I devastanti incendi che hanno flagellato la regione attorno Atene hanno riportato l’attenzione dei media nostrani sulla Grecia.
A tutti gli osservatori – anche agli apologeti del liberismo più selvaggio – è apparso chiaro il pesante bilancio di danni e lutti provocati a fronte di incendi che, per quanto stavolta siano stati particolarmente impetuosi, non sono una novità in quelle zone già periodicamente interessate da questa fenomenologia.
Mai come ora è risultato evidente il gap materiale e tecnologico esistente tra le reali potenzialità degli apparati di emergenza e di prevenzione dello stato ellenico e gli standard minimi indispensabili che necessiterebbero in qualsivoglia paese costretto a misurarsi con calamità di questo tipo.
Il (triste) paradosso di questa vicenda è che, nei giorni scorsi, il primo ministro greco, Alexis Tsipras, dichiarava, soddisfatto, che la Grecia sta uscendo dal “tunnel della crisi” dopo i fatti del 2015 (il cedimento al Memorandum della trojka con buona pace della vittoria referendaria dell’OXI, nda) e che nel paese cresce la “fiducia verso il futuro prossimo”.
La realtà sociale, il paese reale e le condizioni di vita e di lavoro dicono altro
Il prossimo 20 agosto prossimo termina l’ultima parte del “programma di riforme strutturali” deciso da Bruxelles nei giorni del luglio 2015 quando, di fatto, la Grecia è stata sottoposta al commissariamento forzato di Bruxelles.
In effetti, però, dal gennaio 2019 scatterà un altro giro di vite sulle pensioni, il quattordicesimo, per “tenere in sicurezza la reale compatibilità dei conti pubblici” ed ogni trimestre la UE manderà i suoi commissari/controllori per verificare l’attuazione di queste misure e le “garanzie” per i creditori/cravattari che hanno “prestato” i 300 milioni di Euro alla Grecia.
Oggi, a distanza di alcuni anni, la disoccupazione è arrivata al 20%, una famiglia su cinque (il doppio del 2010) vive in condizioni di estrema povertà ed il fardello del debito (pubblico e privato) è ancora un macigno.
Inoltre la privatizzazione/svendita di gran parte dell’apparato industriale ed infrastrutturale ha comportato consistenti esternalizzazioni di operai ed impiegati, il peggioramento della qualità e di ciò che residuava dell’universalità dei servizi ed una generale svalorizzazione del lavoro e delle sue condizioni normative, giuridiche e di sicurezza.
Il governo Syriza/AKEL supinamente prono ai dettami della borghesia continentale europea (e della NATO) continua a ritenere – confermando la sua linea di condotta catastrofica per gli interessi dei settori popolari della società – che è possibile consolidare una sorta di “ripresa economica nazionale” confidando esclusivamente sul turismo, le nuove tecnologie e la “smart economy”.
Ma i fatti hanno la testa dura. Il turismo, in Grecia e non solo, non è un comparto che produce un miglioramento generalizzato dell’economia e una crescita della quantità/qualità del lavoro sempre e comunque. Anche questo comparto è sottoposto alle modalità del mercato, alle sue leggi ed alla crescente concorrenza internazionale
I flussi turistici (quelli consistenti) sono organizzati, gestiti e valorizzati dalle grandi corporation globali dell’entertainment.
Con buona pace dell’immagine iconoclastica dell’isoletta greca pura ed incontaminata e delle rustiche taverne dove si spende poco, si sta consolidando una industria del divertimento incardinata alle più feroci leggi del supersfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente naturale.
I porti, gli aeroporti (non a caso le infrastrutture svendute per prime, dopo il luglio 2015), i villaggi turistici, i tour operator, il selvaggio e vorticoso comparto dell’edilizia e persino le campagne propagandistiche e promozionali delle varie località, sono saldamente nelle mani di compagnie straniere le quali sono interessate unicamente alla massimizzazione dei profitti, non nutrono nessuna attenzione per gli standard ambientali dell’ecosistema e sono pronte, in qualsiasi momento, anche in considerazione dell’evoluzione generale del contesto geopolitico, ad indirizzare altrove i flussi turistici.
La stessa demagogia/illusione, da parte governativa, sul potenziamento delle nuove tecnologie è rivolta, stando ai fatti che registriamo, al rafforzamento ed alla crescita di questa infernale macchina del divertimento e non, invece, come sarebbe socialmente utile, alla riqualificazione/ammodernamento delle infrastrutture di base del paese.
Le reti energetiche nazionali, la qualità degli impianti ferroviari, del servizio sanitario nazionale e – come dimostrato tragicamente nei giorni scorsi – i servizi di pubblica emergenza sono fermi al palo o, addirittura, regrediscono ulteriormente.
Fotografano bene questa situazione le parole di Vassilis Primikiris, del comitato centrale di Unità Popolare (Lea), riprese anche dall’ultimo numero de “l’Espresso” in edicola questa settimana: “Rimarremo nelle grinfie della Troika per quasi cento anni. Altro che ritrovata autonomia. Con i tagli alle pensioni e l’introduzione della tassazione anche per chi guadagna 500 Euro al mese i greci sono condannati alla miseria perenne. Tsipras da comunista è diventato lo yesman dei poteri forti. E anche della NATO, con la decisione di non usare la facoltà di veto sull’ingresso della Fyrom nell’Alleanza Atlantica e il consenso al cambiamento del nome in “Macedonia del Nord”. Con questa mossa scellerata ha regalato migliaia di voti ai fascisti di Alba Dorata e distrutto lo storico rapporto amichevole con la Russia. Un disastro completo.”
In effetti, al di là di tutte le chiacchiere e le sparate propagandistiche, la Grecia, nonostante la cura da cavallo a cui è stata costretta, nonostante la manomissione diplomatica, economica e finanziaria che ha subito, non ha ottenuto dal complesso dei creditori internazionali il taglio del debito che doveva essere (nell’idea di Syriza, di Tsipras e dei soloni del Partito della Sinistra Europea) l’obiettivo che si sarebbe acquisito con l’accettazione del terzo Memorandum.
Cosa dire alla fine di questa “cartolina”?
Il popolo greco (che ha alle sue spalle una gloriosa e consolidata tradizione di lotta antifascista e per il progresso) è, tra i popoli europei, quello che ha pagato il più alto costo umano e politico alla costruzione del polo imperialista europeo. In Grecia, più che altrove, la “sinistra” ha attivamente lavorato per depotenziare e distruggere ogni aspettativa di rottura e di avanzamento politico e sociale verso un assetto culturale, economico e geopolitico che alludesse, per davvero, ad una possibile fuoriuscita dai micidiali dispositivi dell’Unione Europea e della NATO.
Non è un caso che – nel paese ellenico, ma anche altrove – crescono le destre razziste ed xenofobe nutrite dal malcontento e dal disorientamento dei ceti popolari dopo il “tradimento” della “sinistra”.
Una lezione politica, quindi, da non smarrire, ancora attuale, la quale rafforza la necessità della sfida teorica e pratica che vogliamo rilanciare per costruire nel nostro paese e nell’area euro/mediterranea una prospettiva di rottura, di riscatto e di liberazione fondata sull’unione popolare e non sui cascami di una “sinistra” sempre più integrata nella modernizzazione capitalistica ed imperialistica.
#poterealpopolo
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