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41 bis, esercito, scenari kafkiani… e ombre rosse

Intervistata da “Il Giornale“, Daniela Caputo (Segretaria di DirPolPen, il “sindacato” dei funzionari di polizia penitenziaria) ha squadernato la sua anima lievemente “aguzzina fascistoide”.

Parole come repressione, esercito, militarizzazione, e soprattutto 41-bis, risuonano come un funesto presagio per tutto il corso dell’intervista. Che pubblichiamo qui.

La signora Caputo si mostra degna depositaria della tradizione securitaria e repressiva che, dalla nascita dello Stato italiano, attraversa la storia fino ai giorni nostri.

Una pessima tradizione che si è potuta affermare, sia detto chiaro, anche grazie all’avallo del fu Pci e, successivamente, di tante forze di sinistra, anche radicale, che per matrice culturale avrebbero dovuto e dovrebbero essere contrarie all’uso totalizzante dell’istituzione carceraria. Più inclini al garantismo, insomma, che all’ideologia del “più galera per tutti”.

La Caputo si dimostra altresì erede di quel Luigi Cardullo che, negli anni ’70, con spietato senso del comando e un sadismo pari solo a quello del direttore del campo di Auschwitz (l’SS Rudolf Franz Ferdinand Höss), dirigeva il super carcere dell’Asinara.

Anni caldi e di sommosse, negli istituti di pena, dove transitava il fior fiore del movimento comunista rivoluzionario italiano, che quelle galere distruggeva e metteva a ferro e fuoco. Nel sacro nome della libertà e nel sogno imminente della Rivoluzione.

Dunque, Daniela Caputo, per fronteggiare la drammatica situazione venutasi a creare nelle carceri, in queste ore – con rivolte, un’evasione e ben tredici morti – a causa della diffusione del Coronavirus e del rischio di contagio nelle case circondariali, non reclama certo misure razionali e di tutela della popolazione carceraria stessa; bensì repressione, manganello e violenza sbirresca.

Ma ciò che lascia ancor più sgomenti è nientepopodimeno che la richiesta de «l’immediata applicazione dell’articolo 41 bis con la sospensione del trattamento penitenziario fino a fine disordini nelle carceri interessate dalle rivolte».

Praticamente, un’aperta proposta di violazione dei diritti umani. Violazione, è bene ricordarlo, implicita nel dispositivo 41 bis, per la quale l’Italia è del resto già stata condannata dall’Alta Corte di Strasburgo. Non da un “tribunale del popolo”…

La Caputo però non si ferma qui. Arriva perfino ad invocare l’intervento dell’esercito: «dove sono stati distrutti i presidi esterni di sicurezza deve arrivare l’esercito – dice infatti la zarina del sindacato dei funzionari della polizia penitenziaria – per impedire che chiunque entri o esca dalle carceri. Sono misure emergenziali, ma lo sono anche i fatti a cui assistiamo».

Dichiarazioni da brivido, che evocano lugubri scenari da stato di polizia. Dittature militari sudamericane e società disciplinari governate secondo il principio della militarizzazione e del controllo capillare del territorio da parte dell’esercito e di una burocrazia kafkiana.

Non certo la tanto declamata democrazia liberale di stampo occidentale.

Le parole pronunciate dalla segretaria Daniela Caputo sono, a ben considerare, lo specchio fedele di un piccola burocrazia poliziesca, oramai inebriata dalla sete di vendetta, dal godimento pervertito del sangue, dalla cultura classista della galera, dal bisogno borghese di schiacciare chi, in quel consesso cosiddetto civile, non vi rientra. Per censo, casta, status sociale. Sono il riflesso di un sistema malato in tutti i suoi gangli.

Ancora, il riflesso del sovvertimento del Diritto in Legge. Un sovvertimento che ha avuto del resto inizio quarant’anni fa con l’adozione delle Leggi Speciali, dell’articolo 90, delle misure emergenziali per contrastare la Lotta Armata Comunista e, in ultima analisi, dello Stato di eccezione.

Che è diventato, nel tempo, regola e ideologia di massa.

Siamo al confine della “soluzione finale” presentata come “necessità legalitaria”. Le parole di questa sindacalista-funzionaria si colorano di neri accenti fascistoidi; arriva, è evidente, a giustificare la repressione più dura nei confronti di chi vive già condizioni di vita al limite del degrado, assumendo come alibi il Coronavirus.

Una porcata – ci si passi l’espressione “forte” – che solo chi è pervaso da avidità di potere e da ossessioni di controllo, cui si aggiunge un alto tasso di inumanità, può concepire.

Ma non è finita qui. La Caputo si spinge fino all’inevitabile e immancabile delirio complottardo. Incalzata dall’intervistatore, che le offre su un piatto d’argento una domanda a risposta scontata persino per un giornalista praticante: “La regia anarco-insurrezionalista è plausibile?.

La nostra temeraria repressora non se lo lascia ripetere due volte e afferma, senza alcun senso della vergogna: «Le nostre strutture d’indagine da tempo riferiscono di iniziative anarco-insurrezionaliste».

Per poi proseguire: «Anarchici e centri sociali da tempo puntano a coinvolgere i detenuti. Non spetta a noi individuare i responsabili, ma va fatta chiarezza e va punito chi in momenti così delicati sobilla i detenuti. Sono a rischio la vita e la salute del nostro personale».

Fino a concludere: «Noi ci battiamo per carceri più sicuri in cui i dirigenti possano definire le singole politiche di sicurezza. Ma ci hanno tacciato di deriva autoritaria accusandoci di voler militarizzare le carceri. La conseguenza è sotto gli occhi di tutti. Le carceri sono in mano a facinorosi mentre il nostro personale affronta gravi pericoli».

Se non temessimo di sprecare fiato e fatica, potremmo ricordare alla dott.ssa Caputo che una democrazia che fa della punizione, della repressione e del carcere gli unici dispositivi con cui governare dinamiche sociali che, viceversa, andrebbero affrontate con politiche di inclusione, diffusione della cultura, scolarizzazione, incentivazione del pensiero critico, reinserimento nel tessuto civile del detenuto, redistribuzione della ricchezza a fronte della concentrazione di capitali, investimenti sul lavoratore e sulla collettività, anziché ad esclusivo vantaggio delle imprese e del profitto oligopolista… Questa è una democrazia moribonda.

Terrorizzata dalla sua stessa incapacità di governare. Assetata del solo potere di comando. Un regime assolustistico capace di reggersi solo sull’obbedienza dei sudditi. Un simulacro di democrazia, fragile nelle sue istituzioni, che ha abdicato ai suoi principi fondativi e costituzionali, pur sempre invocati.

Uno Stato siffatto è, pertanto, uno Stato nominale. Solo per il nome… Dominato dall’interesse privato, non certo da quello generale. Ed in queste ore ce ne stiamo sempre più rendendo conto.

Ma la Caputo preferisce cianciare di guerriglia e di stato d’assedio: «Siamo in una situazione che non si vedeva, lo dicono i nostri veterani, dai tempi delle Brigate Rosse».

La signora ci vede poco, verrebbe da dire…

Eccoli, gli spettri che fanno ancora tanta paura allo Stato liberal-borghese. Gli spettri mai dimenticati. Ombre Rosse che potrebbero tornare a turbare il sonno della ragione di questi tempi grigi. Di questa società benpensante e decadente. Oramai, giunta al capolinea!

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1 Commento


  • Kiara Cappello

    Il mio compagno è a 41 bis da 27 anni, leggere le parole da dittatrice della Dr.ssa Caputo mi lascia in un silenzio gelido, non aggiungo altro

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