Intervistato da Repubblica, il nuovo segretario della CGIL, Maurizio Landini, mette in campo le sue idee per uscire dalla crisi. Cosa penserà mai il maggiore sindacato italiano, appena passato nelle mani del leader dei metalmeccanici, il settore storicamente più combattivo dell’organizzazione? Con chirurgica precisione, Landini individua tutti i tasselli di una visione dell’economia completamente subordinata all’ideologia liberista, ponendo le basi perché la sinistra in Italia continui ad essere completamente inutile ai lavoratori, se non dannosa. Vediamo perché.
Il punto di vista di Landini sulla crisi è impostato a partire dalle due contraddizioni di fondo che hanno reso la sinistra italiana uno dei principali problemi dei lavoratori negli ultimi trent’anni: la negazione del conflitto di classe, da un lato, e l’entusiasta adesione al progetto di integrazione europea dall’altra. Due contraddizioni che, coltivate in seno alla più importante organizzazione sindacale del Paese, rischiano di trasformare la prossima primavera della sinistra italiana nell’ennesimo bagno di lacrime e sangue per i lavoratori.
Lotta di classe, salario e crescita. L’intervistatore chiede a Landini come si faccia ad invertire la rotta di un’economia in crisi, mentre “la disoccupazione cresce con la precarietà” e “i consumi sono fermi come gli investimenti”. Un vero e proprio assist del giornalista, che permetterebbe al segretario della CGIL di individuare chiaramente i nessi tra la crisi e la profonda redistribuzione del reddito dai salari ai profitti che è stata prodotta in Italia a partire dagli anni Ottanta. La riduzione dei salari impoverisce i lavoratori e mette in ginocchio l’economia tutta, perché deprime la domanda interna – in primis i consumi – e dunque porta con sé la recessione in un circolo vizioso per il Paese ma virtuoso per i profitti, che crescono sotto il tallone di ferro dell’austerità mentre la precarizzazione del lavoro ed il ricatto della disoccupazione piegano i lavoratori alla più ferrea disciplina.
Questa risposta avrebbe consentito al segretario della CGIL di connettere una solida interpretazione della crisi con il compito fondamentale del sindacato, che è quello di organizzare la lotta di classe in difesa dei salari: mostrare, in altri termini, che maggiori diritti e migliori salari significano – oltre che una più giusta società – anche crescita economica e prosperità diffusa a solo detrimento dei profitti di pochi, il contrario del modello di sviluppo odierno basato sulla competitività internazionale e sulla deflazione salariale.
Purtroppo, mentre noi sognavamo un combattivo leader dei metalmeccanici sviluppare un’analisi marxista della crisi, Landini rispondeva all’intervistatore come neanche il miglior presidente di Confindustria: “Occorre un piano straordinario di investimenti pubblici e privati”. Bene, si dirà, gli investimenti sono una leva fondamentale della domanda, ma perché ignorare del tutto i consumi? È ragionevole che lo facciano i padroni; anzi, lo hanno sempre fatto sistematicamente, perché nella loro ideologia la crescita dipende dai risparmi, ossia da quella parte del reddito che non è consumata, e quindi minori sono i consumi, maggiori saranno le risorse risparmiate e messe al servizio degli investimenti produttivi. È l’esaltazione della virtù della parsimonia, da cui discende l’idea che i poveri siano poveri perché spendaccioni, perché non sono in grado di rinunciare al consumo presente in vista dell’accumulazione della ricchezza futura.
Oltre al piano meramente ideologico, la rimozione del ruolo positivo dei consumi e l’insistenza sui soli investimenti articolano una lettura dell’economia funzionale alla prescrizione di politiche ben precise: Confindustria ci spiega sempre che il contenimento dei salari ha effetti positivi perché sacrifica i consumi – che sono spesa improduttiva – e favorisce i profitti, consentendo così alle imprese di investire nuove risorse. Questa la visione di Confindustria, dunque. Perché esce dalla bocca del leader della CGIL?
Investimenti, con quali soldi? Proviamo a trattenere il fiato e andare oltre; perché – e lo ripetiamo – crediamo anche noi che gli investimenti pubblici siano una leva fondamentale della crescita, soprattutto nelle fasi recessive. È per questo che ci scagliamo contro la gabbia dell’Unione Europea, che impone vincoli alla spesa pubblica incompatibili con qualsiasi credibile politica di rilancio degli investimenti.
Il declino degli investimenti pubblici è infatti figlio del declino della spesa pubblica che l’Europa ci chiede da trent’anni. Seguiamo quindi Landini nel suo ragionamento, e vediamo cosa ha in mente quando parla di investimenti. Il segretario CGIL sciorina un’infinita sequela di spese possibili, dalla manutenzione del territorio alla mobilità, dalla rigenerazione delle aree urbane alle energie rinnovabili, poi la ricerca, la cultura. Tutto bellissimo ma l’intervistatore – di nuovo – ci toglie le parole di bocca: “Servono soldi, tanti soldi, dove pensa di trovarli?”.
