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La storia di Ugo è indicativa della condizione di due milioni di ragazzi

Le recenti vicende legate all’uccisione del quindicenne napoletano Ugo Russo per mano di un carabiniere e il dibattito pubblico che ne è conseguito, che ha visto quasi unilateralmente giustificare il carabiniere e condannare Ugo e la sua famiglia, ci impongono un ragionamento più ampio per analizzare la situazione e saperla spiegare.

Dapprima, se la dinamica dei fatti deve essere ancora accertata nei particolari, il quadro generale che abbiamo è piuttosto chiaro: due minorenni che si avvicinano a una Mercedes con una pistola finta per rapinare il guidatore, che però è un carabiniere che si identifica e che spara tre colpi, due dei quali colpiscono Ugo al torace e alla nuca e che lo porteranno alla morte. Nessuna sparatoria, nessuna legittima difesa, nessuna “tragica” sfortuna: Ugo non ha esploso un colpo, mentre il carabiniere ben tre e due sono stati fatali.

Si parla sempre di un militare addestrato per sparare, non uno sprovveduto, ma un esperto che dovrebbe saper maneggiare queste situazioni e che però ha sparato all’altezza di torace e nuca. Così il giovane è morto come un animale braccato. Il 23enne che l’ha ucciso ora è sotto processo per omicidio volontario, nonostante sappiamo che lo Stato e la magistratura siano storicamente restii a far pagare le pene a “uno dei loro”: tutto ciò non passa all’opinione pubblica, grazie anche al ruolo dei media che difendono a spada tratta l’uccisore e dipingono invece Ugo come il peggiore fra i malavitosi.

Anche per questa vicenda, tanti media e politici non hanno avuto la decenza di chiudere la bocca e starsene zitti, per una buona volta. Hanno messo alla gogna pubblica la famiglia di Ugo, rendendo i genitori dei mostri proprio in uno dei momenti più difficili della loro vita, quello della perdita di un figlio.

Hanno messo bocca su un contesto complicatissimo da comprendere, quello della realtà da cui proveniva il ragazzo, legato per forza di cose a motivi storici e sociali e alle specificità di una città unica nel suo genere come Napoli; nonché al tema dell’abbandono del Sud, e anche in questo caso lo hanno fatto con slogan da stadio, per vendere qualche copia in più o, nel caso dei politici, per raccattare consensi. Anche se dopo il clamore mediatico non gli importerà più di Ugo né del suo contesto sociale e dei problemi che viveva. È avvenuta un’esecuzione pubblica di un ragazzo di 15 anni, e ci sarebbe voluto soltanto rispetto per la tristezza e la rabbia dei familiari, degli amici e anche di tutti coloro a cui è gelato il sangue per questa notizia sconcertante.

Certamente la situazione è drammatica, ma poniamoci una domanda retorica: siamo sicuri che non lo fosse anche prima? Analizziamo il contesto. Se avessimo conosciuto Ugo anche solo un giorno prima del 29 febbraio, avremmo conosciuto un ragazzo di 15 anni, che non andava più a scuola e che veniva da una famiglia in forti difficoltà economiche. Un ragazzo giovanissimo che aveva già fatto il muratore, l’imbianchino, il fruttivendolo, che era già entrato in contatto col mondo dei mini lavoretti a nero, che aveva scelto di fare per aiutare economicamente la famiglia. Si era assunto una responsabilità grossa, troppo grossa per chi in questa età dovrebbe essere invece spensierato e avere come unica preoccupazione la classifica del fantacalcio.

Ugo vive scritta muroPurtroppo, la situazione di Ugo è assai diffusa nelle fasce giovanili: il sistema dei lavoretti va per la maggiore fra i ragazzi di estrazione proletaria e li abitua alle logiche di sfruttamento e precarietà dei padroni, a cui si somma il costante aumento il numero di ragazzi che abbandonano la scuola. Questo secondo problema è forse uno dei più sentiti: fra molti giovani infatti la scuola viene percepita socialmente inutile.

L’insegnamento fatto con la cultura del nozionismo ha indebolito drasticamente le materie che si studiano, svuotandole di contenuti e conseguentemente di stimoli per un pensiero critico e attivo per gli studenti. Quando una materia è fatta di numeri, nomi e date da ricordare non si trova più interesse né tantomeno passione nel seguirla e non si trova una ragione per studiarla. Tutto questo è stato accompagnato da un lavoro ideologico fatto con le INVALSI e con l’Alternanza Scuola Lavoro per abituarci a essere i futuri schiavi delle aziende e dei privati.

Inoltre, c’è un altro problema, ossia che i costi della scuola sono sempre più alti, a partire dai libri fino al contributo scolastico. È anche per queste ragioni che tanti ragazzi decidono di abbandonarla. Abbiamo sempre indicato come colpevoli di questo smantellamento della scuola pubblica la destra e il centrosinistra, che con riforme come l’Autonomia Scolastica e la Buona Scuola hanno modellato l’istruzione in base agli interessi dei privati.

Cosa impariamo da tutto ciò? Prima di tutto, che di ragazzi con la condizione di Ugo ce ne sono, e sono tanti, e che questi ragazzi sono abbandonati a loro stessi e alle loro capacità di andare avanti in questo sistema di merda, secondo le logiche spinte dal Capitale come quelle della competitività sfrenata e della meritocrazia. È evidente che così aumentano le possibilità di compiere atti di criminalità o microcriminalità, soprattutto nei quartieri e nei contesti in cui manca il lavoro e dove quindi attività illegali possono diventare l’alternativa per andare avanti. A malincuore, anche di chi li compie.

Parliamo di dati che andrebbero indagati più a fondo, ma intanto noi dobbiamo affermare che la criminalità e la microcriminalità non sono metodi per eludere la povertà, ma sono scorciatoie, minuscole, inutili per prospettive sul futuro. Un Rolex rivenduto a 300 euro può togliere un ragazzo o una famiglia dalla povertà? No, può servire solo per scordarsi della propria situazione economica per qualche giorno, non a modificarla.

Questo sistema infame mette al primo posto gli interessi di pochi sulle spalle di tanti, è pronto a svendere ospedali, scuole, spazi sociali per fare profitto e ci ha lasciato un futuro di precarietà e di sfruttamento. Con la criminalità non cambierà nessuna di queste cose: l’unica soluzione è ribaltare lo stato di cose attuali.

Come Organizzazione Rivoluzionaria dobbiamo sapere incanalare la desolazione, la disperazione e la rabbia nel conflitto. Non dobbiamo lasciar cadere i giovani nelle mani della criminalità, ma far capire che è l’Organizzazione ciò che serve, come strumento di emancipazione e di presa di coscienza in una collettività che lotta per gli stessi obbiettivi.

La strada è lunga e tortuosa, ma il sentiero è tracciato.

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