si preannuncia molto complicata (per usare un eufemismo) sul piano economico e che viene tenuta sotto traccia da un governo di basso profilo che ha prodotto soltanto la continuità con i “bluff” del governo procedente. “Bluff” i cui esiti disastrosi si sta cercando soltanto di rinviare nel tempo.

Sia chiaro: la situazione di cui ci stiamo occupando presenta aspetti che con il riformismo (quello che proprio è andato in crisi definitiva nel corso degli ultimi anni) non ha nulla a che vedere proprio perché avvitata attorno ad un pericoloso illusionismo pre – elettorale prodotto dal cumularsi di frottole raccontate nel tempo: 80 euro, job act, buona scuola, alternanza scuola /lavoro, APE sociale e quant’altro.

In agguato gli estemporanei improvvisatori del M5S (sempre pronti ad una marcia indietro rispetto alle loro sparate di stampo prettamente democristiano) oppure l’eterno ritorno del “sempre uguale” della destra della quale sembrano essere state dimenticate le enormi responsabilità nello stato di cose in atto.

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