Eccola, La domanda. Perché il dibattito sull’Europa non è un dibattito ideologico: per noi l’Europa è un problema perché è stata disegnata in modo da rendere impossibile la piena occupazione, salari dignitosi e diritti dei lavoratori; è una trappola perché congegnata in modo da sottrarre agli Stati gli strumenti essenziali per governare l’economia, con lo scopo di mantenere livelli di precarietà e disoccupazione sufficienti a tenere buoni i lavoratori, piegati sotto il giogo dell’austerità. L’Unione Europea, insomma, ci impone il paradigma della scarsità delle risorse: non ci sono i soldi per fare quello che tutti vorremmo fare. Anche qui, chi difende i lavoratori non può sbagliare: il crollo degli investimenti non è un fenomeno naturale, è il frutto delle scelte politiche che ci hanno condotto nella gabbia europea. Rompere quella gabbia è l’unica via per rilanciare gli investimenti e l’occupazione.
Eppure, Landini risponde: “Serve, finalmente, una riforma fiscale degna di questo nome”. Nessun riferimento ai vincoli europei. Si accetta acriticamente il paradigma della scarsità delle risorse imposto dall’Europa e si pensa che i soldi degli investimenti debbano necessariamente essere sottratti a qualcuno: “i soldi si vanno a prendere lì dove sono”, dice sibillino Landini lasciando intravedere lo spettro della patrimoniale, un’imposta sulla ricchezza. Occorre, anche in questo caso, pesare le parole: un’imposta sui grandi patrimoni, una tassazione sui profitti, insomma un più equo sistema fiscale sarebbe secondo noi un’ottima politica di progresso sociale.
Ma nulla di tutto questo può essere fatto all’interno dell’Unione Europea, nata sotto la stella della libertà di movimento dei capitali e dunque costruita a partire dalla libertà di fuga del capitale dalle tasse: non è un caso che nessuno, in Europa, azzardi una seria patrimoniale o una seria tassazione dei profitti, lasciando che il peso del sistema fiscale gravi quasi interamente sulle spalle del lavoro dipendente. Non avrebbe alcun senso perché i grandi capitali migrerebbero in pochi secondi su conti esteri e le imprese trasferirebbero (qualcuno l’ha già fatto, ma forse Landini non conosce la storia della Fiat…) immediatamente la propria sede fiscale in Irlanda, in Olanda o in uno dei tanti paesi a fiscalità ultra-privilegiata nell’Europa dell’est, come Ungheria o Estonia – al riparo dalle nuove tasse.
Pertanto, l’idea di trovare risorse sufficienti a rilanciare gli investimenti aumentando le tasse appare inaccettabile per due motivi. In primo luogo, perché significa accettare il principio del pareggio di bilancio, che è il primo ostacolo alla ripresa dell’intervento pubblico in economia; senza spesa pubblica in deficit non può aversi alcun consistente aumento degli investimenti pubblici, nessuna crescita e nessun riscatto per i lavoratori. Il secondo problema implicito nella via indicata da Landini è la sua concreta impraticabilità all’interno della libera circolazione dei capitali imposta dall’Unione Europea: fingere di non capire l’impraticabilità di un equo sistema fiscale interno all’UE significa aprire la strada all’ennesima patrimoniale sulle piccole proprietà, come l’IMU sulla prima casa che ha schiacciato la classe media nel bel mezzo della crisi, o a un prelievo sui redditi di quei lavoratori dipendenti che hanno stipendi non da fame. Tutto l’opposto di una “riforma fiscale degna di questo nome”.
Per concludere, il segretario della CGIL costringe la strategia della sinistra dentro alla compatibilità con le istituzioni europee, una compatibilità che condanna i lavoratori ad un’altra stagione di sconfitte. Non solo: invece che riaffermare l’attualità della lotta di classe, Landini apre, insieme ai segretari degli altri sindacati confederali, a una vera e propria collaborazione con Confindustria, improntata all’esaltazione della peggior retorica europeista. Se questo è rinnovamento, la sinistra in Italia continuerà ad essere inutile ai lavoratori ancora per molto. Seguendo le proposte lanciate da Landini, il popolo della sinistra tornerà a schiantarsi contro il muro della storia, che ci ha insegnato come la lotta di classe dall’alto verso il basso non si sia mai fermata e abbia anzi conseguito, grazie all’Unione Europea, dei successi che i padroni non potevano neanche sognare quando davanti a loro c’era un sindacato conflittuale e una sinistra di classe organizzata.
* Coniare Rivolta è un collettivo di economisti – https://coniarerivolta.org/
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Daniele Arduino
Siamo alla fine di un’ epoca, l’ altra si sta aprendo piena di incognite. Questi interrogativi ci fanno dire che tutto e’ nelle mani di un cambiamento da parte di tutti noi, un modo di pensare diverso al passo dei nuovi tempi che arrivano. Voglio dire che il cambiamento deve avvenire anche dentro di noi.